Gli autori che si sono occupati del voto di preferenza espresso dagli elettori italiani lo hanno ricondotto in maniera prevalente ai rapporti fra partito, candidato ed elettore. Possiamo distinguere due tesi differenti, anche se non opposte, l'una sostenuta da D'Amato, l'altra da Allum. D'Amato, che studia i risultati elettorali a livello nazionale, considera la presenza dei partiti come una potenziale interferenza nel processo democratico: l'uso del voto di preferenza può essere considerato, sotto certi aspetti, come un'espressione della maturità politica dell'elettore, che può con esso rafforzare il singolo deputato nei confronti del suo partito. D'altro canto, in uno studio sul voto di preferenza a Napoli, Allum sostiene che i partiti costituiscono, almeno nei sistemi parlamentari occidentali, un intermediario ineliminabile fra elettori ed eletti: «Il problema fondamentale di un regime democratico — dice Allum — non è quello della partitocrazia (…) ma quello della comprensione da parte dell'elettorato della scelta rappresentata dai partiti». Sotto questo aspetto, descrivere l'uso del voto di preferenza come un indice di maturità politica è ingiustificato, e infatti Allum contrappone il voto partitico al voto personale.