In un saggio apparso di recente su questa rivista ho tentato di valutare il successo ed i limiti della strategia adottata dal Partito Comunista italiano nei confronti dell'elettorato. Le conclusioni, suggerite dai risultati di due ricerche elettorali condotte nel 1968 e nel 1972, erano, in breve, queste: il seguito elettorale del PCI è, dal punto di vista della composizione sociale, notevolmente eterogeneo e si avvicina ad una configurazione di tipo ≪ pigliatutto ≫ simile a quella degli altri due partiti di massa, DC e PSI; tra i fattori determinanti del successo del PCI hanno preminenza l'insediamento organizzativo del partito e la tradizione politica della comunità, mentre l'influenza diretta del fattore status è ridotta; l'elettorato non comunista ha una immagine del PCI che è, nell'insieme, assai negativa; questa immagine negativa ha quattro componenti principali: l'anticlericalismo attribuito al partito, la percezione che esso rappresenta un pericolo per la democrazia, che esso non è sufficientemente un partito d'ordine e, infine, i legami col movimento politico internazionale e in particolare con l'Unione Sovietica.