Si può affermare che, in linea generale, sono stati finora proposti tre modelli per descrivere analiticamente il sistema sovietico, modelli che possono essere definiti totalitario, di sviluppo, industriale maturo. Non tutti, anche per facilmente intuibili ragioni cronologiche, hanno avuto ed hanno la medesima fortuna e popolarità. Si può infatti affermare con sicurezza che il primo è quello che ha ottenuto fino a non moltissimi anni fa la totalità dei consensi da parte dei sovietologi, e ne conserva tuttora una buona parte. Eccone, in breve, i tratti fondamentali. È sostanzialmente fondato sul problema del potere sovietico, potere destinato ad imporre al preesistente tessuto sociale una nuova forma di organizzazione, rimodellando la società dalle fondamenta. Di qui i principali temi trattati dai maggiori esponenti di tale approccio: la mobilitazione e la organizzazione della popolazione a tal fine, il ruolo centrale del Partito, il particolare uso della propaganda, l'estensione e le modalità d'uso della coercizione e del terrore. Quali i difetti di tale modello? Tra i principali, innanzitutto l'incapacità di prendere in considerazione il sostegno offerto dalla popolazione al sistema; in secondo luogo, in dipendenza anche dell'inevitabile orientamento ideologico degli autori, l'incapacità di esaminare neutralmente e non emotivamente il problema, e quindi l'incapacità di considerare l'Unione Sovietica come un ≪ esperimento ≫ di eccezionali proporzioni, tali da poterlo a ragione definire unico; infine l'essere troppo vincolato a certe contingenze storiche (il periodo staliniano in particolare) tanto da non essere in grado di dar conto delle modificazioni avvenute nel sistema sovietico nell'ultimo ventennio.