La teoria del pluralismo polarizzato mi sovvenne una ven-tina di anni fa. Il saggio al quale ancor oggi i più fanno riferimento — European Political Parties: The Case of Polarized Pluralism — fu pubblicato nel 1966 ma scritto nel 1963, e ci pensai a lungo. Rifacendo mente locale, in quegli anni imperava Duverger, il quale non mi convinceva affatto. Mi convinceva assai di più Almond e soprattutto la sua distinzione, in chiave di cultura politica, tra cultura «omogenea» (e secolarizzata) e cultura «frammentata», che era poi come dire tra consenso e no (nei valori e credenze di fondo). Ma poi Almond approdava alla tripartizione tra sistemi bipartitici, multipartitismo funzionante (Scandinavo e Olandese) e multipartitismo malfunzionante (del grosso dell'Europa continentale), e quell'approdo non quadrava. Intanto, il gruppo dei paesi Scandinavi non era per nulla omogeneo: la Finlandia non era per nulla simile alla Svezia e alla Norvegia. In secondo luogo, se la variabile esplicativa di fondo era la cultura politica, allora l'Olanda (con una subcultura non-secolarizzata, e quindi a cultura frammentata) non doveva risultare funzionante. Alla stessa stregua, anche l'Austria avrebbe dovuto essere malfunzionante. E che dire, poi, della Svizzera? Mi sembrava, dunque, che il discorso mancasse di inquadramento teoretico. Nel saggio iniziale detto inquadramento (o modello) veniva formulato così:
I sistemi di partito verranno analizzati in funzione a) del numero dei poli, b) della loro distanza, c) delle loro interazioni centripete 0 centrifughe … ‘Bipolare’ e ‘multipolare’ indicano quanti sono i perni attorno ai quali ruota il sistema; ‘polarita’ indica una forte distanza tra i poli laterali del sistema (e quindi un basso grade di consenso…); laddove ‘polarizzazione’ e ‘depolarizzazione’ alludono alla dinamica del sistema e denotano rispettivamente un processo centrifugo di dilacerazione del consenso, ovvero un processo centripeto di ricomposizione del consenso… II pluralismo estremo e.; con ogni probabilita centrifugo.