La tesi centrale di Peter Mair è che esiste una diversità ontologica fra quello che egli chiama il partito convenzionale e il partito rivoluzionario. Mair giustamente fa derivare tale diversità — che è una vera e propria contrapposizione — da una divergenza di ordine filosofico. Il partito rivoluzionario è l'istituzionalizzazione di un progetto etico-politico profondamente divergente da quello che ispira il partito convenzionale. Esso è «altro» da un punto di vista organizzativo, strategico e psicologico perché è «altro» da un punto di vista ideologico. Pertanto, per intendere la «diversità» del partito rivoluzionario — «diversità» orgogliosamente rivendicata dai suoi militanti, coscienti della «totale opposizione fra comunismo e ordine di cose esistente» — è imperativo compiere una escursione filosofica, chiamiamola cosí, cioè esplorare il territorio dell'ideologia. Risulterà allora chiaro che tutti gli elementi che caratterizzano il concreto modus operandi del partito rivoluzionario — la sua organizzazione, la sua strategia, i suoi criteri di reclutamento e di socializzazione, ecc. — derivano con logica conseguenzialità dal suo progetto fondamentale e che questo, a sua volta, scaturisce da una certa visione del mondo che ha trovato nel marxismo la sua concettualizzazione piú rigorosa e suggestiva.