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IL PARTITO «DIVERSO»

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

La tesi centrale di Peter Mair è che esiste una diversità ontologica fra quello che egli chiama il partito convenzionale e il partito rivoluzionario. Mair giustamente fa derivare tale diversità — che è una vera e propria contrapposizione — da una divergenza di ordine filosofico. Il partito rivoluzionario è l'istituzionalizzazione di un progetto etico-politico profondamente divergente da quello che ispira il partito convenzionale. Esso è «altro» da un punto di vista organizzativo, strategico e psicologico perché è «altro» da un punto di vista ideologico. Pertanto, per intendere la «diversità» del partito rivoluzionario — «diversità» orgogliosamente rivendicata dai suoi militanti, coscienti della «totale opposizione fra comunismo e ordine di cose esistente» — è imperativo compiere una escursione filosofica, chiamiamola cosí, cioè esplorare il territorio dell'ideologia. Risulterà allora chiaro che tutti gli elementi che caratterizzano il concreto modus operandi del partito rivoluzionario — la sua organizzazione, la sua strategia, i suoi criteri di reclutamento e di socializzazione, ecc. — derivano con logica conseguenzialità dal suo progetto fondamentale e che questo, a sua volta, scaturisce da una certa visione del mondo che ha trovato nel marxismo la sua concettualizzazione piú rigorosa e suggestiva.

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Dibattito
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References

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2 Nel, Capitale, per esempio, è sostituito dal concetto di reificazione che, come ha dimostrato Lukács in Storia e coscienza di classe, svolge un ruolo strategico di primaria importanza: quello di far vedere che il sistema di mercato, mercificando ogni cosa, rappresenta un pervertimento dell'ordine «naturale» del mondo. Insostenibile, pertanto, è la lettura che del marxismo ha proposto Althusser. Non c'è un Marx ideologico separato dal Marx scientifico; c'è solo un Marx che utilizza il linguaggio dell'economia per fondare «scientificamente» il mito del millenio (Cfr. Colletti, L., Tra marxismo e no, Bari, Laterza, 1979).Google Scholar

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15 «Gli antichi credevano fermamente che il mondo e le leggi umane che lo sorreggevano (i vincoli di sangue, per esempio) rappresentavano Tunica verità esistente, dinanzi alla quale non restava che piegare la testa; ma proprio ciò che essi giudicavano piú importante, venne dai cristiani respinto come insignificante: la verità degli uni non era che menzogna per gli. altri» (Stirner, M., L'unico e le sue proprietà, Roma, EmmeEsse Editrice, 1970, vol. I, p. 12).Google Scholar

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20 Mosca, G., Elementi di scienza politica, Bari, Laterza, 1953.Google Scholar

21 Per un'argomentazione particolareggiata di questa tesi cfr. Pellicani, , I rivoluzionari di professione, cit.Google Scholar

22 Bucharin, N. e Preobrazenski, N., ABC del comunismo, Roma, Newton Compton, 1975, p. 7.Google Scholar

23 Bucharin non ha esitato a scrivere che «la coercizione del proletariato in tutte le sue forme, a cominciare dall'esecuzione sommaria sino al lavoro coatto, è, per quanto possa sembrare paradossale, un modo di rielaborare il materiale umano dell'epoca capitalistica per formare una umanità comunista» (cit. da Berkman, A., Che cos'è l'anarco-comunismo, Milano, La Salamandra, 1978, p. 174).Google Scholar

24 von Mises, L., Omnipotent Government, New La Rochelle, Arligton-House, 1969, pp. 143147.Google Scholar

25 Ortega y Gasset, J., Una interpretazione della storia universale, Milano, SugarCo, 1978.Google Scholar

26 Non trovo soddisfacente la distinzione (proposta per la prima volta da Robert Michels e generalmente accolta) fra partito ideologico e partito aideologico per il semplice ma decisivo argomento che tutti i partiti hanno una ideologia. La coppia «gnostico-agnostico» mi pare invece che permetta di sottolineare la differenza ontologica esistente fra partito rivoluzionario e partito convenzionale: il primo si considera il titolare esclusivo di una diagnosi-terapia dell'alienazione umana; il secondo invece non si pone il problema della salvezza, che lascia alla giurisdizione di altre istituzioni.Google Scholar

27 Fra le tante giustificazioni del regime liberal-democratico quella che a me pare piú solida e convincente è di natura epistemologica. Dal momento che non esiste un metodo infallibile per avvicinarsi alla verità, è irragionevole impedire la libera circolazione delle idee e dei valori. Ciò è stato eplicitamente teorizzato per la prima volta da Stuart Mill in On Liberty e successivamente, con maggior consapevolezza filosofica, da Kelsen, , Hayek, , Popper, e Perelman.Google Scholar

28 Argeri, D., La dialettica dissacrata, Milano, SugarCo, 1979, p. 153.Google Scholar

29 Cfr. Cox, H., La Città secolare, Firenze, Vallecchi, 1968.Google Scholar

30 Cfr. Rizzi, B., Il collettivismo burocratico, Milano, SugarCo, 1977.Google Scholar

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32 Talmon, J. L., The Origins of Totalitarian Democracy, London, Mercury, 1962, pp. 12. Lo stesso Talmon ha applicato la sua griglia interpretativa al marxismo nel volume Political Messianism, London, Secker and Warburg, 1960, pp. 201–225.Google Scholar

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34 Bucharin, N. e Preobrazenski, E., ABC del comunismo, cit., p. 53.Google Scholar

35 Ciò è stato esplicitamente teorizzato da Georges Marchais, , Ce monde est à l'envers, il faut le mettre à l'endroit, cit., da Rosanvallon, R. e Viveret, P., Pour une nouvelle culture politique, Paris, Seuil, 1977, p. 13.Google Scholar

36 È la tesi esposta con dovizia di particolari da Fueloep Miller, R., The Mind and the Face of Bolshevism, New York, Harper and Row, 1962.Google Scholar

37 Cfr. Puech, C. H., Gnosticismo e manicheismo, Bari, Laterza, 1977, p. 222.Google Scholar

38 Il giovane Togliatti ha scritto a chiarimento dell'elitismo leninista che solo tramite una minoranza «fornita di maggiore coscienza e di una precisa percezione storica» la spontanea lotta di classe condotta dai lavoratori contro lo sfruttamento capitalistico può acquistare «un massimo di concretezza». A tale minoranza deve, di conseguenza, essere «affidato l'avvenire della classe intera ed essa deve salvarlo da ogni pericolo esteriore e interno. Essa è quindi la guida naturale del movimento storico attraverso il quale il proletariato è portato a conquistare il potere. Essa lo intende nelle sue diverse fasi, valuta ogni atto alla stregua del fine di cui è cosciente, esercita insieme un'azione di critica, di rischiaramento e di inquadramento» (Opere, Roma, Editori Riuniti, 1967, vol. I, p. 67).Google Scholar

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41 Canetti, E., Masse e potere, Milano, Rizzoli, 1973, p. 64.Google Scholar

42 Mi pare opportuno ricordare le illuminanti parole del bolscevico Grigorij Piatakov: «secondo Lenin il partito è fondato su un principio di coercizione che non riconosce alcun limite o impedimento. E l'idea centrale di questo principio di coercizione senza limiti non è la coercizione stessa, ma l'assenza di un suo qualunque limite — morale, politico e persino fisico — a qualunque punto si arrivi. Un simile partito è capace di compiere miracoli e di fare cose che nessun'altra collettività umana potrebbe– Un vero comunista, cioè un uomo che sia stato allevato nel partito e ne ha assorbito profondamente lo spirito, diventa esso stesso, in qualche modo, l'uomo del miracolo. Per un simile partito, un vero bolscevico scaccerà volentieri dalla propria mente idee in cui ha creduto per anni. Un vero bolscevico ha sommerso la propria personalità in quella della collettività, il partito, al punto di sradicarsi dalle proprie convinzioni e opinioni e di concordare onestamente con il partito — questa è la prova che egli è un vero bolscevico. Non può esservi vita per lui al di fuori dei ranghi del partito, ed egli sarà pronto a credere che il nero è bianco e che il bianco è nero, se il partito lo richiedesse. Allo scopo di diventare tutt'uno con questo partito, egli si fonderà con esso, abbandonerà la propria personalità in modo che non rimanga entro di lui neppure una particella che non sia tutt'uno con il partito, che non appartenga ad esso» (cit. da Conquest, R., Il Grande Terrore, Milano, Mondadori, 1970, pp. 187188).Google Scholar

43 Safarevic, Y., Le Phénomène socialiste, Paris, Seuil, 1977, pp. 250251.Google Scholar

44 Arnault, J., in «La Nouvelle Critique», 1963, cit. da Rosanvallon, R., L'âge de l'autogestion, Paris, Seuil, 1976, pp. 62–63.Google Scholar

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46 Sulle ragioni della segretezza e dell'unanimità delle decisioni dello stato maggiore della rivoluzione sono illuminanti le parole scritte da Gramsci in una lettera indirizzata a Togliatti: «Una delle manifestazioni a cui l'Esecutivo (del Comintern) piú tiene è che nelle votazioni ci sia sempre l'unanimità. Non è questa una semplice questione formale. Da tutta l'esperienza della Riv. Russa risulta che l'assenza di unanimità nelle grandi votazioni pubbliche determina atteggiamenti speciali in mezzo alle grandi masse: gli avversari politici si polarizzano verso la minoranza, ne allargano e generalizzano le posizioni, pubblicano cospirativamente manifesti, programmi, ecc. firmati magari dagli oppositori e da un gruppo di loro amici, e compiono tutto un lavoro di agitazione che può divenire estremamente pericoloso in un momento determinato. Un atteggiamento difensivo contro tali manovre è l'unanimità delle votazioni, che dinanzi al pubblico appare come un raggiunto accordo e come la prova dell'unità piú franca» (cit. da Spriano, P., Storia del Partito comunista italiano, Torino, Einaudi, 1967, vol. I, p. 294).Google Scholar

47 Cfr. Pellicani, L., Dinamica delle rivoluzioni, Milano, SugarCo, 1974.Google Scholar

48 Il maggior teorico comunista della guerra di posizione basata sul logoramento dell'avversario è stato come è noto, Gramsci. Nei Quaderni è formulata una organica strategia della conquista dello Stato attraverso l'occupazione metodica delle «fortezze» e delle «casematte» della società civile. Ma se la strategia non è bolscevica il fine resta lo stesso: la creazione di un sistema in cui il partito sia il solo regolatore della vita umana (cfr. Pellicani, L., Gramsci e la questione comunista, Firenze, Vallecchi, 1976).Google Scholar

49 Lombardo, A., Le trasformazioni del comunismo italiano negli anni del confronto , in Lombardo, A. (a cura di), Le trasformazioni del comunismo italiano, Milano, Rizzoli, 1978, p. 12.Google Scholar

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52 Cohn-Bendit, G. e D., L'estremismo, rimedio alla malattia senile del comunismo, Torino, Einaudi, 1969, p. 232. Non aver compreso il ruolo decisivo che il mimetismo gioca nella strategia dei partiti comunisti occidentali a me pare essere il difetto fondamentale degli studi ad essi dedicati da Sidney Tarrow e Donald Blackmer. Si veda in particolare, il volume da essi curato, Il comunismo in Italia e in Francia, Milano, Etas Kompass, 1976.Google Scholar

53 Uso il concetto di «democratizzazione fondamentale» nel senso di Mannheim, K., L'uomo e la società in un'età di ricostruzione, Milano, Comunità, 1959, pp. 4143.Google Scholar

54 Nessun teorico comunista meglio di Gramsci ha esplicitato ciò che un partito rivoluzionario persegue. «Il moderno Principe, — dice una delle sue note — sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo sviluppo significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità e dell'imperativo categorico, diventa la base di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume» (Quaderni del carcere, cit., p. 1561).Google Scholar

55 Pellicani, L., Il centauro comunista, Firenze, Vallecchi, 1979, pp. 120123.Google Scholar

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57 Utilizzo lo schema analitico proposto da Kriegel, A., Les communistes françaises, Paris, Seuil, 1968, p. 252.Google Scholar

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