La riforma elettorale tra speranze e scetticismo
Al tempo della campagna in favore dell'adozione del principio maggioritario di rappresentanza in Italia, la speranza di molti era che il nuovo sistema elettorale potesse produrre effetti simili a quelli delle democrazie anglosassoni cui intendeva ispirarsi, ossia che strutturasse la competizione partitica in termini bipolari – se non bipartitici – e favorisse quindi l'alternanza dei governi.
Sebbene siano trascorsi ormai più di tre anni da allora e, soprattutto, abbiano avuto luogo due elezioni, è ancora presto per dire se le nuove regole abbiano prodotto gli effetti desiderati. La transizione politica italiana è un processo ancora lontano dall'approdo finale e non consente ad oggi valutazioni definitive. Certo è che i sistemi elettorali introdotti nel 1993 sono stati caricati da molti di attese taumaturgiche, nonostante i moniti lanciati dal mondo scientifico sulla necessità di una modifica ben più incisiva dell'architettura istituzionale del sistema politico italiano. Qualunque sistema elettorale, infatti, costituisce di per sé solo una struttura di vincoli e di opportunità, dunque di vincoli più o meno stringenti e di opportunità che possono essere colte o meno. Inoltre, riguardo all'effettiva configurazione della normativa elettorale approvata dal Parlamento nell'agosto del 1993, la cautela sulle prospettive del cambiamento muoveva dalla considerazione che le nuove regole incarnavano entrambi i principi maggioritario (pur prevalente) e proporzionale di rappresentanza, quindi due logiche distinte di competizione e di voto sulla combinazione delle quali era difficile fare previsioni.