Dieci anni fa, in un articolo pubblicato postumo, Otto Kirchheimer avanzò l'ipotesi che fosse in corso una trasformazione dei sistemi di partito dell'Europa Occidentale. Secondo Kirchheimer, i partiti di massa sia di classe che confessionali si stavano trasformando in partiti «pigliatutto», ideologicamente sfumati, piú interessati a conquistare voti che a difendere principi o a perseguire obiettivi di carattere ideologico. L'emergere di questo fenomeno, secondo Kirchheimer, era da attribuire all'avvento di una società «affluente» e consumista e al conseguente allentamento dei vincoli tra i partiti di integrazione di massa e le loro basi elettorali. L'ideologia non costituiva piú l'unica determinante del comportamento elettorale. Consapevoli del cambiamento e timorosi di perdere consensi, i partiti politici rispondevano eliminando l'eccedenza di «bagaglio ideologico», sottolineando le qualità dei loro leaders, sollevando problemi di facile soluzione, e cercando il sostegno dei gruppi di interesse. Tutto questo a sua volta trasforma il ruolo e la funzione dei partiti politici. I partiti mettono in secondo piano le loro funzioni espressive — la articolazione delle domande e delle rivendicazioni — abbandonano «gli sforzi per inquadrare intellettualmente e moralmente le masse», e operano prevalentemente come agenzie elettorali, facendo promesse per ottenere voti ovunque possano trovarsi. Il risultato è che lo stile e le modalità della competizione politica ne escono trasformati. Poiché il partito «pigliatutto» è uno strumento di competizione piú efficace, gli altri partiti sono costretti a imitarlo. Cosí le caratteristiche della competizione partitica non sono piú «la formazione di preferenze politiche», la promozione di una causa o la difesa della classe gardée, ma piuttosto una battaglia opportunistica tra partiti moderati che cercano di ottenere i migliori risultati nel mercato elettorale.