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SISTEMA DI CORRENTI E DEPERIMENTO DEI PARTITI IN ITALIA

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

Il sistema partitico italiano è stato caratterizzato, nel 1975, dall'affermarsi clamoroso di due tendenze che erano in moto da anni: il rafforzamento del PCI e l'indebolimento della DC. Occorre chiedersi se le due tendenze in questione abbiano origine soltanto, o soprattutto, nel mutamento della società civile, ovvero (o soprattutto) in specifici meccanismi del sistema partitico e di governo.

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References

1. Interventi di Sartori, G., Passigli, S., Zincone, G., Pasquino, G., Lombardo, A., apparsi sul n. 3 del 1971, sui nn. 1 e 2 del 1972 della «Rivista Italiana di Scienza Politica», raccolti in volume, con l'aggiunta di un intervento di D'Amato, L., col titolo Correnti, frazioni e fazioni nei partiti politici italiani, a cura di Sartori, G., Bologna, Il Mulino, 1973.Google Scholar

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3. Su tutto il tema della coesione partitica, cfr. Ozbudun, E., Party Cohesion in Western Democracies: A Causal Analysis, Beverly Hills, Sage Publications, 1970. I primi studi italiani sull'argomento sono dovuti a D'Amato, L., Correnti di partito e partito di correnti, Milano, Giuffré, 1965, e L'equilibrio in un sistema di «partiti di correnti», Roma, Edizioni di Scienze Sociali, 1966.Google Scholar

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9. Questa tesi è notoriamente sostenuta, in Francia, dal Duverger. L'opportunità dell'adozione di un sistema elettorale uninominale a doppio turno è sostenuta in Italia da Fisichella, D., Sviluppo democratico e sistemi elettorali, Firenze, Sansoni, 1970; ed è presa in considerazione da Tamburrano, G., in L'iceberg democristiano, Milano, Sugarco, 1974.Google Scholar

10. La legge elettorale prevedeva che il gruppo di partiti apparentati che avesse raggiunto la maggioranza relativa dei voti popolari, avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi in consiglio comunale. Bologna, A, comunisti, socialisti e apparentati (lista del «Gigante») ottennero il 48,79% dei voti, e 40 seggi; i quattro partiti di centro ottennero il 47,66% dei voti, e 19 seggi; un seggio andò al MSI. Cfr. Esposti, G. Degli, Bologna PCI, Bologna, Il Mulino, 1966, pp. 8486.Google Scholar

11. Nel 1950 i liberali giapponesi, che con Yoshida avevano ottenuto la maggioranza assoluta nel 1949, votarono una legge elettorale che li ha favoriti per un quarto di secolo. Per un'analisi degli effeti del sistema elettorale giapponese, e per una comparazione tra il sistema giapponese e quello italiano, cfr. Lombardo, A., Il sistema politico del Giappone. Elementi di analisi comparata, Milano, Angeli, 1975.Google Scholar

12. In un sistema partitico si configura una situazione di pluralismo estremo quando i partiti rappresentati nelle Camere superano i cinque. Cfr. Sartori, G., Tipologia dei sistemi di partito , in «Quaderni di Sociologia», XVII (1968), pp. 187226.Google Scholar

13. Pasquino, G., Crisi della DC e evoluzione del sistema politico , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», V (1975), pp. 443–72, e spec. 467–68.Google Scholar

14. Elia, L., La forma di governo dell'Italia repubblicana, cit.Google Scholar

15. Ibidem.Google Scholar

16. Secondo la «regola delle reazioni previste», in forza della quale i soggetti operanti in un sistema scontano anticipatamente il potere degli altri attori. Cfr. Friedrich, C. J., Man and His Government, New York, McGraw-Hill, 1963, spec. Cap. XI, pp. 199215.Google Scholar

17. Atti del VII Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, Roma, Cinque Lune, 1963.Google Scholar

18. Sulla teoria delle coalizioni, cfr. Riker, W. H., The Theory of Political Coalitions, New Haven, Yale University Press, 1963 e, dello stesso autore, Coalition. The Study of Coalitions, in International Encyclopedia of the Social Sciences, New York, McMillan and Free Press, 1968, vol. 2, pp. 524–29; il volume collettaneo a cura di Groennings, S., Kelly, E. W. e Leiserson, M., The Study of Coalition Behavior. Theoretical Perspectives and Cases from Tour Continents, New York, Rinehart and Winston, 1970; e l'ampia rassegna critica di Pappalardo, A., L'analisi delle coalizioni, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», IV (1974), pp. 197230.Google Scholar

19. Cfr. Galli, G. e Facchi, P., La sinistra democristiana, Milano, Feltrinelli, 1962. Per il periodo precedente al 1955, Baget-Bozzo, G., Il partito cristiano al potere. Da Dossetti a De Gasperi 1949–1954, Firenze, Vallecchi, 1974, 2 voll.Google Scholar

20. Lombardo, A., Dal proporzionalismo intrapartitico al fazionismo eterodiretto , in Correnti, frazioni e fazioni, cit., pp. 93106.Google Scholar

21. Sartori, G., Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato?', cit.Google Scholar

22. Sui sistemi a partito predominante, cfr. Sartori, G., Tipologia dei sistemi di partito, cit. Ovviamente, che il ruolo «predominante» sia ricoperto da una coalizione, o da un solo partito, fa una grande differenza. Comune mi sembra, invece, la percezione di «irreversibilità» e/o «immutabilità» della situazione da parte degli attori politici. L'accentuata frammentazione del sistema partitico italiano è analizzata da Galli, G. ne Il difficile governo, Bologna, Il Mulino, 1972, ove si mette in luce il peso dei partiti intermedi, quasi a correggere l'impostazione de Il bipartitismo imperfetto, Bologna, Il Mulino, 1966, ove si sopravvalutava il peso politico di DC e PCI.Google Scholar

23. Cazzola, F., Il partito come organizzazione, Roma, Ed. del Tritone, 1970.Google Scholar

24. Sartori, G., Rivisitando il pluralismo polarizzato, cit., pp. 205–7.Google Scholar

25. Lombardo, A., Dal pluralismo polarizzato al fazionalismo eterodiretto , in «Il Mulino», XXI (1971), pp. 773–40, e Dal proporzionalismo intrapartitico al fazionismo eterodiretto, in Correnti, frazioni e fazioni, cit.Google Scholar

26. Il concetto di «partiti ricatto» è colto da Downs, A., An Economic Theory of Democracy, New York, Harper and Row, 1957, spec. pp. 131–32.Google Scholar

27. Lo studio delle coalizioni nella letteratura politologica italiana è carente. Un contributo rilevante mi sembra quello di Pappalardo, A., Requisiti per la stabilità delle coalizioni, in questo fascicolo della «Rivista Italiana di Scienza Politica».Google Scholar

28. Mi sono occupato dei rapporti tra correnti e sottogoverno, comparando il caso italiano a quello giapponese, nel cap. 18° de Il sistema politico del Giappone, cit., pp. 197206.Google Scholar

29. Pizzorno, A., Il sistema politico italiano , in «Politica del diritto», II (1971), pp. 197–210. Cazzola, F., Partiti e sottogoverno. Note sul sistema politico italiano, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XIV (1974), p. 377.Google Scholar

30. Sono rafforzato in questa opinione dalla comparazione tra il sistema italiano e quello giapponese, e in particolare tra le rispettive issue-areas legislative. Cfr. Il sistema politico del Giappone, cit., capp. 16°, 17° e 18°.Google Scholar

31. «Le Monde», 1-6-1974.Google Scholar

32. È Ton. De Mita, che dichiarò al «Corriere della Sera» che il finanziamento dei partiti era da annoverarsi tra i «fini subistituzionali» degli enti pubblici. I recenti scandali sembrano comprovarlo. Sul finanziamento delle correnti, cfr. Zincone, G., Accesso autonomo alle risorse: le determinanti del frazionismo , in Correnti, frazioni e fazioni, cit.Google Scholar

33. Are, G., Industria e politica in Italia, Bari, Laterza, 1975, p. 197.Google Scholar

34. Pasquino, G., Crisi della DC e evoluzione del sistema politico italiano, cit., p. 451.Google Scholar

35. Che, secondo il CENSIS, «non ha eguali in nessun paese industriale, visto che abbiamo ormai superato la soglia del 30% di incidenza del personale pubblico sugli occupati». VII Rapporto sulla situazione sociale del paese, Roma, CNEL, 1973, pp. 3738.Google Scholar

36. Sulla Francia, cfr. Berger, S., The French Political System, a pp. 333–470 nel volume a cura di Beer, S., Ulam, A., Berger, S. e Goldman, G., Patterns of Government. The Major Political Systems of Europe, New York, Random House, 1973 3, spec. capp. 4 e 5, pp. 418–70; e Crozier, M., Le phénomène hureaucratique, Paris, Seuil, 1963, tr. it., Il fenomeno burocratico, Milano, Etas Kompass, 1969. Per un'analisi comparata, mi si consenta di rinviare anche al mio libro La crisi dello stato industriale d'Occidente: Giappone, Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti, di prossima pubblicazione.Google Scholar

37. L'urbanizzazione e la secolarizzazione erano già avvenute nel 1966; e non basta citare il time lag esistente tra mutamenti sociali ed effetti politici degli stessi, come fa G. Sani nell'articolo Ricambio elettorale e identificazioni partitiche: verso una egemonia delle sinistre? , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», V (1975), pp. 515544. C'è qualcosa di piú: c'è il «deperimento del partito» della DC, parallelo al crescere degli apparati di corrente. Questo processo rende superati i dati delle pur ottime ricerche curate da Poggi, G., L'organizzazione partitica del PCI e della DC, Bologna, Il Mulino, 1968; e da Manoukian, A., La presenza sociale del PCI e della DC, Bologna, Il Mulino, 1968.Google Scholar

38. Cfr. la relazione di Formica, R. alla Conferenza Nazionale di Organizzazione del PSI (Firenze, 6–9 Febbraio 1969), ora ne Il partito socialista. Struttura e organizzazione, Padova, Marsilio, 1975, pp. 1574.Google Scholar

39. Per il metodo decisionale nell'analisi del potere, cfr. Dhal, R. A., Who Governs? New Haven, Yale University Press, 1961 e, dello stesso autore, A Critique of the Ruling Elite Model, in «American Political Science Review», LII (1958), pp. 463 segg. Per una panoramica del dibattito scientifico sui metodi di analisi del potere, cfr. le antologie curate da Bell, R., Edwards, D. W. e Wagner, R. H., Political Power: A Reader in Theory and Research, New York, Free Press, 1966, e da Passigli, S., Potere ed élites politiche, Bologna, Il Mulino, 1971. Mi sembrano utili, per l'argomento affrontato in questo scritto, anche gli ultimi capitoli del mio La struttura del potere, Roma, Bulzoni, 1972.Google Scholar

40. Per «non decisioni» intendo quelle decisioni che non vengono neppure proposte perché se ne sconta la reiezione pregiudiziale.Google Scholar

41. Sul punto, cfr. Are, G., Industria e politica in Italia, cit.Google Scholar

42. G. Are rileva che i gruppi dell'ultrasinistra «hanno acquistato nei dinamismi politici italiani una rilevanza e una condizionante efficacia che non trova neanche il piú lontano riscontro nella vita politica inglese, tedesca e francese, e in quella dei minori paesi dell'Occidente europeo. Al punto che sembra inevitabile annoverare i gruppi che le concepiscono e le attuano, come uno dei protagonisti principali della lotta politica italiana» (op. cit. , p. 192).Google Scholar

43. Sull'argomento, cfr. Rizzi, F., Dall'unificazione alla scissione socialista (1966–69) , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», III (1973), pp. 406–24.Google Scholar

44. In un'intervista al periodico «Rinnovarsi», Dicembre 1970.Google Scholar

45. Sartori parla di un «indice di volubilità ideologica», che potrebbe registrare quante volte i leaders dei nostri partiti si siano spostati lungo lo spettro ideologico interno del proprio partito (Correnti, frazioni e fazioni, cit., p. 23). Sulle correnti italiane, cfr. Partiti, correnti e voto di preferenza di Cazzola, F., a pp. 127–52 del volume a cura di Spreafico, A. e Caciagli, M., Un sistema politico alla prova, Bologna, Il Mulino, 1975.Google Scholar

46. Sani, G., Ricambio elettorale e identificazioni partitiche, cit., p. 535.Google Scholar

47. Sani, G., Canali di comunicazione politica e orientamenti dell'elettorato , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», III (1974), passim.Google Scholar

48. Sani rileva che i settori moderati che decidono di votare a sinistra scelgono il PCI proprio per la solidità della sua organizzazione, e le relative qualità di «forza, efficienza, serietà ed impegno» (Ricambio elettorale e identificazione partitica, cit., p. 539).Google Scholar

49. La regola in questione vale anche per le presidenze degli organi esecutivi del governo locale. Sintomatico è il caso della regione veneta, dove la DC ha concordato il programma col PCI pur disponendo, da sola, della maggioranza assoluta dei seggi nell'assemblea regionale (31 su 60). L'accordo è stato voluto dalla maggioranza moderata che fa capo all'on. Bisaglia, per svuotare di significato politico il cartello di opposizione interna costituito, a livello regionale, da tute le altre correnti, e capeggiato dai seguaci dell'ori. Rumor, uscito dalla corrente dorotea nel luglio scorso. Poiché questo cartello si appoggiava ai socialisti, i bisagliani hanno inteso togliergli ogni capacità di coalizione (e di «ricatto») ottenendo l'appoggio comunista.Google Scholar

50. Nello scritto Dal proporzionalismo intrapartitico al fazionismo eterodiretto , in Correnti, frazioni e fazioni, cit., spec. pp. 105–6.Google Scholar

51. Cfr. di Palma, G., Conflitto ed élites nelle società industriali , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», I (1971), pp. 481514; Lijphart, A., The Politics of Accommodation. Pluralism and Democracy in the Netherlands, Berkeley, University of California Press, 1968.CrossRefGoogle Scholar

52. Pasquino, G. ha tentato di applicare all'Italia lo schema interpretativo della «democrazia consociativa» ( Il sistema politico italiano tra neo-trasformismo e democrazia consociativa , in «Il Mulino», XXII (1973), pp. 549–66). Mi sembra però che abbia ragione Sartori nel rilevare che il modello consociativo si riferisce ai sistemi segmentati, e non a quelli polarizzati, come l'italiano (Il caso italiano: salvare il pluralismo e superare la polarizzazione, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», IV (1974), spec. p. 680). Proporrei una terza ipotesi: quella di interpretare col modello consociativo gli anni del centrosinistra, non a caso caratterizzati dal principio della rigorosa, proporzionale, co-presenza dei partiti della maggioranza in tutte le sedi decisionali e di gestione, a cominciare dai mass-media. Oggi assistiamo piuttosto al tentativo delle sinistre di superare il modello consociativo, e di assicurarsi l'egemonia sia nella società civile che nel sistema politico.Google Scholar