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VERSO IL SUPERAMENTO DEL PLURALISMO POLARIZZATO?
Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Introduzione
Nel suo recente saggio Rivisitando il ≪ pluralismo polarizzato ≫ Giovanni Sartori ripropone, aggiornandola, la sua nota interpretazione del sistema politico italiano. Tale interpretazione era stata avanzata fra il 1965 e il 1968 in quattro scritti, ove era formulata una nuova tipologia dei sistemi di partito. All'interno di questa era elaborata l'originale categoria analitica del ≪ pluralismo polarizzato ≫ sotto cui era sussunto il nostro sistema. L'intento di Sartori è stato, dunque, duplice: (a) costruire un modello analitico piú comprensivo e meno approssimativo di quello proposto da Maurice Duverger nella sua notissima monografia sui partiti politici e (b) guardare, alla luce di tale modello, la dinamica tipica del sistema politico italiano. Il risultato di questa doppia operazione euristica è stato estremamente istruttivo. Non solo Sartori ha dato un notevole contributo al perfezionamento della teoria dei partiti politici, ma ha anche indicato la via che bisogna seguire per giungere a comprendere le anomalie e le disfunzioni della democrazia italiana.
- Type
- Dibattito
- Information
- Italian Political Science Review / Rivista Italiana di Scienza Politica , Volume 4 , Issue 3 , December 1974 , pp. 645 - 673
- Copyright
- Copyright © Società Italiana di Scienza Politica
References
Notes
1 In Cavazza, F.L. e Graubard, S.R. (a cura di), Il caso italiano , Milano, Garzanti, 1974, pp. 196–223.Google Scholar
2 Partiti e sistemi di partito , Firenze, Editrice Universitaria, 1965; Modelli spaziali di competizione fra i partiti, in ≪ Rassegna Italiana di Sociologia ≫, VI, (1965), pp. 7–29; European Political Parties: The Case of Polarized Pluralism , in La Palombara, J. e Weiner, M., (eds.), Political Parties and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1966, pp. 137–166; Tipologia dei sistemi di partito, ≪ Quaderni di Sociologia ≫, XVII (1968), pp. 187–226. A questi scritti si potrebbe aggiungere anche Proporzionalismo, frazionismo e crisi dei partiti , in Sartori, G. (a cura di), Correnti, frazioni e fazioni nei partiti politici italiani, Bologna, Il Mulino, 1973, ove Sartori ha cercato di approfondire a livello sub-partitico le sue precedenti analisi svolte a livello partitico.Google Scholar
3 Les parties politiques , Paris, Colin, 1958; tr. it. I partiti politici, Milano, Comunità, 1961. Cfr. anche la sezione dedicata ai partiti politici di Sociologie politique, Paris, PUF, 1968.Google Scholar
4 Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia , Bologna, Il Mulino, 1966.Google Scholar
5 Dello stesso avviso sembra essere François Bourricaud quando scrive che ≪ fra la tesi del ‘bipartitismo imperfetto’ e quella del ‘pluralismo polarizzato’ vi è forse una differenza meno netta di quanto potrebbe sembrare in un primo momento ≫ (Partitocrazia: consolidamento o rottura, ne Il caso italiano, cit. p. 110).Google Scholar
6 Cfr. Sartori, G., La politica comparata: premesse e problemi , in ≪ Rivista Italiana di Scienza Politica ≫, I (1971), pp. 7–66.Google Scholar
7 Perché un regime politico sia legittimo non è necessario che la conformità sia estesa a tutti gli aspetti della società; è sufficiente — e indispensabile — che i membri della comunità politica siano d'accordo sulle norme e sui valori che devono regolare la conquista e l'esercizio del potere. Nel pluralismo polarizzato questo accordo di base manca, e ciò determina il fatto che la lotta politica non riguarda certi aspetti del sistema, ma il sistema nel suo complesso. Detto in altra forma: nel pluralismo polarizzato la lotta politica non è nel sistema bensí sul sistema.Google Scholar
8 Sul concetto di cultura politica frammentata cfr. l'opera ormai classica di Almond, G. A. e Verba, S., The Civic Culture. Political Attitudes and Democracy in Five Nations , Princeton, Princeton University Press, 1963, nonché l'ottimo saggio di La Palombara, J., Italy: Fragmentation, Isolation, and Alienation , in Pye, L. W. e Verba, S., (eds.), Political Culture and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1965, pp. 282–329.Google Scholar
9 Il ≪ duello esistenziale ≫ implica una contrapposizione radicale fra due gruppi sociali con obbiettivi inconciliabili, come avviene nella guerra e nella guerra civile (Cfr. Schmitt, C., Der Begriff des Politischen , Berlin, 1932; tr. it. Le categorie del politico. Saggi di teoria politica, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 101–165). Esso corrisponde al concetto di conflitto senza base comunitaria elaborato da Coser, L. A., The Functions of Social Conflict, New York, The Free Press, 1956; tr. it. Le funzioni del conflitto sociale, Milano, Feltrinelli, 1967.Google Scholar
10 Il concetto di sectional society è stato proposto da Blondel, J. ( An Introduction to Comparative Politics , Londra, Weidenfeld & Nicholson, 1969, p. 53) per indicare una comunità nella quale le variabili sociali sono distribuite in maniera non omogenea, per cui le zone di alienazione e di anomia sono particolarmente vaste e numerose. Cfr. anche l'applicazione di questa categoria analitica fatta da Smith, G., Politics in Western Europe, London, Heinemann, 1972.Google Scholar
11 Sulla dialettica fra sostegni e contro-sostegni sono fondamentali le opere di Easton, D., A Framework for Political Analysis , Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1965 e A Systems Analysis of Political Life, New York, Wiley & Sons, 1965.Google Scholar
12 Sartori, G., Rivisitando il ≪ pluralismo polarizzato ≫, cit. p. 215.Google Scholar
13 Per la verità — come lo stesso Sartori ha piú volte precisato — tale rotazione esiste, ma è marginale poiché coinvolge solo i partiti delle mezze ali (PSI, PSDI, PRI, PLI). Quanto alla DC, essa resta per definizione il partito di governo. Anzi, sarebbe piú esatto dire il ≪ partito-regime ≫ poiché gli elettori, quando sono chiamati a votare, scegliendo la DC ribadiscono, piú che la volontà di essere governati dai democristiani, la volontà di voler essere governati secondo certe regole e nel rispetto di certi valori e interessi. Lo ripeto: in Italia ogni elezione è necessariamente un referendum sul regime democratico, non già una scelta dei governanti, che restano quasi sempre gli stessi.Google Scholar
14 Sartori, G., Tipologia dei sistemi di partito , in Fisichella, D. (a cura di) Partiti e gruppi di pressione , Bologna, Il Mulino, 1972, p. 202.Google Scholar
15 Sartori, G., European Political Parties , cit., p. 147.Google Scholar
16 Cfr. Galli, G., Il difficile governo. Un'analisi del sistema politico italiano , Bologna, Il Mulino, 1972, p. 262, e I partiti politici, Torino, UTET, 1974, p. 353.Google Scholar
17 Galli, G., Il bipartitismo imperfetto , cit., pp. 55 e 63.Google Scholar
18 Con questo non voglio dire che non vi siano differenze analitiche sostanziali fra l'interpretazione di Galli e quella di Sartori, ma semplicemente che esiste una convergenza spontanea nell'individuare la questione chiave della vita politica nazionale nel patologico funzionamento della dialettica governo-opposizione.Google Scholar
19 Cfr. Ionescu, G. e de Madariaga, I., Opposition. Past and Present of a Political Institution , London, Penguin Books, 1968, pp. 79–83 e Barnes, S., Italy. Oppositions on Left, Right and Center , in Dahl, R. A., (ed.), Political Oppositions in Western Democracies, New Haven, Yale University Press, 1966, pp. 323–331; Bibes, Geneviève, Le système politique italien, Paris, P.U.F., 1974.Google Scholar
20 Le fratture ideologiche non nascono a caso e, comunque, non sono il prodotto della cospirazione di minoranze dai torbidi fini. Ortega y Gasset, che su questo punto meditò profondamente dopo la guerra civile che straziò il suo paese, ha scritto che ≪ la concordia sostantiva, cemento ultimo di ogni società stabile, presuppone che in una collettività vi sia una credenza ferma, comune, inquestionabile e praticamente inquestionata, su chi debba comandare. E ciò è tremendo. Perché, se non c'è tale credenza, è illusorio sperare che la società si stabilizzi ≫ (Del Imperio Romano , in Obras Completas , Madrid, Revista de Occidente, 1964, vol. VI, p. 61). Le recriminazioni che tanto spesso si odono contro i difetti della democrazia italiana non tengono presente questo fatto elementare: se non c'è unità ideologica, è puerile e sterile protestare contro i suoi effetti negativi o, addirittura, accusare questo o quel gruppo politico di fomentare la discordia.Google Scholar
21 Secondo uno dei luoghi comuni piú diffusi, la democrazia rappresentativa sarebbe un sistema di governo poco efficiente poiché l'iter che devono seguire le domande prima di essere convertite in outputs sarebbe prolisso e irrazionale a petto dell'iter istituzionalizzato nei regimi autoritari e totalitari. Ma è vero esattamente il contrario, poiché proprio il potere di controllo e di sanzione dei governati sui governanti impone a quest'ultimi un minimo di efficienza. Inoltre la presenza di una pluralità di canali di comunicazione e informazione offre alle élites di governo una eccellente piattaforma cognitiva per le loro decisioni. Se si ha l'impressione del contrario, è perché gli sprechi e i costi in un regime pluralistico sono quasi sempre trasparenti, mentre in un regime monistico vengono sistematicamente occultati.Google Scholar
22 Friedrich, C. J., Man and His Government. An Empirical Theory of Politics , New York, Mc Graw-Hill, 1963, pp. 203–204.Google Scholar
23 Qui mi pare opportuna una precisazione. Non intendo accusare la DC di essere un partito che abbia come vocazione la corruzione. Un giudizio sereno su di essa non può prescindere dai non pochi risultati positivi conseguiti dal paese sotto la sua direzione, né dal fatto che, nel complesso, essa esprime una politica piú progressista del suo elettorato. Quello che qui voglio sottolineare è che la meccanica del sistema politico italiano — che è quella tipica del pluralismo polarizzato — ha trasformato automaticamente la Democrazia Cristiana in un partito corrotto e corruttore attraverso il quale la ≪ borghesia burocratica ≫ ha compiuto l' ≪ occupazione ≫ parassitaria della società civile (cfr. Galli, G., La situazione della DC , in ≪ Critica Sociale ≫, 1974, n. 7).Google Scholar
24 La tesi secondo la quale la democrazia liberale deve difendersi dai suoi nemici costringendoli al silenzio è stata esplicitamente sostenuta da Voegelin, E., The New Science of Politics , Chicago, Chicago University Press, 1952; tr. it. La nuova scienza politica, Torino, Borla, 1968, p. 220. Ma il liberalismo è esattamente il contrario di quello che vuol farci credere Voegelin: infatti esso è stato definito giustamente come ≪ il diritto che la maggioranza riconosce alla minoranza… e la decisione di convivere col nemico ≫ (Ortega, J. y Gasset, , La rebelión de las masas, Madrid, Revista de Occidente, 1930; tr. it. La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1962, p. 72). Per una puntuale critica della tesi di Voegelin cfr. Kelsen, H., Foundations of Democracy, in ≪ Ethics ≫, LXVII (1955–1957); tr. it. I fondamenti della democrazia, Bologna, Il Mulino, 1966, pp. 127–142.Google Scholar
25 Questa preoccupazione di non accoppare il malato sotto i ferri operatori è stata argomentata in forma assai articolata da Fisichella, D., L'alternativa rischiosa , Firenze, Sansoni, 1973. Di questa brillante risposta polemica a Galli condivido pienamente i dubbi che Fisichella solleva circa la possibilità che una crisi economica possa indirizzare il sistema politico italiano verso una democrazia ≪ perfetta ≫ e ≪ avanzata ≫. Per quel che ne sappiamo, il collasso del sistema economico ha sempre determinato, almeno in Europa, una svolta a de stra. Consci di ciò, molti leaders comunisti (Berlinguer, Amendola, ecc.) non hanno esitato ad affermare esplicitamente che essi non intendono affatto rompere la ≪ macchina ≫ produttiva capitalistica per favorire il neo-fascismo. Proprio perciò io sono piú ottimista di Sartori e Fisichella circa la piena recuperabilità del PCI alla democrazia. In questo senso io mi muovo nella stessa direzione politica di Galli, anche se nei particolari avrei molte riserve da fare.Google Scholar
26 Il concetto di ≪ sviluppo negativo ≫ elaborato da Riggs, F. ( Administration in Developing Countries. The Theory of Prismatic Society , Boston, Houghton Mifflin, 1964, pp. 117–118) si può applicare, con qualche correzione, alla situazione italiana degli ultimi anni, caratterizzata da una crescita generale della società civile accompagnata da squilibri e tensioni sociali non controbilanciati da un adeguato flusso di outputs politici. In questo senso le radici della nostra crisi attuale non sono economiche, bensì politiche.Google Scholar
27 Tamburrano, G., Centro-sinistra: una politica di emergenza democratica , in ≪ Critica Sociale ≫, 1973, n. 10.Google Scholar
28 Cfr. a conferma Cazzola, F., Consenso e opposizione nel Parlamento italiano. Il ruolo del PCI dalla I alla IV legislatura , in ≪ Rivista Italiana di Scienza Politica ≫, II (1972), pp. 71–96.Google Scholar
29 Trevelyan, G. M., Storia della società inglese , Torino, Einaudi, 1948.Google Scholar
30 Soltau, R. H., An Introduction to Politics , London, Longmans, 1965, p. 319.Google Scholar
31 Ogni data, ovviamente, è arbitraria. Tuttavia il 1968 mi pare un anno decisivo per le ragioni che espongo più avanti. Ritengo perciò che ogni analisi dell'evoluzione del PCI che non tenga conto del periodo 1968–1974 rischia di essere fuorviarne poiché fa vedere piú il passato che il futuro, come è il caso di Blackmer, D.L.M., Unity and Diversity. Italian Communism and Communist World , Cambridge Mass., M.I.T. Press, 1968, e Tarrow, Sidney G., Peasant Communism in Southern Italy, New Haven, Yale University Press, 1967; tr. it. Partito Comunista e contadini nel Mezzogiorno, Torino, Einaudi, 1972.Google Scholar
32 Uso il concetto di ≪ dissonanza cognitiva ≫ nel senso elaborato da Leon Festinger poiché la sua analisi dei meccanismi difensivi utilizzati dai movimenti chiliastici dopo la smentita dell'avvento del Regno, ( A Theory of Cognitive Dissonance , Stanford, Stanford University Press, 1957; tr. it. Teoria della dissonanza cognitiva, Milano, Angeli, 1973, pp. 219–231) si attaglia perfettamente alla crisi che il movimento comunista ha dovuto fronteggiare fra il 1956 e il 1958.Google Scholar
33 Pellicani, L., L'alternativa del ≪ Manifesto ≫ , in ≪ Critica Sociale ≫, 1970, n. 1.Google Scholar
34 Il gruppo del ≪ Manifesto ≫ non può essere assimilato agli altri gruppuscoli della sinistra extra-parlamentare poiché esso non è costituito da giovani contestatori, bensì da veterani della milizia comunista che, proprio per ciò, hanno avuto una particolare socializzazione.Google Scholar
35 Con questo non voglio dire che non vi sia stata cospirazione nel colpo di Stato diretto da Pinochet, né che gli USA non abbiano dato il loro contributo alla distruzione del regime democratico in Cile. Ciò che alla teoria marxista-leninista della cospirazione sfugge è che un complotto, per riuscire deve trovare condizioni oggettive favorevoli che i cospiratori non possono creare a piacere. In questo senso la cospirazione è tutt'al piú una variabile interveniente, mai una determinante capace di spiegare da sola il crollo di un regime politico (Cfr. Popper, K.R., Conjectures and Refutations , London, Routledge & Kegan Paul, 1969; tr. it. Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 212–216).Google Scholar
36 Berlinguer, E., Alleanze sociali e schieramenti politici , in ≪ Rinascita ≫, 1973, n. 40.Google Scholar
37 Cfr. Downs, A., An Economic Theory of Democracy , New York, Harper & Row, 1957, pp. 118–121.Google Scholar
38 Sulla distinzione concettuale fra ≪ arena civile ≫ e ≪ arena militare ≫ cfr. Lasswell, H. D. e Kaplan, A., Power and Society , New York, Yale University Press, 1950; tr. it. Potere e società, Milano, Etas Kompass, 1969, pp. 269–271.Google Scholar
39 Cfr. Pellicani, L., Dinamica delle rivoluzioni. Il ruolo delle guerre di classe nella nascita del mondo moderno , Milano, Sugar, 1974.Google Scholar
40 Ortega y Gasset, J., Del Imperio Romano , cit. p. 90.Google Scholar
41 Per la verità Berlinguer al convegno dei partiti comunisti di Bruxelles tenutosi agli inizi del 1974 non ha esitato a dichiarare esplicitamente che il socialismo in Occidente deve innestarsi sul tronco della tradizione pluralistica, facendo proprie le tecniche di salvaguardia delle libertà individuali elaborate dal liberalismo. Un modo abbastanza chiaro, anche se indiretto, di dire che i comunisti occidentali devono ispirarsi piú alla strategia riformista della Seconda Internazionale che a quella rivoluzionaria della Terza. Né si può credere che Berlinguer abbia fatto tali dichiarazioni di principio per ingannare gli avversari e per indurli a disarmare. Infatti tale dichiarazione è stata fatta ai leaders del comunismo mondiale, che, ovviamente, non hanno mostrato di gradirla molto.Google Scholar
42 Quando parlo di tradizione socialdemocratica non mi riferisco al PSDI, bensì alla tradizione della Seconda Internazionale. Inoltre sono convinto che oggi in Italia l'autentico partito socialdemocratico sia il PSI (Cfr. Pellicani, L., Le due anime del socialismo: massimalismo e riformismo , in ≪ Critica Sociale ≫, 1974, n. 6).Google Scholar
43 Ripa di Meana, C., La Bad Godesberg silenziosa del comunismo italiano , in ≪ Critica Sociale ≫, 1974, n. 2.Google Scholar
44 Sul fallimento storico-politico dell'alternativa marxista nella società occidentale cfr. Pellicani, L., I rivoluzionari di professione. Teoria e prassi dello gnosticismo moderno , Firenze, Vallecchi, 1974.Google Scholar
45 Maurice Duverger ha proposto di chiamare il sistema occidentale plutodemocrazia poiché in esso ≪ il potere poggia contemporaneamente sul popolo (demos) e sulla ricchezza (plutos) ≫ ( Janus. Les deux faces de l'Occident , Parigi, Fayard, 1972; tr. it. Giano: le due facce dell'Occidente, Milano, Comunità, 1973, p. 8). Questa definizione mi pare assai utile, dato che permette di considerare pro-sistema anche quei partiti che, pur avendo un atteggiamento critico nei confronti del capitalismo, accettano le regole liberaldemocratiche del mercato politico.Google Scholar
46 Cfr. Kriegel, A., Les communistes français , Paris, Seuil, 1968.Google Scholar
47 Cfr. Pellicani, L., La rivoluzione industriale e il fenomeno della proleta-rizzazione , in ≪Rassegna Italiana di Sociologia ≫, XIV (1973), pp. 63–84.Google Scholar
48 Strachey, J., Contemporary Capitalism , London, Gollancs, 1956; tr. it. Il capitalismo contemporaneo, Milano, Feltrinelli, 1957, p. 220.Google Scholar
49 Colui che ha descritto per primo in maniera sistematica tali cambiamenti strutturali è stato, come è noto, Galbraith, J. K. ( The Affluent Society , Boston, Houghton Mifflin, 1958; tr. it. Economia e benessere, Milano, Comunità, 1959 e The New Industrial State, Boston, Houghton Mifflin, 1967; tr. it. Il nuovo Stato industriale, Torino, Einaudi, 1968). Recentemente Galbraith ha corretto il tiro del suo discorso sottolineando con maggior vigore gli aspetti ≪ sgradevoli ≫ del sistema di mercato (Economics and Public Purpose, Boston, Houghton Mifflin, 1972, tr. it. L'economia e l'interesse pubblico, Milano, Mondadori, 1974). Tuttavia il dato fondamentale è che tale sistema ha perso il carattere esplosivo che aveva nella fase di formazione. Il che ha reso obsoleta l'alternativa rivoluzionaria. Oggi, piaccia o meno, l'unica politica concreta che la sinistra può fare è una politica di riforme tesa a modificare gradualmente l'allocazione autoritativa dei valori. Google Scholar
50 Cfr. Parsons, T., The System of Modern Society , Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1971; tr. it. Le società moderne, Bologna, Il Mulino 1973, p. 184.Google Scholar
51 Polanyi, K., The Great Transformation , Boston, Beacon Press, 1957; tr. it. La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974.Google Scholar
52 Dico ≪ relativamente ≫ non solo perché una società dinamica e competitiva come quella capitalistica per forza di cose genera nel suo seno squilibri, tensioni e numerose zone di anomia, ma anche, e soprattutto, perché l'allocazione dei valori non corrisponde che in misura minima al paradigma democratico e all'ideale socialista di eguaglianza. In altre parole, il sistema occidentale ancora oggi, malgrado i significativi progressi compiuti dalle classi subalterne nella direzione della partecipazione, resta una plutodemocrazia. Google Scholar
53 Germani, G., Social Change and Inter-Group Conflict , in Horowitz, I. L., (ed.), The New Sociology , New York, Oxford University Press, 1964, p. 394 Google Scholar
54 Sul carattere ≪ naturalmente ≫ anomico e alienante della società capitalistica cfr. Izzo, A. (a cura di) Alienazione e sociologia , Milano, Angeli, 1973.Google Scholar
55 L'opera piú istruttiva sull'istituzionalizzazione del conflitto di classe resta a tutt'oggi quella di Dahrendorf, R., Soziale Klassen und Klassenkonflikt in der industriellen Gesellschaft , Stuttgart, Enke, 1957; tr. it. Classi e conflitti di classe nella società industriale, Bari, Laterza, 1970. Tuttavia la sua tesi centrale era stata già formulata da Geiger, T., Klassengesellschaft im schmelztiegel, Köln, Kiepenheuer & Witsch, 1949; tr. it. in Saggi sulla società industriale, Torino, UTET, 1970.Google Scholar
56 Landolfi, A., Il socialismo italiano. Strutture, comportamenti, valori , Roma, Lerici, 1968, p. 281. Analoga è la tesi di un altro teorico socialista: Mallet, S., La nouvelle classe ouvrière, Paris, Seuil, 1969; tr. it. La nuova classe operaia, Torino, Einaudi, 1970.Google Scholar
57 La nota formula di Daniel Bell ≪ la fine delle ideologie ≫ ( The End of Ideology. On the Exhaustion of Political Ideas in the Fifties , New York, The Free Press, 1960) è accettabile se con essa si vuole indicare semplicemente la tendenza alla de-radicalizzazione della lotta politica quale conseguenza della progressiva, ancorché parziale e contraddittoria, reintegrazione del proletariato interno della civiltà occidentale. Ciò significa, non già che i partiti operai cessano di avere un'ideologia polemica nei confronti del capitalismo, ma piuttosto che essi adottano una strategia piú possibilista e conciliativa — quindi meno dottrinaria — nella misura in cui il sistema palesa una ≪ elasticità ≫ economica e politica che consente, appunto, il bargaining .Google Scholar
58 Cfr. Kirchheimer, O., The Transformation of Western European Party, Systems , in La Palombara, J. e Weiner, M., (eds.), Political Parties and Political Development , cit., pp. 184–192 e Pizzorno, A., Uno schema teorico per l'analisi dei partiti politici , in Sivini, G. (a cura di), Partiti e partecipazione politica in Italia, Milano, Guffrè, 1969, pp. 5–40.Google Scholar
59 Cfr. Fourastié, J., Le grand espoir du XX siécle , Paris, Gallimard, 1963 e La civilisation de 1975, Paris, PUF, 1967. A conferma si veda l'eccellente volumetto di Paolo Sylos-Labini, Saggio sulle classi sociali, Bari, Laterza, 1974.Google Scholar
60 La distinzione fra partito di mobilitazione (mobilist Party) e partito di adattamento (adaptive Party) è di Weiner, M. e La Palombara, J., The Impact of the Parties on Political Development , nel volume citato da loro curato, p. 425.Google Scholar
61 Il che spiega, da una parte, l'obsolescenza del marxismo nei paesi industriali avanzati e, dall'altra, lo straordinario appeal che esso continua a suscitare nei paesi sottosviluppati alle prese con i problemi della modernizzazione difensiva (cfr. Pellicani, L., Dinamica delle rivoluzioni , cit.).Google Scholar
62 Rivoluzione e democrazia sono due realtà inconciliabili fra di loro. Se un partito vuol rispettare le regole della democrazia liberale — elezioni generali, istituzionalizzazione dell'opposizione, libertà individuali ecc. — deve per forza di cose rinunciare al progetto rivoluzionario. E ciò perché, mentre la democrazia governa contando le teste, la rivoluzione, al contrario, le deve tagliare senza pietà. Donde la tirannia oligarchica che succede sempre alle crisi rivoluzionarie (cfr. Pellicani, L., Dinamica delle rivoluzioni , cit.).Google Scholar
63 Dal momento in cui un partito anti-sistema cessa di essere composto di individui motivati e socializzati in maniera particolarissima, esso si autocondanna nel lungo periodo ad adattarsi e ad integrarsi nel suo contorno sociale. È per questo che Lenin concepì il partito rivoluzionario come una setta parareligiosa onde evitare che esso fosse contaminato dal mondo ≪ borghese ≫ (Pellicani, L., I rivoluzionari di professione , cit.).Google Scholar
64 Cfr. Petracca, O. M., Tattica e strategia dei programmi elettorali , in Petracca, O. M. e Dogan, M. (a cura di) Partiti politici e strutture sociali in Italia , Milano, Comunità, 1968, pp. 51–57.Google Scholar
65 Mi riferisco non solo ai gruppi di riferimento positivi — classe operaia, contadini, intellettuali — bensì anche a quelli negativi, poiché si è verificata una redistribuzione del potere nel seno della struttura di classe delle società capitalistiche che ha fatto emergere nuove élites quali l'intellighenzia manageriale e la borghesia burocratica. Il che sta costringendo i partiti della sinistra a ridefinire la loro strategia riformatrice.Google Scholar
66 I dirigenti comunisti e gli intellettuali ≪ organici ≫ si mostrano indignati quando vengono giudicati dei riformisti anziché dei rivoluzionari. Ma il fatto che negli ultimi anni essi abbiano avvertito il bisogno di riassicurare la base — e se stessi — di non essere diventati dei socialdemocratici è assai rivelatore e indica che oggi essi si rendono conto che la distanza fra la loro politica e quella della (un tempo) vituperata socialdemocrazia europea si è ormai ridotta ai minimi termini. (Cfr. Timmermann, Heinz, I comunisti italiani , Bari, De Donato, 1974).Google Scholar
67 Roth, G., The Social Democrats in Imperial Germany , Totowa, Bedminster, 1963; tr. it. I socialdemocratici nella Germania Imperiale, Bologna, Il Mulino, 1971.Google Scholar
68 Linz, J., La democrazia italiana di fronte al futuro , ne Il caso italiano , cit., p. 144.Google Scholar
69 Pasquino, G., Pesi internazionali e contrappesi nazionali , ne Il caso italiano , cit., pp. 163–182.Google Scholar
70 Aron, R., Paix et guerre entre les nations , Paris, Calmann-Lévy, 1962; tr. it. Pace e guerra fra le nazioni, Milano, Comunità, 1970, p. 615.Google Scholar
71 Si può anche immaginare lo scavalcamento dello scoglio internazionale. Ma purtroppo si tratta di un'ipotesi puramente teorica. In pratica, dato che l'Italia percepisce se stessa come una piccola potenza che ha bisogno di un sostegno internazionale, essa non abbandonerà mai il sostegno americano senza avere a portata di mano un appoggio sostitutivo. Consci di ciò, i dirigenti comunisti hanno accentuato il loro filoeuropeismo. Infatti l'unità politica dell'Europa occidentale potrebbe di colpo rendere obsoleta l'opposizione fra USA e URSS, quindi superfluo il filoatlantismo quale requisito necessario e indispensabile per entrare nella Città del comando.Google Scholar
72 I leaders comunisti si trovano oggi nella situazione di chi cavalca la tigre: hanno fatto spettacolari progressi nella direzione dell'egemonizzazione della sinistra italiana grazie al mito (e all'appoggio economico) dell'Unione Sovietica, ma nello stesso tempo si sono condannati a continuare la corsa anche controvoglia, poiché la rinuncia improvvisa al legame organico con la ≪ patria del socialismo ≫ potrebbe significare la disgregazione del PCI o, quanto meno, la nascita di un partito concorrente.Google Scholar
73 Sartori, G., Rivisitando il ≪ pluralismo polarizzato ≫, cit. 219. Analoga la previsione di Matteucci, N., La grande coalizione , in ≪ Il Mulino ≫, XX (1971), pp. 3–24.Google Scholar
74 Il concetto di ≪ democrazia consociativa ≫ elaborato da Alfred Lijphart è stato applicato al caso italiano da Pasquino, G., Il sistema politico italiano fra neo-trasformismo e democrazia consociativa , in ≪ Il Mulino ≫, XXII (1973), pp. 549–566 e accolto da Galli, G., Quando il PCI si oppone, in ≪ Panorama ≫, 1974, n. 431.Google Scholar
75 Mi riferisco alle crisi indicate da Sartori, e cioè: crisi di legittimità, crisi di distribuzione e crisi di secolarizzazione ( European Political Parties , cit. 152).Google Scholar
76 O nell'intervento economico-politico degli Stati Uniti con conseguente ulteriore riduzione della sovranità internazionale italiana.Google Scholar
- 6
- Cited by