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LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA COME PROCESSO POLITICO

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

Le programmazioni economiche nazionali — a detta degli stessi pianificatori — falliscono buona parte dei propri obiettivi a causa di ragioni piú spesso politiche che economiche. Benchè messa per ora in termini assai vaghi, non credo che questa affermazione sorprenda eccessivamente; molto piú sorprendente è, invece, constatare come uno strumento di politica economica — qual'è indubbiamente la programmazione — abbia ricevuto da parte degli studiosi cosí scarsa e deludente attenzione proprio nei suoi aspetti e problemi politici. Il risultato è che oggi in materia sappiamo davvero troppo poco e, se è vera l'affermazione di partenza, ci troviamo tuttora pericolosamente disattrezzati a formulare consigli e avvertenze su una delle condizioni basilari per programmare meglio di come si sia riusciti a fare finora.

Type
Saggi
Copyright
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References

Notes

1 È la conclusione alla quale pervengono, mi sembra, autori come Cohen, S.S., Modern Capitalist Planning: The French Model , Cambridge, Harvard University Press, 1969; Waterston, A., A Development Planning. Lessons of Experience, Baltimore, Johns Hopkins Press, 1965, trad. it. La programmazione dello sviluppo. Lezioni dell'esperienza, Milano, Giuffrè, 1967; ed è, probabilmente, anche la morale contenuta nello sfogo di Ruffolo, G., Rapporto sulla programmazione, Bari, Laterza, 1973.Google Scholar

2 L'argomento ha cominciato ad essere di moda da non piú di una decina di anni. Prima di allora le riflessioni dei politici su tale argomento erano pressoché sconosciute. Una significativa eccezione: Eckstein, H., Planning: A Case Study , in ≪ Political Studies ≫, IV (1956), pp. 4660.CrossRefGoogle Scholar

3 Per un consuntivo su base comparata dei risultati finora conseguiti dalla programmazione economica, si può vedere il già citato libro di Waterston, che cosí sintetizza la propria opinione: ≪ La programmazione ha fatto molto per favorire lo sviluppo nei paesi meno sviluppati, ma vi sono stati piú insuccessi che successi nell'attuazione dei programmi di sviluppo. Effettivamente, pochissimi paesi meno sviluppati sono sostanzialmente riusciti a raggiungere obiettivi di programmazione ragionevoli per un lungo periodo di tempo. Inoltre, il divario tra previsione e realizzazione sembra allargarsi. Nelle economie miste i successi nella realizzazione di obiettivi di sviluppo industriale sono stati generalmente maggiori nel settore privato che in quello pubblico. È allo sviluppo nel settore privato, spesso in contrasto con le disposizioni del programma, che va normalmente attribuita la maggior parte degli aumenti nel reddito nazionale di un paese ≫. Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , trad. it. cit., pp. 451452.Google Scholar

4 Un effetto di tale babelico linguaggio si è sentito, ad esempio, in Italia negli anni 1960–1962, all'epoca dell'istituzione della programmazione economica nazionale. Si veda un significativo panorama delle discussioni di quegli anni in Di Fenizio, F., La programmazione economica (1946–1962), Torino, Utet, 1965, spec. parte I; ma anche in Forti, G. B., Appunti per una storia della programmazione in Italia, in ≪ Biblioteca della libertà ≫, IX (1972), n. 36, pp. I-XXXVIII.Google Scholar

5 Oltre al già citato lavoro di Waterston, due esempi di studi comparati condotti in modo assai intelligente e illuminante sono Tinbergen, J., Central Planning , New Haven, Yale University Press, 1964 e Levine, H. S., On Comparing Planned Economies , in Eckstein, A., (ed.), Comparison of Economic Systems, Berkeley, University of California Press, 1971, pp. 137–160.Google Scholar

6 Sulla complessa problematica delle indagini politologiche in prospettiva comparata, mi sia concesso rinviare a Urbani, G. (a cura di), La politica comparata , Bologna, Il Mulino, 1973, spec. pp. 739.Google Scholar

7 Tale distinzione è stata ben colta da Arndt, H. J., Political Problems of Planning , in ≪ Il Politico ≫ XXXIV (1969), pp. 583599 e si legge tra le righe anche in Scharpf, F. W., Plannung als politischer Prozess, in ≪ Verwaltung ≫, IV (1971), pp. 1–30.Google Scholar

8 È questa l'accezione oggi prevalentemente usata. Cfr. Levine, B. A., Public Planning , New York, Basic Books, 1972.Google Scholar

9 Saraceno, P., La formazione del programma alla luce dell'analisi dei sistemi , in ≪ Mondo Economico ≫, XXV (1970), n. 2, p. 22 (l'aggiunta in parentesi è mia).Google Scholar

10 Cfr. Sartori, G., Democratic Theory , New York, Praeger, 1965 2, cap. XVI, ma spec. pp. 385–390.Google Scholar

11 Per questa accezione di ≪ razionalità ≫ applicata al contesto del nostro tema si veda Dahrendorf, R., Markt und Plan. Zwei Typen der Razionalität , Tübingen, Mohr, 1966, trad. it. Mercato e pianificazione: due modelli di razionalità, in ≪ Biblioteca della libertà ≫, VIII (1971), n. 35, p. 86.Google Scholar

12 Hayek, F. A., The Constitution of Liberty , Chicago, University of Chicago Press, 1960, trad. it. La società libera, Firenze, Vallecchi, 1969.Google Scholar

13 Napoleoni, C., Il pensiero economico del '900 , Torino, Einaudi, 1963, spec. cap. 9.Google Scholar

14 Cfr. Antonov, O. K., La pianificazione sovietica , Firenze, Vallecchi, 1968; AA. VV., Problemi della pianificazione sovietica, Milano, Giuffrè, 1966.Google Scholar

15 Cfr. AA. VV., La ricomparsa della pianificazione economica in occidente , Milano, Giuffrè, 1963.Google Scholar

16 Cfr. Frisch, R., Generalities on Planning , in ≪ L'Industria ≫, 1958, pp. 399421, spec. paragrafo 9.Google Scholar

17 Tinbergen, J., Central Planning , cit., p. 86 (le parentesi sono mie).Google Scholar

18 Cfr. il già citato Cohen, S. S., Modern Capitalist Planning ; e Lutz, V., Central Planning for the Market Economy , London, Longmans, 1969.Google Scholar

19 Tinbergen, J., Lessons from the Past , Amsterdam, Elsevier, 1963, trad. it. Lezioni dal passato, Firenze, Vallecchi, 1967, p. 45 (il corsivo è mio). L'autore insiste molto sulle dimensioni dell'economia sovietica non sottoposta a pianificazione. Parallelamente, e con intenti analoghi, c'è chi non manca di sottolineare il grado di pianificazione raggiunto ormai dall'economia statunitense. Su quest'ultimo argomento si vedano gli autori citati piú avanti alla nota 106.Google Scholar

20 Sul concetto di ≪ risorsa politica ≫ si veda Ilchman, W. F. e Uphoff, N. T., The Political Economy of Change , Berkeley, University of California Press, 1969, spec. pp. 4991 e 167–170. Secondo questi due autori sono definibili come risorse politiche: le ≪ relazioni di status ≫, l'informazione, la forza, la legittimità, l'autorità, l'acquiescenza, oltre naturalmente al denaro, e ai beni e servizi in genere.Google Scholar

21 Uno studio — ad esempio — che descrive magistralmente la contemporanea presenza, all'interno di un unico processo decisionale, di meccanismi di coordinamento centralizzato e di meccanismi di coordinamento mediante il reciproco adattamento delle parti in competizione (e la diversa funzione che ciascuno di essi vi svolge) è quello di Lindblom, C. E., The Intelligence of Democracy , New York, Free Press, 1965, spec. parte 3.Google Scholar

22 Che poi a volte l'arbitro abusi della propria posizione — comportamento assai frequente tra i governi di tutte le latitudini — e, volente o nolente, falsi gioco e risultato, è evidentemente un discorso del tutto irrilevante ai nostri fini.Google Scholar

23 La bibliografia relativa al planning — in generale — è pressoché sterminata. Per ricostruire il quadro connotativo discusso nelle pagine immediatamente successive, oltre dei lavori citati nelle note, ci siamo ampiamente serviti anche di: AA. VV., Decision-Making , London, BBC, 1967; Cleland, D. I. e King, W. R., Systems Analysis and Project Management, New York, Mc Graw-Hill, 1968; Anderson, S., (ed.), Planning for Diversity and Choice, Cambridge, M.I.T. Press, 1968; Kaplan, A., On Strategy of Social Planning, in ≪ Policy Sciences ≫, IV (1973), pp. 41–61.Google Scholar

24 Sulla nozione di rendimento nei sistemi sociali ed economici cfr. Moss, M., (ed.), The Measurement of Economic and Social Performance , New York, National Bureau of Economic Research, 1973. Per i sistemi economici vedi anche Gruchy, A., Comparative Economic Systems. Competing Ways to Stability and Growth, Boston, Houghton Mifflin, 1966.Google Scholar

25 Cfr. Gross, B. M., What are your Organisation's Objectives? A General Systems Approach to Planning , in ≪ Human Relations ≫, XVIII (1965), pp. 195216.Google Scholar

26 Stone, R., op. cit. , pp. 2528.Google Scholar

27 Tinbergen, J., Planning, Economic , cit., p. 103.Google Scholar

28 Il concetto di ottimalità designa in Tinbergen non il ≪ miglior modo ≫ di pianificare, bensí i procedimenti (mezzi) in grado di raggiungere piú razionalmente gli obiettivi dati.Google Scholar

29 Tinbergen, J., Central Planning , cit., pp. 80102.Google Scholar

30 Cfr. Bićanić, R., op. cit. , pp. 2575.Google Scholar

31 Sotto questo profilo è interessante notare il diverso ordine di priorità in cui questi strumenti vengono usati nei vari sistemi economici: dall'U.R.S.S. (soprattutto strumenti operativi di indirizzo, e poi organizzativi e regolativi) alla Jugoslavia (nell'ordine: organizzativi, regolativi, operativi); dalla Francia (quasi esclusivamente regolativi, pochi quelli organizzativi e operativi) all'Olanda (poco quelli organizzativi e quasi nulla quelli operativi e regolativi), fino alla Svezia (ove il ricorso a strumenti amministrativi è pressoché eccezionale).Google Scholar

32 Un paese che, secondo i piú, avrebbe pianificato la propria economia facendo ricorso a questo tipo di strumenti è l'Olanda.Google Scholar

33 Bićanić, R., op. cit. , pp. 4344.Google Scholar

34 Kirschen, E. S. e altri, Economic Policy in Our Time , Amsterdam, North Holland, 1964, passim. Strumenti la cui utilizzazione l'economista Lewis suddivide in cinque stadi. Primo stadio: stimare il reddito nazionale a pieno impiego dei fattori, da una parte; conciliare le varie richieste per consumi, investimenti e spese pubbliche, dall'altra. Secondo stadio: azione pubblica per aumentare l'offerta e per assegnare il prodotto scarso, attraverso il prezzo o il contingentamento. Terzo: stimare l'equilibrio che i due precedenti tipi di azione raggiungeranno (fissare cioè gli obiettivi del piano). Quarto: pubblicare i bilanci in cui tali obiettivi sono incorporati, con tutti quei dati di cui il pubblico ha necessità per capire e per criticare ciò che il governo sta cercando di fare. Quinto: mettere in atto le misure per conseguire gli obiettivi prefissati (cioè misure per aumentare l'offerta e per ridurre la domanda, o viceversa). Cfr. Lewis, W. A., Princípi di programmazione economica, Milano, Longanesi, 1970.Google Scholar

35 La ricerca Kirschen riguardava gli strumenti di politica economica, in generale, piú che di programmazione, in particolare; che si tratti però di strumenti direttamente rilevanti anche per le economie pianificate è ben sottolineato da Tinbergen, J., Planning, Economic. Western Europe , in International Encyclopedia of the Social Sciences , New York, Collier-Mac Millan, 1968, vol. 12, p. 104.Google Scholar

36 Ibidem , pp. 8889.Google Scholar

37 Ibidem , pp. 98 e ss. Secondo Tinbergen il piano ≪ ottimo ≫ deve essere sempre uniformato a questi criteri: a) un alto grado di accuratezza nel tradurre ogni stima in variabili ben calcolate; b) alta economia di tempi; c) minimizzare il numero delle operazioni elementari di base; d) massimizzare la partecipazione delle forze sociali alla formazione del piano.Google Scholar

38 Bićanić, R., op. cit. , pp. 87 e ss.Google Scholar

39 Lewis, W. A., Planning, Economic: Development Planning , in International Encyclopedia of the Social Sciences , cit., p. 123.Google Scholar

40 In termini ideal-tipici, un piano è tanto piú policentrico, quanto piú: ≪ c'è competizione tra i vari piani da cui esso è costituito; il volume della domanda è elastico (e tende verso la massima soddisfazione della domanda del consumatore); i prezzi si avvicinano al minimo livello di costo; le decisioni dei consumatori sono autonome; gli investimenti sono indotti alla luce dei potenziali guadagni associabili all'adozione del planning; la distribuzione del reddito segue il principio dell'efficienza (produttività); le tendenze deflazionistiche finiscono con lo svincolare il meccanismo economico verso livelli di crescente razionalità; il commercio con i mercati esteri è libero ≫. Bićanić, R., op. cit. , pp. 8788.Google Scholar

41 Plutarco, , Le vite parallele , I, Roma, Casini, 1960, p. 889.Google Scholar

42 Una concezione, questa, non troppo lontana da quella svolta in modo assai piú ampio e singolarmente stimolante in Deutsch, K. W., The Nerves of Government , New York, Free Press, 1963, trad. it. I nervi del potere, Milano, Etas Kompass, 1972.Google Scholar

43 Waterston, A., Riflessioni sulle metodologie della programmazione , ≪ Rivista di Politica Economica ≫, LXII (1972), spec. pp. 9095.Google Scholar

44 Kirschen, E. S., op. cit., spec. cap. VIII.Google Scholar

45 Bićanić, R., op. cit. , pp. 8991.Google Scholar

46 Ibidem , pp. 9091.Google Scholar

47 Stone, R., op. cit. , p. 23. Un autore che, sia pure in termini nascostamente pessimistici, ha visto tra i primi la natura ≪ politica ≫ della pianificazione economica è stato senz'altro Devons, E., Planning in Practice , Cambridge, Cambridge University Press, 1950. Gran parte delle riflessioni che vi sono contenute restano a tutt'oggi tra quanto di meglio sia stato scritto sull'argomento.Google Scholar

48 Rota, G., La programmazione economica e le nuove forme di pubblica amministrazione , in AA. VV., Le Agenzie. Indagine sulle tecniche piú moderne per la pubblica amministrazione in Italia , Torino, Centro di Ricerca e Documentazione ≪ Luigi Einaudi ≫, 1971, pp. 94134.Google Scholar

49 Sul ruolo che le variabili politiche hanno nell'implementation dei piani economici è assai ricco di utili indicazioni Smith, T. B., The Policy Implementation Process , in ≪ Policy Sciences ≫, IV (1973), pp. 197209.Google Scholar

50 Cfr. Le Breton, P. P. e Henning, D. A., Planning Theory , Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1961.Google Scholar

51 Wildavsky, Cosí A., The Political Economy of Efficiency: Cost-Benefit Analysis, System Analysis, and Program Budgeting , in ≪ Public Administration Review ≫, XXV (1966), pp. 292310. Wildavsky nota argutamente che ≪ la letteratura economica considera usualmente le organizzazioni e le istituzioni come se fossero entità senza costi ≫ (pag. 309). E ribatte a questo malvezzo con delle argomentazioni singolarmente convincenti.Google Scholar

52 Una elencazione di alcuni aspetti politici del planning connessi alla sua organizzazione è stata in pratica tentata solo dalla già citata ricerca comparata sulle esperienze francese, inglese, italiana. Il sommario iniziale della ricerca conteneva infatti le voci: innovazione istituzionale promossa e/o connessa al planning, differenziazione dei ruoli politici e amministrativi, integrazione delle sedi decisionali, centralizzazione e rafforzamento dell'esecutivo, regionalizzazione, partecipazione dei gruppi di interesse alle maggiori decisioni programmatorie. Cfr. Hayward, J. e Watson, M., (eds.), Planning, Politics and Public Policy , op. cit.Google Scholar

53 Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , op. cit., pp. 459 e ss.Google Scholar

54 Ibidem , p. 475.Google Scholar

55 Ibidem , pp. 477 e ss.Google Scholar

56 Ibidem , p. 576.Google Scholar

57 Ibidem , p. 577.Google Scholar

58 Beckman, Norman, The New PPBS: Planning, Policy, Bureaucracy and Salvation, pp. 108–127, in Beyle, T. L. e Lathrop, G. T., (eds.), Planning and Politics: Uneasy Partnership , New York, The Odyssey Press, 1970.Google Scholar

59 Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , cit., pp. 611 e ss.Google Scholar

60 Friedrich, C. J., Political Decision Making, Public Policy and Planning , in ≪ Canadian Public Administration ≫, XIV (1971), pp. 115.Google Scholar

61 Sul nesso esistente tra organizzazione del piano, strutture o sistemi decisionali e forme di partecipazione alla programmazione è assai ricco di spunti illuminanti Smith, R. W., A Theoretical Basis for Partecipatory Planning , in ≪ Policy Sciences ≫, IV (1973), pp. 275295.Google Scholar

62 Su sistemi, regole e processi decisionali la letteratura è oggi amplissima. Una significativa panoramica di alcuni dei problemi fondamentali si può vedere nel primo fascicolo del 1974 in questa stessa Rivista. Il lavoro che piú di ogni altro ha sottolineato il rapporto tra processi decisionali e programmazione resta comunque Dahl, R. A. e Lindblom, C. E., Politic, Economics and Welfare , New York, Harper & Row, 1953. Spunti assai significativi sono contenuti anche in Braybrooke, D. e Lindblom, C. E., A Strategy of Decision, New York, Free Press, 1963, e in Buchanan, J. M. e Tallison, R. D., (ed.), Theory of Public Choice. Political Applications of Economics, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1972.Google Scholar

63 ≪ Un modo di tradurre la sua lista [della Commissione del Piano] di priorità e programmi in una forza economica è di assicurare un volontario adeguamento dei comportamenti dei managers e dei ministri alla realizzazione del piano. Fallendo gli accordi volontari, la Commissione del Piano deve usare la forza. Ma, come un gran maestro di judo, deve utilizzare la forza degli altri ai propri fini. I ministri hanno il potere di costringere l'industria ad adeguarsi ai programmi del piano. La programmazione opera sulla combinazione di queste forze e di questi impegni volontari; la commissione del Piano organizza e mobilita questa combinazione. (…) L'influenza dei pianificatori nell'esercizio di questi poteri è la variabile-chiave nell'intero processo di pianificazione (…). La natura della pianificazione è un processo di contrattazione-negoziazione in cui i contenuti del piano sono posti in essere da tre parti principali: Il Ministero delle Finanze, la Grande Industria e la Commissione del Piano ≫, in Cohen, S. S., Modern Capitalist Planning, op. cit., p. 30.Google Scholar

64 Ibidem , pp. 158159.Google Scholar

65 In argomento condivido ampiamente le critiche mosse al Cohen da Wildavsky, : Does Planning Work? , in ≪ Public Interest ≫, XXIV (1971), pp. 95104.Google Scholar

66 Sul punto discordo radicalmente con le conclusioni del Cohen il quale sembra far risalire gli insuccessi della pianificazione francese a un difetto di partecipazione popolare. Laddove semmai il limite non sta nella dimensione della partecipazione, quanto nelle modalità. Una partecipazione assai larga di strati di opinione pubblica a un processo complesso come quello della programmazione economica sarebbe infatti controproducente: i costi decisionali risulterebbero insopportabili per qualunque sistema economico e politico. La questione è altra: occorre che chi opera economicamente lo faccia mediante il piano; che persegua i propri obiettivi e difenda i propri interessi nell'ambito di un processo di formazione delle decisioni previsto dal piano. Sull'esperienza francese, considerata da questo specifico punto di vista, si veda La Planification comme Processus de Decisions, Cahiers de la Fondation Nationale des Sciences Politiques, Paris, n. 140.Google Scholar

67 Cfr. Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , op. cit., pp. 144175.Google Scholar

68 ≪ Vi è dunque un momento politico nel corso del quale si definiscono obiettivi e modalità d'azione, e un momento economico che garantisce il procedere del sistema in condizioni che riflettono quegli obiettivi ≫. Saraceno, P., La formazione del programma, op. cit., p. 23.Google Scholar

69 Cfr. Friedrich, C. J., Political Decision-making, Public Policy and Planning , op. cit., passim .Google Scholar

70 Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , cit., p. 206.Google Scholar

71 Self, P. e Joy, L., Planning and Policy Making , op. cit., pp. 7081. Sull'importanza delle previsioni nella programmazione economica si veda Cazes, B., Long-Range Studies of the Future and Their Role in French Planning , in Anderson, S., (ed.), Planning for Diversity and Choice, Cambridge, M.I.T. Press, 1968, pp. 45–63.Google Scholar

72 Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , op. cit., pp. 129 e ss.Google Scholar

73 Sulla pianificazione indiana, ricca delle sue implicazioni politiche, cfr. il bellissimo studio di Hanson, A. H., The Process of Planning , London, Oxford University Press, 1966. Ma vedi anche Palmer, N. D., The Indian Political System, Boston, Houghton Mifflin, 1900, spec. pp. 175–202.Google Scholar

74 Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , op. cit., passim.Google Scholar

75 Sul rapporto esistente tra partecipazione al planning, grado di informazione dei pianificatori e forme organizzatorie della programmazione è assai illuminante Apter, D. E., The Premise of Parlamentary Planning , in ≪ Government and Opposition ≫, VIII (1973), p. 10: ≪ In ogni sistema la totalità di informazione è funzione della sua apertura. Piú aperto è un sistema alla base, piú diverse le sue forme di partecipazione, piú larga è la proporzione di élites richieste per operare con una crescente pressione di informazione.Google Scholar

76 Ibidem , p. 226.Google Scholar

77 Si pensi al caso cinese, dove negli anni 1958–59 buona parte della polemica politica si svolse attorno alla ≪ inesperienza ≫ del personale statistico, accusato di aver fatto fallire i piani dell'epoca. Cfr. Waterston, A., ibidem , p. 224.Google Scholar

78 Tinbergen, J., Central Planning , cit., p. 23.Google Scholar

79 Ibidem , pp. 1419.Google Scholar

80 Kenneth Howard, S., Planning and Budgeting: Marriage Whose Style? pp. 144167, in Beyle, e Lathrop, , Planning and Politics: Uneasy Partnership, cit.; ma anche Waterston, , op. cit., pp. 253 e ss.Google Scholar

81 Due economisti particolarmente e felicemente attrezzati in materia sono certamente Tullock, G., The Policy of Bureaucracy , Washington, Public Affairs Press, 1965, e Downs, A., Inside Bureaucracy, Boston, Little, Brown and Co., 1966.Google Scholar

82 Per il Lewis — ad esempio — ≪ dove il governo è corrotto e inefficiente, laissez faire-laissez passer è la migliore ricetta per lo sviluppo economico; solo quando si ha un'efficiente amministrazione è possibile discutere seriamente sui meriti relativi dell'impresa privata, della proprietà pubblica, oppure degli organi di controllo ≫. Cfr. id., The Theory of Economic Growth , Allen and Unwin, London, 1955, trad. it. Teoria dello sviluppo economico, Milano, Feltrinelli, 19702, p. 87.Google Scholar

83 ≪ Condizione pregiudiziale per il passaggio a un'economia programmata è la costruzione di un ordinamento in virtú del quale siano rigorosamente indicati gli obiettivi che devono perseguire i vari centri decisionali costituenti il sistema ≫. Saraceno, P., La formazione del programma, op. cit., pp. 2124.Google Scholar

84 La lezione francese è in questo senso paradigmatica. Le ragioni sono state messe bene in evidenza dal Cohen, il quale ha potuto notare come in Francia il potere dei burocrati sia assai alto nell'attuazione del piano per almeno due ragioni: ≪ perché gran parte dei pianificatori (piú di un terzo) sono funzionari ministeriali distaccati presso il piano da altri dicasteri; perché i pianificatori non hanno potere sui singoli ministeri, conservando questi ultimi tutti i loro poteri ≫. Cohen, S. S., op. cit., p. 29. Sul ruolo che l'introduzione della programmazione ricopre nella burocrazia francese si può peraltro vedere il numero della ≪ Revue Française de Science Politique ≫, XXIII (1973), n. 2 (aprile), con saggi di Nizard, L., Ullmo, Y., Coing, H., Seibel, C., Grémion, P., Jobert, B. Google Scholar

85 Fenomeno, questo, dal quale non sono risparmiati gli stessi politici. ≪ Una missione della Banca Mondiale in Thailandia ha riferito che si sa che i ministri hanno rifiutato di decidere questioni che rientrano palesemente nell'ambito della loro giurisdizione, preferendo piuttosto trasmetterle al Gabinetto per una decisione di carattere collettivo ≫. Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , op. cit., p. 324.Google Scholar

86 Barnard, C., The Functions of the Executives , Cambridge, Harvard University Press, 1938, p. 165.Google Scholar

87 Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , op. cit., p. 361.Google Scholar

88 In molti paesi in via di sviluppo i piani vengono gestiti da burocrazie incredibilmente pletoriche. Si pensi che in alcuni paesi (Senegal, Iran) le spese per gli stipendi ai burocrati giungono ad assorbire i due terzi del bilancio statale. Cfr. ibidem , pp. 315316.Google Scholar

89 Tinbergen, J., Central Planning , op. cit., p. 86.Google Scholar

90 I.L.O., Emploiers' and Workers' Partecipation in Planning , Genève, 1971. Sullo stesso tema della rappreesntanza dei gruppi di interesse nelle strutture governative è di qualche interesse anche Esteban, J., La representacion des intereses y su institutionalization: los diferents modelos existentes, in ≪ Revista de Estudios Politicos ≫, n. 155 (1967), pp. 43–73.Google Scholar

91 Sull'importanza che il problema del sostegno e l'accaparramento del consenso ricopre nel processo di programmazione si veda ad esempio quel che felicemente osserva a proposito dell'esperienza tedesco-occidentale in questo secondo dopoguerra Dyson, K. H. F., Planning and the Federal Chancellor's Office in the West German Federal Government , in ≪ Political Studies ≫, XXI (1973), pp. 348362.Google Scholar

92 Bićanić, R., op. cit. , pp. 4246.Google Scholar

93 Jaguaribe, H., Economic and Political Development, A Theoretical Study and a Brazilian Case Study , Cambridge, Harvard University Press, 1968 2 , pp. 4865.Google Scholar

94 La nozione di ≪ membri politicamente rilevanti ≫ del sistema politico, alla quale fa indirettamente ricorso Jaguaribe, si trova formulata soprattutto in Easton, D., A Systems Analysis of Political Life , New York, Wiley, 1965. Ed è ampiamente ripresa e discussa in Urbani, G., L'analisi del sistema politico, Bologna, Il Mulino, 1971.Google Scholar

95 Jaguaribe non prende in considerazione, nella sua casistica, i paesi dell'America centrale e dell'area caraibica, in quanto ritenuti incapaci comunque di sviluppo economico per ragioni di dipendenza semicoloniale dei relativi sistemi economici. È forse comunque interessante ricordare i tre gruppi in cui questo autore divide i paesi dell'America Latina: nazioni ≪ non vitali ≫ (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Panama, Haiti, Rep. Dominicana, Cuba); nazioni poco sviluppate (Equador, Perú, Bolivia, Paraguay); nazioni piú sviluppate (Messico, Brasile, Argentina, Cile, Venezuela, Columbia, Uruguay). Cfr. Jaguaribe, H, op. cit., passim .Google Scholar

96 Il ruolo giocato dai fattori politici (processo decisionale e inerzia burocratica) sull'attuazione dei piani economici in America Latina è sottolineato assai bene dal caso brasiliano. Cfr. Cardoso, F. H., Aspectos Politicos de la Planificaciòn , in ≪ Revista Latinoamericana de Ciencia Politica ≫, I (1970), pp. 120136.Google Scholar

97 Bićanić, R., op. cit. , pp. 8991.Google Scholar

98 Cfr. Tinbergen, J., Planning, Economic , cit., passim .Google Scholar

99 Waterston, A., La programmazione dello sviluppo , cit., pp. 453455 (i corsivi sono miei).Google Scholar

100 I raggruppamenti in cui Kirschen e colleghi hanno suddiviso questi aspetti sono: i policy makers, le fonti e i canali dell'influenza politica, i modi di azioni del governo. Fra i primi figurano i parlamenti, i partiti politici, i governi, le pubbliche amministrazioni, le imprese pubbliche, i gruppi di interesse, i corpi giurisdizionali, i gruppi stranieri. Fra i secondi ciò che viene preso in maggiore considerazione riguarda le basi politiche del governo, l'azione dei gruppi di interesse; il reclutamento, la struttura e l'azione della pubblica amministrazione. Nel terzo gruppo, infine, si esaminano i rapporti intercorrenti tra gruppi di interesse e governo cercando di vedere quali effetti tali rapporti producano nel modo in cui il governo si comporta dinnanzi alle varie pressioni emergenti da una società. Kirschen, E. S. e altri, op. cit. , vol. I, pp. 157193.Google Scholar

101 Arndt, H. J., op. cit. , pp. 590592. L'autore osserva giustamente che un piano è per sua stessa natura sempre ≪ strategico ≫, dal momento che è costretto in qualche modo a fronteggiare vari possibili futuri con vari possibili mezzi.Google Scholar

102 Questa accezione di decisione e situazioni decisionali sembra differire alquanto di quella usata a volte da specialisti del planning e da pianificatori. Si veda, ad esempio, l'uso che ne fa Carabba, M., La fase decisionale della programmazione economica , in ≪ Mondo Economico ≫, 23 giugno 1973, pp. 1720: ≪ Gli strumenti decisionali… sono: i progetti di interesse nazionale, il Piano annuale, i programmi regionali ≫. Mi sembra che da parte degli addetti ai lavori si dia ancora troppo risalto al momento ≪ conclusivo ≫ del decision-making e troppo poca attenzione al ben piú delicato e complesso momento preparatorio (con tutti i relativi processi già descritti).Google Scholar

103 Cfr. Arndt, H. J., op. cit., passim. Il quale definisce la base di ≪ calcolo ≫ che caratterizza una ≪ strategia politica ≫ come la capacità di tenere in conto i comportamenti sociali esterni alla volontà del pianificatore. Piú in particolare Arndt distingue tra vari metodi e mezzi per operare il calcolo (previsioni estrapolate dall'attualità sui mutamenti ambientali e comportamentali, analisi delle risorse del pianificatore, analisi dello scarto via via esistente tra aspettative e risultati, rischi calcolati), alcuni presupposti della strategia (le regole del gioco in grado di dirci anticipatamente le probabili reazioni dei cittadini al piano), alcune fondamentali implicazioni politiche (la formazione degli obiettivi strategici, gli attori e le sedi del decision-making politico generale).Google Scholar

104 Senza la precisazione o la contemplazione di gran parte di questi elementi il planning resta per lo piú appeso al filo del ≪ si spera che ≫. Ne è una dimostrazione, in qualche modo assai eloquente e disarmata, anche il documento programmatico preliminare ≪ Elementi per l'impostazione del Programma economico nazionale 1971–1975 ≫ presentato in Italia dal Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica nel luglio del 1971. Tra le varie condizioni generali che il documento pone come base per il successo del Piano figurano infatti questi quattro punti: ≪ una programmazione delle decisioni di spesa; efficienza, autorità e unità degli indirizzi del Governo; autonomia funzionale e partecipazione democratica nella organizzazione dell'intervento pubblico; sistema aperto di comunicazioni fra governo, sindacati e imprese ≫. Ora, a mio avviso, ha assai scarso senso considerare questi punti come altrettanti presupposti dell'attività di pianificazione; se, infatti, si ritengono davvero punti determinanti, delle due l'una: o si ha qualche fiducia nella loro attendibilità e li si colloca allora tra gli elementi del planning; o questa fiducia non si ha e allora si deve cercare di pianificare in modo diverso, facendo piena astrazione da quelle condizioni. Enunciare genericamente i problemi senza alcuna indicazione operativa degli strumenti accessibili ha ben poca rilevanza. Nella fattispecie le lacune di politica economica del piano appaiono addirittura in grado di togliere ogni credibilità alla sua attuazione effettiva. Da quali miracoli non altrimenti indicati sarebbe infatti lecito attendersi: una maggiore unità, autorità, efficienza del governo; una diversa programmazione delle decisioni di spesa; diversi criteri di selezione nell'accoglimento delle richieste corporative; un nuovo tipo di sostegno politico emergente dal piano e in grado di sostituirsi al sostegno ≪ perso ≫ dai governanti per effetto dell'adozione di determinate decisioni (indicazione che, ove manchi, si accompagna inevitabilmente e sotto tutte le latitudini a un atteggiamento di sostanziale svalutazione della logica di pianificazione da parte della classe politica)? Google Scholar

105 Cfr. Wildavsky, A., The Politics of the Budgetary Process , Boston, Little, Brown, and Co., 1964.Google Scholar

106 Sarebbe comunque un errore concludere che ≪ l'economia americana non sia pianificata (…). Innanzitutto va osservato che i progetti, le previsioni, gli obiettivi e gli interventi statali che costituiscono il quadro caratteristico della pianificazione europea sono previsti come caratteristiche essenziali anche nel Rapporto Economico e nei messaggi presidenziali (…). A completare questo quadro di fondo interviene poi tutta una serie di ≪ programmi ≫ statali nel settore pubblico, che spesso hanno la durata di diversi anni (…). Va registrato infine un fenomeno che, sotto molti aspetti, è il piú rilevante di tutti: l'industria americana (imprenditori e sindacati compresi) ha una lunga tradizione di elaborazione e attuazione di suoi propri piani sulla base dei dati generali forniti dalle autorità pubbliche (…). Chiunque si sia occupato dell'economia americana non può non essere rimasto colpito dalla vasta influenza che hanno, sulla decisioni economiche generali, le aspettative riguardanti gli aggregati macroeconomici basate su analisi precise e altamente raffinate, analoghe a quelle condotte dall'autorità pubblica ≫. Roll, Cosí E., The World After Keynes. An Examination of the Economic Order , New York, Praeger, 1968, trad. it. Il mondo dopo Keynes, Bologna, Il Mulino, 1971, pp. 113–115. Ma sullo stesso argomento si vedano anche Ricossa, S., Stato e sistema economico, in AA. VV., Processo allo Stato, Firenze, Sansoni, e Centro di Ricerca e Documentazione ≪ L. Einaudi ≫, 1971, pp. 377–405; e l'illuminante survey del settimanale inglese ≪ The Economist ≫ dedicato all'economia statunitense, The Neurotic Trillionaire, 10 maggio 1969.Google Scholar

107 Dahl, R. A. e Lindblom, C. E., Politics, Economics and Welfare , cit.Google Scholar

108 Ibidem , spec. cap. XIV. E sul medesimo punto — ma specificamente riferito al planning — cfr. anche Scharpf, F. W., Planung als politischer Prozess, cit., p. 29: ≪ la politica di pianificazione innovativa deve ampiamente ricorrere — per avere successo — a processi sociali e politici di formazione della consapevolezza collettiva, di articolazione di problemi, di mobilitazione di solidarietà Tutti processi poco controllabili a mezzo del puro piano; questo, perché la maggiore opposizione alle innovazioni contenute in esso proverrà sempre per forza di cose dagli interessi istituzionalizzati. Ecco perché un piano innovativo separabile dal processo politico che lo gestisce rimane una pura illusione tecnocratica ≫.Google Scholar

109 Cfr., sul tema, il bel dibattito contenuto in Connery, R. H. e Jones, E. L., (eds.), Control or Fate in Economic Affairs , New York, Proceedings of the Academy of Political Science, XXX (1971), n. 3. Ma, in argomento, l'obbligo che oggi angustia quasi tutte le economie sviluppate di controllare i processi inflazionistici in atto costituisce probabilmente il miglior terreno di verifica e di analisi.Google Scholar

110 Un consiglio di ordine assai generale potrebbe essere il seguente: chi è chiamato a pianificare potenzi al massimo i propri strumenti di informazione, diagnosi e previsione politica. Quanto poi ai mezzi per farlo, l'imbarazzo è davvero solo nella scelta. In ogni caso, una buona indicazione in proposito è senz'altro contenuta nel cosiddetto movimento per gli ≪ indicatori sociali e politici ≫. Se ne vada la copiosa bibliografia in Leslie Wilcox, D., Brooks, Ralph M., Beal, George M., Klonglan, Gerald E., (eds.), Social Indicators and Societal Monitoring. An Annotated Bibliography , London, Elsevier Scientific Publishing Company, 1972, spec. pp. 142181.Google Scholar

111 Un interessante tentativo compiuto da un gruppo di studiosi specificamente su questo tema è quello rappresentato dalla collana di studi National Planning Series — promossa e diretta da Bertram Gross, già componente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca — edita dalla Syracuse University Press. Nella collana sono apparse monografie dedicate a vari paesi: Friedman, John, Venezuela: From Doctrine to Dialogue ; Elliott Ashford, D., Morocco-Tunisia: Politics and Planning ; Burke, F. G., Tanganyika: Preplanning ; Shafer, R. J., Mexico: Mutual Adjustment Planning; Akzin, B., Dror, Y., Israel: High-Pressure Planning ; Hagen, E. E. e White, S. F. T., Great Britain: Quiet Revolution in Planning ; La Palombara, J., Italy: The Politics of Planning ; Arndt, H. J., West Germany: Politics of Non-Planning. Ma solo in questi ultimissimi tempi l'argomento è divenuto un oggetto di studio frequentemente prescelto. Oltre al già citato lavoro di Hayward e Watson, si pensi alla produzione contenuta nella rivista ≪ Policy Sciences ≫, e a volumi come quelli curati da Jantsch, E., Prospectives of Planning, Paris, O.C.D.E., 1969, e da Ronge, V. e Schmieg, G., Politische Planung in Theorie und Praxis, München, Piper, 1971.Google Scholar

112 Volendo poi arrischiare un terzo tipo di consigli, si potrebbe forse dire qualcosa anche in ordine alle attuali forme di programmazione che per il momento appaiono piú dotate ≪ politicamente ≫, in quanto piú ricche di informazioni e variabili politiche previste dalla propria strategia pianificatrice. La lezione dei fatti sembra per ora lasciar preferire le programmazioni che piú appaiono caratterizzate da: policentrismo, partecipazione, strategia decisionale di tipo ≪ marginalistico ≫. Le ragioni sono abbastanza facilmente intuibili. Un planning al quale sia assicurata la partecipazione dei piú influenti attori economici è, infatti, piú e meglio in grado di: acquisire le informazioni necessarie ai pianificatori; individuare le mete collettive in ordine alle quali mobilitare consensi e solidarietà tra i membri del sistema; accrescere le probabilità per una effettiva attuazione-realizzazione del piano. Ma per essere adeguatamente ≪ partecipato ≫ un planning deve allora essere policentrico: deve cioè basarsi su di un'organizzazione non interamente accentrata e rigidamente gerarchica, ma caratterizzata da una pluralità di centri decisionali coordinati sistematicamente, pur senza pregiudizio per la loro autonomia relativa. E un planning policentrico può essere in pratica governato solo attraverso una strategia decisionale di tipo marginalistico: basata cioè su di un coordinamento centrale che proceda attraverso negoziazioni successive tra le varie parti sociali in causa, in modo da consentire loro un adattamento progressivo al piano mediante il perseguimento di ≪ incrementi marginali ≫ di utilità.Google Scholar

113 Né va poi dimenticato del tutto un terzo abbaglio, quello forse piú ingenuo ma ugualmente duro a morire: l'illusione di chi concepisce il planning come un processo totalizzante e onnicomprensivo, in grado di inglobare in una unica visione coerente e razionale la totalità dei fenomeni economici, ma anche socio-ambientali, di una qualche comunità. Una concezione, questa, che consiglierebbe la riflessione sui problemi del planning piú ai teologi e agli utopisti di professione, che non a scienziati sociali del tutto disattrezzati ad affrontare simili astrazioni. Una concezione, per la quale non sembrerebbe inutile rispolverare il vecchio monito di Trotzky: ≪ …se esistesse una mente universale che si proiettasse nelle immaginazioni scientifiche di Laplace; una mente che potesse registrare simultaneamente tutti i processi della natura e della società, che potesse misurare la dinamica del loro movimento e prevedere il risultato della loro interazione; una tale mente potrebbe ovviamente costruire a priori un programma economico senza errori e onnicomprensivo, dal numero di ettari di frumento all'ultimo bottone per un abito: in effetti, la burocrazia (leggi: i pianificatori) ritiene spesso di avere a propria disposizione una simile mente ≫. E va da sé che anche nei confronti di questo abbaglio, una sia pur sommaria individuazione degli scogli politici del planning può risultare un vaccino assai salutare. Cfr. Dror, Y., Ventures in Policy Sciences , New York, Elsevier, 1971, spec. parte III; Wildavsky, A., If Planning is Everything, May be it's Nothing, in ≪ Policy Sciences ≫, IV (1973), pp. 127–153.Google Scholar