Affrontando il tema delle consultazioni popolari dirette si pongono due problemi principali: perché tale tipo di processo elettorale è più usato in certi casi che non in altri e quali sono le conseguenze del ricorso ad esso sul sistema politico nel complesso. Rispetto al primo problema molti anni addietro, nel 1912, William E. Rappard sottolineava l'incoerenza degli avversari delle consultazioni popolari. Costoro, pur consentendo che le masse scelgano liberamente i loro rappresentanti, «fanno affidamento, per la loro sicurezza, sulle discrepanze che possono sorgere tra gli atti della maggioranza degli eletti e i desideri della maggioranza degli elettori». Rappard formulava, quindi, una previsione «In teoria … l'ulteriore estensione del controllo popolare mediante la legislazione diretta sembra inevitabile in tutti i paesi dove il suffragio universale prevale». È facile intuire che la previsione si basasse sulla conoscenza e l'analisi delle esperienze svizzera e statunitense. In altri Paesi, in quegli anni, si discuteva sulla opportunità di adottare forme di consultazione popolare come in effetti accadde con alcune costituzioni elaborate subito dopo la prima guerra mondiale, in primo luogo con la costituzione di Weimar.