Nei testi di filosofia della scienza e di metodologia ci viene quasi sempre detto che senza leggi non si dà scienza. La scienza «spiega» quando arriva a formulare leggi, e cioè generalizzazioni di tipo causale. Un atto o fatto è spiegato (scientificamente) quando viene sussunto nell'ambito di una legge ricomprendente. Se così è, allora le cosiddette scienze sociali non avanzano, o avanzano di poco. Da più di trent'anni i progressi scientífici delle scienze dell'uomo sono progressi in sede di quantificazione e di misurazione, non in sede nomotetica. Come mai? Potremmo rispondere che solo il mondo fisico è governato da leggi, non quello dell'uomo. Ma il grosso dei cultori delle scienze sociali resta fedele al modello di una scienza nomotetica. I più rispondono, dunque, che le leggi che governano gli aggregati umani restano da scoprire perché sono «difficili», più difficili delle leggi che governano la natura. Che siano difficili è ben certo. Ma la verità è, mi sembra, che le «leggi» che non troviamo sono leggi che nemmeno cerchiamo. Tanto poco le cerchiamo che non sappiamo nemmeno come sono da cercare (e ancor meno da formulare). La tesi di questo scritto è dunque che la nostra retorica metodologica fa a pugni con la nostra pratica di ricerca. Fatte le dovute riverenze alla retorica nomotetica, il ricercatore se la cava lasciando intendere che, quantomeno pro tempore, l'impresa è troppo difficile per essere tentata. Ma cavarsela così è troppo facile.