Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Se si accettano certi requisiti minimi di un'associazione di esseri umani, si deve anche accettare — sosterrò in questo saggio — la ragionevolezza di certi criteri per valutare come quell'associazione si governa. Tali criteri riguardano le procedure democratiche, e un'associazione che li soddisfi tutti sarà pienamente democratica nelle sue procedure.
1 D'ora in avanti indicherò come membri anche i futuri membri di un'associazione non ancora formata.Google Scholar
2 D'ora in avanti espressioni come «agire» includono anche la decisione di non agire in un certo modo.Google Scholar
3 In tal senso il criterio viene a coincidere, piú di quanto non sembri a prima vista, con le limitazioni che Rousseau pone nel Contratto sociale. Rousseau consente che il popolo sovrano conceda il potere esecutivo 1) a se stesso o a una maggioranza (democrazia), 2) a una minoranza (aristocrazia), 3) a una sola persona (monarchia). Ciò che il popolo non può fare è rinunciare alla propria sovranità, al potere di fare le leggi. Sebbene la democrazia nel primo senso sia inattuabile, tutte e tre le forme di delega del potere sono ugualmente legittime perché, e finché, il popolo non rinuncia alla propria sovranità. Cfr. in particolare Libro II, capp. 1 e 6 e Libro III, cap. 6.Google Scholar
4 Tutto il discorso occupa meno di tre pagine: vedi Schumpeter, J. A., Capitalismo, socialismo, democrazia, Milano, Etas Kompass, 1967, pp. 232–234.Google Scholar
5 Non intendo dire che Locke e Rousseau, o gli autori successivi, presentino punti di vista simili sulla democrazia. Ovviamente le differenze sono profonde. Locke ammette sia la delega sia l'alienazione a tempo indeterminato, da parte del demos, del potere di fare le leggi (Secondo trattato, capp. X e XIX, par. 243, in Locke, J., Due trattati sul governo, Torino, UTET, 1948), mentre Rousseau, come abbiamo visto, non le ammette. Tuttavia, poiché le differenze non sono rilevanti per il problema in questione, le ignorerò.Google Scholar
6 Citazioni da Locke, , Secondo trattato, cap. VIII, «Dell'origine delle società politiche», par. 95–97 e passim .Google Scholar
7 Per esempio nel Libro I, capp. 4 e 6.Google Scholar
8 A Venezia i nobili, che soli avevano il diritto di partecipare al governo, erano dall'1 al 2% della popolazione e, se si considera la popolazione della terraferma, circa l'1 per mille. Nel 1797 i nobili erano 1.090, i residenti nella città 137.000, i residenti sulla terraferma 2.200.000. I nobili non furono mai piú di 2.000 circa. Cfr. Davis, J. C., The Decline of the Venetian Nobility as a Ruling Class, Baltimore, The Johns Hopkins Press, 1962, Tab. 1, p. 58. Anche a Ginevra la percentuale era bassa, sebbene non cosí esigua. Dei cinque ordini in cui era divisa la popolazione soggetta alle leggi, solo i maschi dei due ordini superiori partecipavano alla elaborazione delle leggi: «al vertice i “cittadini”, che avevano il diritto di ricoprire cariche ufficiali (Rousseau era uno di essi); poi i “borghesi”, che avevano il diritto di votare ma non di ricoprire cariche». Insieme, cittadini e borghesi erano circa 1.500 su una popolazione di 25.000 abitanti. Inoltre, le cariche piú alte erano monopolio di poche famiglie. Cfr. Palmer, R. R., The Age of the Democratic Revolution, A Political History of Europe and America, 1760–1800, Princeton, Princeton University Press, 1959, p. 36. Palmer nota che lo «stesso Rousseau, in tutto il suo studio sulla politica di Ginevra a Neuchâtel, non mostra alcun interesse per i “Nativi”, che pure erano i tre quarti della popolazione non borghese» (p. 137).Google Scholar
9 Cfr., per esempio, il cap. VIII, par. 93.Google Scholar
10 Vedi quanto dice sulla condizione delle donne nella «società coniugale», cap. VII, parr. 78–84. «Sembra molto improbabile che Locke intendesse estendere tali diritti alle donne»; cosí Kendall, W., John Locke and the Doctrine of Majority Rule, Urbana, University of Illinois Press, 1941, p. 121, nota 6.Google Scholar
11 Locke, J., op. cit., cap. VI, par. 60.Google Scholar
12 Ivi, cap. VII, par. 85.Google Scholar
13 Cfr., per esempio, Mill, J. S., Considerazioni sul governo rappresentativo, Milano, Bompiani, 1946, pp. 54, 67, 151. Un'analisi molto piú esauriente delle idee di Mill circa il conflitto tra «il principio di partecipazione» e «il principio di competenza», quale appare considerando l'ampia gamma delle sue opere, è in Thompson, D. F., John Stuart Mill and Representative Government, Princeton, Princeton University Press, 1976.Google Scholar
14 Mill, J. S., op. cit., pp. 147–168.Google Scholar
15 Si vedano, per esempio, le considerazioni di Bachrach, Peter sulla «teoria classica della democrazia», che viene contrapposta alla «teoria elitista», in The Theory of Democratic Elitism, Boston, Little Brown, 1967, pp. 2–9. Carole Pateman presenta Rousseau e Mill come «due esempi di teorici “classici” della democrazia, le cui idee costituiscono i fondamenti di una teoria della partecipazione democratica»: Participation and Democratic Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1970, p. 21.Google Scholar
16 Finley, M. I., Democracy, Ancient and Modern, New Brunswick, Rutgers University Press, 1973. Ciò è detto considerando l'esclusione degli schiavi; l'autore non menziona quella delle donne e dei forestieri, che rendono il demos una élite minoritaria ancor piú ristretta. Tutte le ipotesi circa il numero dei cittadini e il loro livello di partecipazione mi sembrano molto fragili. Le cifre da me riportate nelle pagine precedenti sono prese da Jones, A. H. M., Athenian Democracy, Oxford, Basil Blackwell, 1969, pp. 78–79. Quanto alla partecipazione effettiva, le stime degli studiosi sono ancora piú opinabili. Nonostante la sua ammirazione per la democrazia ateniese, Jones conclude che «contrariamente all'opinione generale, all'assemblea partecipavano di solito soprattutto i cittadini relativamente benestanti» (p. 36; vedi anche pp. 50, 55 e le considerazioni svolte alle pp. 104–107). A differenza dell'Assemblea e del Consiglio, le cariche attribuite per sorteggio «erano occupate da cittadini veramente umili» (p. 104). Non posso fare a meno di sospettare che un Survey Research Center ateniese avrebbe raccolto una quantità di prove di apatia e scarsa partecipazione da parte dei cittadini.Google Scholar
17 Secondo trattato, cap. VI, parr. 55 e 63. Anche Rousseau nel Contratto sociale riconosce, sia pur di sfuggita, l'autorità del padre sui bambini «prima che abbiano raggiunto l'età della ragione».Google Scholar
18 Secondo Douglas Rae, si potrebbe sostenere che i bambini sono titolari di un patrimonio di diritti, ma che solo quando maturano entrano nel pieno possesso di alcuni di essi. Locke sembra pensarla in modo analogo nei paragrafi sopra citati. Al contrario, per gli adulti esclusi, «i legami… di soggezione» non cadono mai «lasciando l'uomo libero di disporre pienamente di sé».Google Scholar
19 Secondo trattato, cap. VI, par. 60.Google Scholar
20 Supponiamo che io fossi in grado di dimostrare di avere attentamente studiato i problemi, i partiti, i candidati, e cosí via. La mia esclusione sembrerebbe meno giustificata; ma un cittadino francese potrebbe dire: «non resterai in Francia abbastanza a lungo da giustificare la tua inclusione; sei venuto di tua volontà; venendo dichiari implicitamente di volere obbedire alle nostre leggi; avrai lasciato il paese prima che i risultati dell'elezione abbiano prodotto qualche cambiamento nella legislazione vigente, e quindi non sopporterai alcuna conseguenza delle tue scelte. Per questo non sei moralmente legittimato a partecipare a questa elezione». Mi sembrano queste obiezioni convincenti; la loro forza deriva principalmente dal fatto che io posso non essere soggetto alla legge che la mia partecipazione potrebbe contribuire a produrre. Se questo è vero, allora non sono un membro nel senso definito prima, e di conseguenza devo essere escluso in forza al terzo principio: decisioni vincolanti dovrebbero essere prese solo dai membri.Google Scholar
21 Questo principio è, penso, piú o meno equivalente, anche se non necessariamente identico, a un giudizio diffuso benché contestabile, che è alla base di tanta parte della teoria etica. Per esempio, Hugo Adam Bedau presenta una nozione non dissimile che chiama «dottrina dell'egualitarismo metafisico», in Pennock, J. R. e Chapman, J. W., Equality, New York, Atherton Press, 1976, p. 17. Stanley I. Benn sostiene il «principio di uguale considerazione degli interessi» (Ivi, p. 67); c'è probabilmente una lontana parentela con il principio di Rawls dell'uguaglianza umana basata sulla capacità di avere una personalità morale.Google Scholar
22 Barry, B., Political Argument, London, Routledge and Kegan Paul, 1965, pp. 38–39, 173 e ss.Google Scholar
23 Il principio è analogo, sebbene non identico, al primo dei due principi che secondo Mill «sono universalmente veri e applicabili come nessun'altra proposizione generale che possa pronunciarsi sui problemi umani. Il primo principio è che i diritti o gli interessi di chicchessia hanno la sicurezza di non essere mai trascurati che in un caso solamente: quello in cui gli interessati posseggano essi stessi la forza di difenderli… l'uomo non ha che una sicurezza contro il malfare dei suoi simili, proporzionata alla possibilità di difendersi da se stesso» (Mill, J. S., op. cit., p. 55).Google Scholar
24 Ivi, p. 56.Google Scholar