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LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

La crisi della democrazia è stata una realtà ben presente nel corso di questo secolo e studiata da storici, filosofi, politici, economisti, sociologi e, anche, politologi. Dati gli obiettivi del mio lavoro, questa non è la sede per una valutazione accurata e approfondita della letteratura sull'argomento. Quindi, accennerò solo che i primi e piú attenti analisti della crisi democratica sono stati gli storici delle democrazie europee degli anni venti e trenta. Fra tutti, spicca Bracher, studioso della Repubblica di Weimar, con la sua efficace divisione della crisi in tre fasi: perdita di potere, vuoto di potere, presa di potere. Da questo grande storico tedesco hanno preso le mosse alcuni degli studiosi piú recenti. Tuttavia i due autori che, da ultimo, hanno ripreso a studiare il fenomeno con maggiore rigore ed originalità sono stati Almond, con un suo gruppo di lavoro, e Linz. La differenza principale tra i due lavori sta nel diverso livello di astrazione e di generalità delle rispettive analisi. Almond, Flanagan e il resto del gruppo trattano il mutamento di regime attraverso un'analisi potenzialmente applicabile a tutti i tipi di regime: tradizionale, autoritario, democratico, e via di seguito. Linz tratta solo della crisi del regime democratico, pur non evitando numerosi cenni a temi e problemi sollevati dall'instaurazione di un nuovo regime democratico o autoritario. Dunque, da una parte, si esamina dichiaratamente tutto il fenomeno del mutamento di regime, dall'altra, si analizza soprattutto la crisi del regime; da una parte, si elabora un framework teorico adattabile a tutti i tipi di regime (e forse Almond e il suo gruppo non si sono neanche posti il problema se vi fossero certi regimi non analizzabili con quello schema teorico), dall'altra, si formulano ipotesi esplicitamente valide solo per un tipo di regime, quello democratico.

Type
Saggi
Copyright
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References

1 Cfr. Bracher, K. D., Die Auflösung der Weimarer Republik, Villingen, Ring-Verlag, 1971 5. Dello stesso autore si può vedere anche Die deutsche Diktatur: Entstehung, Struktur, Folgen des Nationalsozialismus, Berlin, Kiepenheur & Witsch, 1969, trad. it., La Dittatura Tedesca, Bologna, Il Mulino, 1973.Google Scholar

2 Ad esempio, innanzi tutto, Linz afferma esplicitamente che il suo lavoro è stato notevolmente influenzato da quello di Bracher. Cfr. Linz, J. J., Crisis, Breakdown and Re equilibration, vol. 1, di Linz, e Stepan, A., (eds.), The Breakdown of Democratic Regimes, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 1978, p. 99, n. 3. Fra gli italiani, si veda Farneti, P., La crisi della democrazia italiana e l'avvento del fascismo: 1919–22, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», V (1975). Una versione di questo saggio si trova ora in Europe, che è il secondo volume del lavoro curato da Linz e Stepan, appena citato; e Rusconi, G. E., La Crisi di Weimar, Torino, Einaudi, 1976.Google Scholar

3 Cfr. Almond, G. A., Flanagan, S. C., Mundt, R. J., (eds.), Crisis, Choice and Change. Historical Studies of Political Development, Boston, Little, Brown and Co., 1973 e Linz, , Crisis, Breakdown and Requilihration, cit.Google Scholar

4 O, d'altra parte, non si sono chiesti se fosse a un livello troppo alto di generalità uno schema teorico, come il loro, tale da poter essere adottato in casi cosí disparati quali quelli da essi analizzati. Infatti, si va dalla Bretagna, Gran (1832) alla Francia, (1870–75), ancora alla Bretagna, Gran (1931), alla Germania (1917–20), al Messico, (1931–40), al Giappone sotto la restaurazione Meiji, (1868), all'India (1964–67). Per altro, le date qui riportate sono meramente indicative, poiché ogni saggio esamina ovviamente anche il periodo precedente e seguente.Google Scholar

5 Per una prima valutazione del contributo di Almond e del suo gruppo si veda Modino, L., Crisi e Mutamento politico , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», V (1975); per un giudizio piú critico — anche se non completamente giustificato — e fondato soprattutto sul modo in cui viene usata la teoria coalizionale, si veda Barry, B., Crisis, Choice and Change, parti I e II, in «British Journal of Political Science», VII (1977); oltre alla risposta abbastanza secca di Almond, G. A. e Flanagan, S.C., Back to the Barre, Brian Barry, nella stessa rivista, VIII (1978).Google Scholar

6 Cfr. Almond, G. A., Approaches to Developmental Causation , in Almond, , Flanagan, e Mundt, , Crisis, Choice and Change, cit., pp. 142, anche per la bibliografia ivi considerata.Google Scholar

7 Come ho già detto Linz stesso si richiama espressamente a Bracher (vedi n. 2); in quanto alla letteratura sulla stabilità politica si veda Morlino, L., Stabilità, Legittimità e Efficacia Decisionale nei Sistemi Democratici , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», III (1973) e bibliografia ivi.Google Scholar

8 Desidero riconoscere il mio debito intellettuale soprattutto verso Linz. Il suo lavoro (si veda n. 2), che ho avuto la possibilità di leggere in dattiloscritto, mi ha confermato nelle mie ipotesi e mi ha spinto ad andare avanti.Google Scholar

9 Nell'analizzare la crisi democratica non mi fermerò ad illustrare a lungo i singoli fattori o processi in sé considerati, quanto i loro collegamenti, per due ragioni: a) ampie analisi teoriche — e empiriche — di essi già esistono nella letteratura, b) un'analisi empirica, nella forma di case-study, è proprio l'oggetto della seconda e terza parte del presente lavoro.Google Scholar

10 Come è noto la nozione di equilibrio è centrale nella teoria economica. È ormai classica l'applicazione al sistema sociale che ne fà V. Pareto nel suo Trattato di Sociologia Generale vol. 2, Torino, UTET, pp. 543–44. Altrettanto noto è il simile tentativo di Parsons. Inoltre, se ne trovano applicazioni in scienza politica che generalmente si rifanno all'uso di quel concetto in economia. Si veda, ad esempio, come è usato da A. Downs in The Economic Theory of Democracy, New York, Harper, 1957, spec. cap. X. Dell'equilibrio si è occupato anche la systems analysis e altri approcci nelle scienze sociali. D. Easton ne tratta criticamente in Limits of the Equilibrium Model in Social Research, in «Behavioral Science», I (1956). Ma si veda ancora il tentativo di applicazione al sistema politico proposto da Sartori, G., Questioni di Metodo in Scienza Politica. Dispense, Firenze, 1958, pp. 196–213. Qui si usa il termine equilibrio solo perché sembra utile a fare intendere meglio la situazione descritta, senza alcuna pretesa di rigore formale.Google Scholar

11 Si tratta di nozioni tutte abbastanza note nell'analisi sistemica. Non mi soffermo, quindi, a darne le definizioni e a illustrarle. veda, Si, Easton, D., A Systems Analysis of Political Life, New York, Wiley & Sons, 1965.Google Scholar

12 Si potrebbero proporre anche altre definizioni di crisi democratica, almeno altrettanto valide. Ad esempio, tra le piú interessanti, quel la proposta da Farneti: «la crisi di un sistema parlamentare può essere vista come il fallimento, da parte della società politica, nel mantenere le regole della “divisione del lavoro”, un equilibrio che richiede autocontrollo da parte della classe politica e, nello stesso tempo, la possibilità-decisione di dissuasione sistematica da ogni tentativo di spezzare questo equilibrio da parte delle forze civili e istituzionali». Farneti, , La Crisi della Democrazia Italiana, cit., p. 47.Google Scholar

13 Cfr. Lipset, S. M. e Rokkan, S., Introduction , in Lipset, e Rokkan, , (eds.), Party Systems and Voter Alignments, New York, The Free Press, 1967 e Rokkan, S., Citizens, Elections, Parties, Oslo, Universitetsforlaget, 1970, spec. cap. III. Dahl invece dà una definizione piú ampia di frattura (cleavage): «ogni differenza entro una società che può polarizzare la gente in vari campi antagonisti è una frattura di grande importanza». (Dahl, R. A., Poliarchy: Participation and Opposition, New Haven, Yale University Press, 1971). Uso il termine «conflitto» invece che frattura o cleavage, in quanto il primo termine è l'espressione dinamica del secondo ovvero il conflitto è ciò che accade come conseguenza della presenza di cleavages quando questi si politicizzano per cause diverse.Google Scholar

14 Sul punto tornerò piú avanti.Google Scholar

15 Individuare e precisare quei collegamenti, che spesso hanno chiare manifestazioni solo a livello di politica invisibile, è un altro problema di ben piú difficile soluzione. Sappiamo, ad esempio, che un attore partitico difficilmente rappresenta un solo gruppo sociale. Al contrario, spesso ne rappresenta diversi e con interessi contrari: esiste un'ampia letteratura su questo problema. Non rimane che ricorrere al ben noto criterio di corrispondenza oggettiva tra le posizioni assunte dall'attore politico e gli interessi, identificabili, dell'attore-gruppo sociale. Ma anche questo criterio si rivela piú ambiguo di quanto possa apparire a prima vista, quando lo si va ad applicare in concreto.Google Scholar

16 Cosí, ad esempio, nel momento della instaurazione democratica vi può essere una larga coalizione di forze concordi solo nell'accettare le regole di risoluzione dei conflitti (elezione, garanzia dei diritti politici e civili, ruolo del Parlamento, indipendenza della magistratura, e altro), di solito sancite dalla costituzione, cioè concordi nell'accettare un regime democratico di un certo tipo e, d'altra parte, discordi sui modi sostantivi di risoluzione di quei conflitti. Anche nell'instaurazione autoritaria vi può essere solo una coalizione concorde nel rifiutare le regole democratiche e nel varare le forme politiche autoritarie. Tuttavia, se all'instaurazione farà seguito un consolidamento, qualche coalizione dominante anche sui modi sostantivi di comporre i conflitti dovrà essere emersa. Sul punto, si veda meglio il prossimo capitolo.Google Scholar

17 Le nozioni di risorse e arene sono qui usate nello stesso senso in cui sono elaborate da Flanagan, S.C., Models and Methods of Analysis , in Almond, , Flanagan, e Mundt, , Crisis, Choice and Change, cit., pp. 7492. Considerando il legame attoririsorse, si può pensare anche a una tipologia degli attori: a) elettivi, b) istituzionali, c) influenti, d) coercitivi; dove gli attori di massa possono essere del tipo c o d, a seconda del ruolo svolto. Inoltre, Flanagan elabora delle procedure per giungere a stime quantitative delle risorse stesse. Pur non negandone completamente la validità — ad esempio, per le risorse elettive le rispettive stime numeriche rispecchiano i voti e i seggi di ogni partito — l'opera-zione mi lascia perplesso perché vedo la possibilità che il ricercatore operi in maniera piú o meno arbitraria. D'altra pare, la stima delle risorse è un punto decisivo nella teoria del gruppo di Almond, soprattutto per la sua ambizione di formulare un modello predittivo. È, invece, molto meno importante per chi accentui maggiormente l'aspetto interpretativo, ex post, delle proprie ipotesi, in quanto lo svolgimento reale dei fatti ci ha già detto quali erano le risorse nell'insieme dominanti, la loro efficacia politica, e il loro grado di utilizzazione.Google Scholar

18 Questa espressione «in parte o in tutto», vuole sottolineare la frequente ambiguità di forze politiche delle quali non si sa se e a quali coalizioni appartengano. Ciò non per mancanza di informazioni del ricercatore, ma perché quella forza politica è indecisa o divisa al suo interno o gioca consapevolmente su piú tavoli. Riprenderò questo punto piú avanti.Google Scholar

19 Uso la nozione come è formulata da Huntington, S. P. (in Political Order in Changing Societies, New Haven, Yale University Press, 1968, p. 12): «L'istituzionalizzazione è il processo per cui organizzazioni e procedure acquistano valore e stabilità». Si vedano anche i parametri di istituzionalizzazione elaborati da quest'autore: adattabilità-rigidità, autonomia-subordinazione, coerenza-disunione, complessità-semplicità (ibidem, pp. 13–24).Google Scholar

20 Cfr. Dahl, R. A., Introduction , e Dahl, , (ed.), Regimes and Oppositions, New Haven, Yale University Press, 1973, pp. 2022. Ma si veda anche la n. 34 sul punto.Google Scholar

21 Huntington, S. P., Social and Institutional Dynamics of One-party Systems , in Huntington, e Moore, C. H., (eds.), Authoritarian Politics in Modern Society, New York, Basic Book, 1970, trad. it., Tipologia del monopartitismo , in Fisichella, D. (a cura di), Partiti e Gruppi di pressione, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 310.Google Scholar

22 Tutto ciò risulta molto evidentemente nella letteratura sulla modernizzazione. Per una rassegna ampia, esauriente e ancora valida di questi autori rinvio a Pasquino, G., Modernizzazione e sviluppo politico, Bologna, Il Mulino, 1971.Google Scholar

23 Sottolineo «di solito» in quanto possono esserci rilevanti eccezioni a questa «regola». Ad esempio, Castles, F. G., in Barrington Moore's Thesis and Swedish Political Development , in «Government and Opposition», (1973), sostenendo che le tesi di Moore sono inapplicabili alla Svezia, che non ha mai sperimentato rotture rivoluzionarie, induce a pensare che il sistema politico svedese rappresenti una di queste eccezioni.Google Scholar

24 Ovviamente una qualche coalizione doveva esistere al momento della instaurazione del regime.Google Scholar

25 Uso i concetti di legittimità (specifica e diffusa), efficacia decisionale e effettività come sono stati da me proposti in Stabilità, legittimità e efficacia decisionale nei sistemi democratici, cit. Quindi legittimità è: «un insieme di atteggiamenti positivi verso il sistema politico considerato meritevole di sostegno» (p. 263); «legittimità specifica è un insieme di atteggiamenti di attaccamento al regime e alle autorità, dovuto alla soddisfazione di determinate domande per mezzo di altrettanti provvedimenti governativi. … la legittimità diffusa non è riferibile a particolari outputs, ma ha le sue origini in elementi piú generali (tradizioni, fiducia nelle istituzioni, ecc.)» (pp. 305–6); l'efficacia decisionale è «la capacità… (de)gli organi decisionali di un sistema politico di prendere e portare ad esecuzione i provvedimenti necessari a superare le sfide poste al sistema» (p. 280) e, infine, l'effettività — rispetto all'efficacia — riguarda i risultati delle decisioni prese (p. 282).Google Scholar

26 Si veda nota 19.Google Scholar

27 Tuttavia ciò non accade sempre. Vi sono infatti rilevanti esempi storici in cui proprio perché rilevanti e cruciali decisioni sostantive non sono state ancora prese il regime democratico gode di un ampio entusiasmo e appoggio popolare iniziale. Questo potrebbe essere proprio il caso della Spagna nel 1931. Ma sul punto tornerò nel quarto capitolo.Google Scholar

28 Sulla mobilitazione politica e sociale la letteratura è molto ampia. Qui uso la nozione di mobilitazione primaria e secondaria nel senso suggerito da Germani, G., in Autoritarismo, fascismo e classi sociali, Bologna, Il Mulino, 1975, cap. II. Ma si vedano anche il famoso articolo di Deutsch, K. W., Social Mobilization and Political Development, in «American Political Science Review», LV (1961), trad. parz. it., Mobilitazione sociale e sviluppo politico, in G. Sartori (a cura di), Antologia di scienza politica, Bologna, Il Mulino, 1971; Lerner, D., The Passing of Traditional Society, New York, The Free Press, 1958, spec. cap. II; Netti, J. P., Political Mobilization, London, Faber and Faber, 1967 e, piú di recente, Cameron, D. R., Toward a Theory of Political Mobilization, in «Journal of Politics», XXXVI (1974) e Chazel, F., La mobilisation politique, in «Revue Française de Science Politique», XXV (1975), che è una utile rassegna — anche se non completa e esauriente — della letteratura sull'argomento.Google Scholar

29 Di questi importanti e spesso decisivi elementi sembra non tenere conto Rogowski, R., in Rational Legitimacy, Princeton, Princeton University Press, cap. 1, considerando gli assiomi e le ipotesi da lui proposte.Google Scholar

30 Data l'importanza che possono assumere fattori internazionali nella crisi di un regime, questo argomento richiederebbe una lunga trattazione, impossibile nell'economia di questo lavoro. A parte la difficoltà di formulare qualsiasi generalizzazione sul punto che non sia una paludata riproposizione dell'ovvio.Google Scholar

31 Per Flanagan, la «polarizzazione è una misura della distanza — ponderata sulla base delle risorse — che divide i contendenti» (Flanagan, Models and Methods of Analysts, cit., p. 86). Mi sembra che Flanagan confonda tra polarizzazione e radicalizzazione (sul punto si veda piú avanti). Tuttavia, ho riportato questa definizione per mostrare il collegamento, indiretto, stabilito tra polarizzazione e risorse.Google Scholar

32 Sartori, Per, polarizzazione è anche radicalizzazione (si veda nota 34). Ma ciò precisato, si veda la relazione tra polarizzazione e sistema partitico (in particolare, in un tipo di sistema partitico, quello a pluralismo polarizzato) secondo questo autore. Cfr. Sartori, G., Parties and Party Systems. A Framework for Analysis, vol. I, Cambridge, Cambridge University Press, 1976, pp. 131–73.Google Scholar

33 Sul punto si veda il prossimo paragrafo.Google Scholar

34 Linz fa appena un cenno a questa differenza: in realtà, usa i due termini uno dopo l'altro. Cfr. Linz, J. J., The Party System of Spain: Past and Future , in Lipset, e Rokkan, , Party Systems and Voter Alignments, cit., p. 237 e Id., Continuidad y Discontinuidad en la élite politica españcia, in AA.VV., Estudios de Ciencia Politica y Sociologia: Homenaje al profesor Carlos Ollero, Madrid, Carlavilla, 1972, p. 394. La distinzione, al contrario, è sviluppata anche in riferimento al contesto italiano, in Parisi, A. e Pasquino, G., 20 giugno: struttura politica e comportamento elettorale, in Parisi e Pasquino (a cura di), Continuità e mutamento elettorale in Italia, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 60–62. Dahl e Sartori intendono la polarizzazione anche in termini di distanza ideologica. Cfr. Dahl, R. A., Some Explanations , in Dahl, , (ed.), Political Oppositions in Western Democracies, New Haven, Yale University Press, 1966, p. 381 e Sartori, , Parties and Party Systems, cit., p. 135. Per altro, ovviamente, polarizzazione (nozione dinamica), nei termini in cui qui è proposta, è ben diversa da bipolarità (nozione statica) che indica solo la presenza di due poli aggreganti, e non il processo di aggregazione.Google Scholar

35 Superfluo precisare che vi è una certa relazione tra frazionalizzazione e legge elettorale intrapartitica. Tuttavia, sul punto si veda ancora Sartori, , Parties and Party Systems, cit., pp. 71–105 e, con specifico riferimento al caso italiano, Id. (a cura di), Correnti, frazioni e fazioni nei partiti politici italiani, Bologna, Il Mulino, 1973. Sul punto si veda anche Linz, Crisis, Breakdown and Reequilibration, cit., pp. 6668.Google Scholar

36 Cfr. Taylor, M. e Herman, V. M., Party System and Government Stability , in «American Political Science Review», LXV (1971), trad. it., Sistemi partitici è stabilità di governo , in Fisichella, , Partiti e gruppi di pressione, cit., pp. 222–42.Google Scholar

37 Per la nozione di legittimità specifica, si veda n. 25.Google Scholar

38 È frequente, in un simile contesto di crisi, la scoperta di episodi di corruzione e scandali in cui rimangono coinvolte le forze governative. Ovviamente questi episodi contribuiscono ulteriormente alla diminuzione della legittimità.Google Scholar

39 Si vedano, ad esempio, i due volumi curati da Dahl, R. A., Political Opposition in Western Democracies, cit., spec. il cap. XI, Patterns of Opposition dello stesso autore e Regimes and Oppositions, cit., e i vari saggi in questi volumi.Google Scholar

40 Ho usato questi due termini perché mi sono sembrati i meno ambigui. Ad esempio, meno ambivalenti di semidemocratica o antidemocratica. Ma probabilmente avrei potuto adottare la terminologia di Sartori (partito antisistema) o quella di Linz (opposizione leale, semileale, sleale), anche se mi sembra siano usate in modi leggermente diversi. Cfr. Sartori, , Parties and Party Systems, cit., pp. 132–33 e Linz, , Crisis, Breakdown and Re equilibration, cit., pp. 2738.Google Scholar

41 Le forze antiregime — dove il regime è la democrazia quale si è storicamente realizzata, cioè, per usare la terminologia di Dahl, la poliarchia — non sempre si sono opposte apertamente e esplicitamente al metodo «democratico». Piuttosto hanno perseguito parallelamente strategie legali, illegali e extralegali. Inoltre, anche per le grandi differenze ideologiche, reciproche, il comportamento delle forze anarchiche è stato ben diverso da quello delle forze fasciste; e ancora diverso da entrambi la tattica e la strategia comunista.Google Scholar

42 Linz cerca di enucleare indicatori di slealtà e semi-lealtà (cfr. Linz, , Crisis, Breakdown, and Reequilibration, cit., pp. 2833) ma egli stesso non manca di sottolineare in piú punti la difficoltà di inequivoca rilevazione empirica di quegli stessi indicatori.Google Scholar

43 Mi limito a questi rapidi cenni sulle basi sociali dell'opposizione. Dahl (si veda n. 39) e Linz (nota precedente) sono ben piú esaurienti.Google Scholar

44 Che ogni modello analitico è sempre una drastica riduzione e semplificazione della realtà storica, anche se al tempo stesso indispensabile per fini euristici, è una nozione ben nota almeno da Weber in poi.Google Scholar

45 In una simile eventualità sarà facilitata la politicizzazione dei militari — come poteri neutrali — in quanto questi probabilmente vedranno in quelle organizzazioni paramilitari — specie se di sinistra — una consistente minaccia al loro monopolio della forza coercitiva. Ma vedi piú avanti sui poteri neutrali.Google Scholar

46 Per il processo di passaggio all'uso di risorse coercitive, cfr. Flanagan, , Models and Methods of Analysis, cit., p. 77. Inoltre, a livello puramente logico-analitico, la violenza può considerarsi una forma estrema di radicalizzazione e, in quanto tale, destinata a crescere con il secondo fenomeno.Google Scholar

47 Desidero richiamare l'attenzione sulla notevole importanza del fenomeno della politicizzazione della magistratura durante la crisi democratica.Google Scholar

48 Sul punto, cfr. Linz, , Crisis, Breakdown, and Re equilibration, cit., pp. 6974. Sul problema generale dell'intervento militare in politica, si veda cap. 1 e 3 di questo lavoro, dove si discute dei regimi autoritari, e bibliografia ivi.Google Scholar

49 Si veda prima.Google Scholar

50 Queste sono le principali modalità proposte da Linz: 1) l'eliminazione incostituzionale di un governo eletto democraticamente da parte di un gruppo pronto a usare la forza, e servendosi di meccanismi costituzionali predisposti per situazioni di emergenza; 2) l'assunzione di potere da parte di strutture d'autorità ademocratiche, di solito, predemocratiche, che cooptano parte della classe politica, integrano alcuni elementi dell'opposizione sleale, e apportano mutamenti socio-politici relativamente limitati; 3) l'instaurazione di un nuovo regime autoritario, basato su un riallineamento di forze sociali e l'esclusione dei principali attori politici del precedente regime democratico; 4) la presa di potere da parte di una opposizione sleale ben organizzata, con una base di massa nella società e votata alla creazione di un nuovo ordine politico e sociale; 5) la presa di potere che non ha successo, neanche con un regime debole, e richiede una prolungata guerra civile per essere completata; cfr. Linz, , Crisis, Breakdown, and Reequilibration, cit., pp. 8182. I casi di crollo democratico analizzati nel lavoro curato da Linz e Stepan (The Breakdown of Democratic Regimes, cit.) riguardano due aree geografiche: l'Europa e l'America Latina. I sistemi politici europei sono: Italia (Farneti, P.), Germania (Lepsius, M. R.), Austria (Simon, W. B.), Finlandia, 1930–32 (Alapuro, R. e Allardt, E.) e Spagna (Linz, J. J.). Dell'America Latina troviamo esaminati: Argentina, 1916–30 (Smith, P. H.), Colombia, 1942–57 (Wilde, A. W.), Venezuela dopo il 1958 (Levine, D. H.), Brasile, 1964 (Stepan, A.), Argentina, 1955–66 (O'Donnell, G.), Perú, 1962–68 (Cotler, J.), Cile, 1973 (Valenzuela, A.).Google Scholar

51 Ibidem, p. 82. In generale, sul mutamento di regime in seguito a un colpo di stato, si veda anche Thompson, W. R., Regime Vulnerability and the Military Coup, in «Comparative Politics», VII (1975).Google Scholar