No CrossRef data available.
Article contents
IL NUOVO RUOLO DELLE CLASSI IN EUROPA
Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Introduzione
Il declino del conflitto di classe nelle società industriali del dopoguerra è un tema assai diffuso tra i sociologi della politica, particolarmente tra coloro che si sono dedicati allo studio dell'Europa occidentale. Basandosi sulla teoria della stratificazione sociale, essi pongono il postulato per cui il benessere economico ha attenuato il conflitto di classe. La prosperità economica, essi sostengono, riduce le profonde divisioni di classe, che sono una causa fondamentale del conflitto politico. In una società prospera, la differenza fra strato piú alto e strato piú basso nella percezione di ricompense materiali è sempre piú limitata. Le differenze nello stile di vita, che nel passato erano legate a segni visibili di status, sono ridotte. In una economia industriale (e forse post-industriale) fiorente, la classemedia (che sin dal tempo di Aristotele è stata associata all'idea di politica temperata) tende ad espandersi. Le occasioni di mobilità sociale tra una generazione e I'altra aumentano e vengono, anzi, a ridurre gli antagonismi di classe. II conflitto di classe continua, sí, adesistere, ma viene istituzionalizzato. Le domande della classe operaia sono incanalate attraverso una struttura sindacale sernpre piú riconosciuta. I partiti politici della classe operaia cominciano a partecipare alla gestione del potere e diventano legittimati e stabilizzati; inoltre, abbandonano le loro anacronistiche ideo1ogiee gli appelli diretti alla classe.
Benché sia eccessivamente semplificato, questo breve panorama del mutamento sociale e politico fornisce, tuttavia, un accurato quadro generale dei cambiamenti economici, sociali e politici avvenuti nell’Europa occidentale in questo dopoguerra. Nonostante tali cambiamenti, però, sembra che gli schieramenti partitici in questi paesi siano cambiati relativamente poco. Due fra i principali studiosi della politica europea, Seymour Martin Lipset e Stein Rokkan, sostengono che « i sistemi partitici degli anni sessanta riflettono, tranne poche significative eccezioni, la divisione verticale delle strutture degli anni venti ». Lipset ha altresì osservato come, nonostante i profondi cambiamenti verificatisi nella società europea, ancora perduri la correlazione tra classe sociale ed affiliazione partitica: il sostegno della classe operaia a favore dei partiti di sinistra rimane notevolmente elevato nella maggior parte dei sistemi politici europei.
Di fatto, c’è stata una considerevole continuità nei modelli di divisione tra i vari settori. Ma c’è stato anche un mutamento. Sembra che i cambiamenti sociali, economici e politici del dopoguerra abbiano allentato la correlazione fra classe sociale e preferenza partitica. La mia analisi propone decisamente l’idea che l’affiliazione partitica di classe vada attenuandosi in Germania, in Francia ed in Italia, mentre non prova con altrettanta decisione che tale correlazione sia in diminuzione in Gran Bretagna. In questo saggio, il mio scopo è quello di documentare e — ciò che è di gran lunga piú importante — spiegare il declino della correlazione fra classe sociale e preferenza partitica nei tre sistemi politici continentali summenzionati.
- Type
- Ricerche
- Information
- Italian Political Science Review / Rivista Italiana di Scienza Politica , Volume 1 , Issue 3 , December 1971 , pp. 595 - 628
- Copyright
- Copyright © Società Italiana di Scienza Politica
References
1. Lipset, Seymour M. e Rokkan, Stein, Cleavage Structures, Party Systems and Voter Alignments: An Introduction , in Lipset, e Rokkan, , (eds.), Party Systems and Voter Alignments: Cross-National Perspectives, New York, The Free Press, 1967, p. 50.Google Scholar
2. Lipset, , The Changing Class Structure and Contemporary European Politics , in « Daedalus », XCIII (1964), pp. 278–287.Google Scholar
3. Per una descrizione di questi studi, come pure per una spiegazione delle procedure seguite nell'analisi di quei dati, vedi l'appendice procedurale.Google Scholar
4. Gli intervistati occupati in lavori manuali, eccettuati gli artigiani in proprio, sono classificati come appartenenti alla classe operaia; le persone occupate in lavori non manuali, come pure gli artigiani in proprio, sono classificate come appartenenti alla classe media (vedi l'appendice procedurale). Per una discussione dell'utilità di questa divisione dicotomica nella ricerca comparata fra nazioni, vedi Alford, Robert R., Party and Society: The Anglo-American Democracies, Chicago, Rand McNally, 1963, pp. 73–79.Google Scholar
5. Le indagini del 1955 utilizzano dei raggruppamenti di età arbitrari, laddove l'indagine del 1965 fornisce l'età di ciascun intervistato. Dal momento però che queste indagini sono state svolte a metà dell'anno, gli anni di nascita riportati in queste figure e tabelle sono solo approssimativi (vedi l'appendice procedurale).Google Scholar
6. È con qualche esitazione che ho messo insieme i sostenitori del Partito comunista italiano (PCI) e del Partito socialista italiano (PSI) per formare un indice cumulativo del sostegno a favore dei partiti di sinistra. Ma un simile indice cumulativo è necessario, giacché solo una piccola percentuale degli intervistati dichiara di preferire il PCI. Nel 1955, solo ***l'***11 % dichiara di preferire i comunisti, nel 1965 solo il 12 %. (Nello studio sulla cultura civica, svolto nel 1959, solo il 4 % dichiarò di votare per il PCI. Vedi Almond, Gabriel A. e Verba, Sidney, The Civic Culture: Political Attitudes and Democracy in Five Nations, Princeton, Princeton University Press, 1963, pp. 128–129). Nonostante le differenze ideologiche che dividono il PCI ed il PSI, vi è almeno una ragione valida per costruire un indice cumulativo del sostegno a favore dei partiti di sinistra. Entrambi i partiti, infatti, ricevono la maggioranza del loro sostegno elettorale dalla classe operaia. Per un tentativo, basato sull'analisi ecologica, di distinguere la base del sostegno del PCI da quella del PSI, vedi Vittorio Capecchi e Giorgio Galli, Determinants of Voting Behavior in Italy: A Linear Causal Model of Analysis , in Dogan, Mattei e Rokkan, Stein (eds.), Quantitative Ecological Analysis in the Social Sciences, Cambridge, Mass., M.I.T. Press, 1969, pp. 235-298. Vedi pure Capecchi, et al., Il comportamento elettorale in Italia, Bologna, Il Mulino, 1968, parte IV.Google Scholar
7. Alford, Vedi, op. cit. , pp. 79–86. L'indice di Alford differisce dalla mia misurazione dell'affiliazione partitica di classe in due aspetti minori. Le voci utilizzate da Alford per misurare la preferenza partitica si riferiscono alle intenzioni di voto (o a rapporti sul voto precedente) in maniera piú diretta che non la maggior parte di quelle adoperate in questo studio (vedi l'appendice procedurale). In secondo luogo, Alford esclude dalla sua analisi gli intervistati che abbiano preferito i partiti minori.Google Scholar
8. Vi sono parecchie misurazioni alternative per determinare la correlazione tra classe sociale e preferenza partitica. Sono state impiegate parecchie misure di associazione. Vedi Campbell, Angus, Converse, Philip E., Miller, Warren E. e Stokes, Donald E., The American Voter, New York, Wiley, 1960, pp. 344–346, per la loro discussione sulla « polarizzazione dello status ». Janowitz, Morris e Segai, David R. adoperano il V di Cramer per misurare la polarizzazione (Social Cleavage and Party Affiliation: Germany, Great Britain, and the United States, in « American Journal of Sociology », LXII (1967), pp. 601-618). Si possono anche calcolare differenze alternative di percentuale. Butler, David E. e Stokes, D. E. (Political Change in Britain: Forces Shaping Electoral Choice, New York, St. Martin's Press, 1969) impiegano una misurazione di « sostegno incrociato » (pp. 73-80). In aggiunta a queste misurazioni, si è soliti calcolare l'omogeneità di classe dell'elettorato di un partito. Una simile misurazione sarebbe influenzata sia dalla proporzione delle persone che, entro ciascuna classe, sostengono ciascun partito, sia dalla dimensione relativa di ciascuna classe operaia. Il vantaggio principale della misurazione impiegata in questo saggio è la sua semplicità. Essa può essere facilmente calcolata e rappresentata graficamente.Google Scholar
9. Lipset e Reinhard Bendix hanno sostenuto che le persone che si muovono verso l'alto della scala sociale sono rapide nell'accettare i partiti conservatori, laddove quelle che si muovono verso il basso conservano la loro affiliazione conservatrice: Social Mobility in Industrial Society, Berkeley e Los Angeles, University of California Press, 1964, pp. 64–72. Tuttavia, qualche prova suggerisce che tra le persone che solo di recente sono entrate nella forza lavoro, sia quelle in ascesa che quelle in declino tendono a conservare i valori partitici dei loro genitori. Cfr. Abramson, Paul R. e Books, John W., Social Mobility and Political Attitudes: A Study of Intergenerational Mobility among Young British Men, in « Comparative Politics », III (1971), pp. 403–428.Google Scholar
10. La tesi del ciclo vitale può anche prevedere un declino nella correlazione tra classe e preferenza partitica con l'aumentare dell'età delle persone. Lasciando la forza lavoro, esse possono essere meno influenzate dalla loro precedente posizione professionale. Sfortunatamente, i dati non permettono di esaminare la correlazione fra professione precedente e preferenza partitica, giacché la posizione professionale precedente degli intervistati ritiratisi a vita privata non è stata registrata. Dal momento che non ho potuto verificare gli effetti del passare degli anni sull'affiliazione partitica di classe, il fuoco principale della mia analisi è concentrato sui cambiamenti nelle classi d'età piú giovani.Google Scholar
11. Rintala, Marvin, Political Generations , in International Encyclopedia of Social Sciences, New York, Macmillan - Free Press 1968, vol. 6, p. 93.Google Scholar
12. Vi è una prova rilevante in appoggio a questi assunti. Vedi Converse, Of Time and Partisan Stability , in « Comparative Political Studies », II (1969), pp. 139–171.Google Scholar
13. Ovviamente, molti individui avranno esperienze di socializzazione formativa in stadi ulteriori della loro vita. Taluni individui faranno esperienza di mobilità di carriera da settori manuali a settori non manuali. Il modello generazionale ipotizza che per la maggior parte delle persone gli ultimi anni dell'adolescenza ed i primi dell'età adulta saranno particolarmente significativi nella creazione di legami partitici e che per la maggior parte delle persone questi atteggiamenti saranno relativamente stabili.Google Scholar
14. Negli scorsi anni, parecchi studi si sono basati sull'analisi longitudinale dei gruppi d'età. Fra i piú utili per spiegare la loro logica vedi Cutler, Neal E., The Alternative Effects of Generations and Aging Upon Political Behavior: A Cohort Analysis of American Attitudes Toward Foreign Policy, 1946-1966, Oak Ridge, Tenn., Oak Ridge National Laboratory, ORNL-4321, 1968. Vedi anche Evan, William M., Cohort Analysis of Survey Data: A Procedure for Studying Longterm Opinion Change, in « Public Opinion Quarterly », XXIII (1959), pp. 63–72.Google Scholar
15. Le medie presentate nelle tabelle da 1 a 4 e nelle figure da 5 a 8 non mostrano il livello medio di affiliazione partitica di classe per la popolazione del campione. Esse presentano l'affiliazione media di classe nei vari gruppi; si presume che tutti i gruppi siano di eguali dimensioni.Google Scholar
16. Per una discussione degli indici ***z, vedi Hays, William L., Statistics, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1963, pp. 186–187.Google Scholar
17. È possibile che il generale incremento dell'affiliazione partitica di classe sia in parte prodotto dall'adozione di metodi diversi seguiti nella classificazione delle professioni nel 1955 e nel 1965. Lo studio del 1955 mostra che circa il 26 % degli uomini sono artigiani indipendenti; nel 1965, meno del 10 % degli uomini sono classificati come artigiani indipendenti. (Ho costantemente classificato gli artigiani indipendenti come appartenenti alla classe media). Queste differenze solo in piccola misura possono essere il risultato degli attuali cambiamenti nella strutturazione delle professioni in Germania e possono derivare da differenti procedure di campionamento e/o da differenti metodi di classificazione delle professioni. Dal momento che mi sono interessato ai livelli relativi di affiliazione partitica di classe nelle varie fasce d'età nel 1955 e nel 1965, l'adozione di diverse classificazioni probabilmente non influisce sulla conclusione principale che tra i giovani tedeschi l'affiliazione partitica di classe è relativamente bassa.Google Scholar
18. Dati aggiuntivi mostrano che i giovani tedeschi appartenenti alla classe media sono in modo non proporzionale inclini a sostenere i socialdemocratici (vedi Sanger, Fritz e Liepelt, Klaus, Wahlhandbuch 1965, Teil 3, p. 38). Klingemann, Hans D. e Pappi, Franz Urban, sulla base di dati raccolti dal DIVO-Institut, dimostrano che la proporzione del sostegno ricevuto dai socialdemocratici da parte della classe media nel 1969 era piú alta che nelle elezioni del 1961 e del 1965, The 1969 Bundestag Election in the Federal Republic of Germany, in « Comparative Politics », II (1970), pp. 523–548.Google Scholar
19. Benchè la maggior parte dei dati dell'indagine non mostrino il netto declino del sostegno a favore del PCF scoperto fra i giovani operai nelle indagini del 1965, vi sono dei dati che mostrano come i partiti di sinistra ricevono un sostegno non proporzionato da parte dei giovani membri della classe media. Dalla sua analisi dei dati IFOP, Ronald Inglehart deduce che nelle elezioni legislative del 1968 « le differenze fra gruppi d'età sono importanti quasi quanto quelle fra le classi sociali ». I giovani membri della « moderna » classe media erano inclini a votare per i partiti di sinistra (il PCF e la Federazione della Sinistra) quasi quanto i vecchi membri della classe operaia, cfr. Inglehart, Ronald, Post-Bourgeois Radicalism in France, 1969, ciclostilato.Google Scholar
20. Per i dati sulla Germania, abbiamo escluso dalla fig. 1 gli intervistati occupati nell'agricoltura. Essi sono inclusi nella fig. 5 e nella tab. 5 (vedi l'appendice procedurale).Google Scholar
21. Se il netto incremento del sostegno della classe media a favore dei nazisti si sia avuto nelle elezioni del 1930 o in quelle del 1932, è argomento di discussione. Per la prima opinione, vedi Lipset, , Political Man: The Social Bases of Politics, Garden City, Doubleday, 1960, pp. 140–152; trad. it. L'uomo e la politica, Milano, Comunità, 1963, pp. 146-159. Per il secondo avviso, vedi Karl O'Lessker, Who Voted for Hitler? A New Look at the Class Basis of Nazism, in « American Journal of Sociology », LXXIV (1968), pp. 63–69.Google Scholar
22. Per una discussione della politica sociale nazista, vedi Schoenbaum, David, Hitler's Social Revolution: Class and Status in Nazi Germany, 1933-1939, Garden City, Doubleday, 1967, in ispecie pp. 73–112 e 234-274.Google Scholar
23. Dupeux, Georges, Le front populaire et les élections de 1936, Paris, Armand Colin, 1959, pp. 123–140.Google Scholar
24. Una documentazione dell'elevato livello di agitazione nell'industria è fornita da Dupeux, G., La société française: 1789-1960, Paris, Armand Colin, 1964, pp. 231–240.Google Scholar
25. Touraine, Secondo Alain, « gli scioperi su vasta scala del giugno 1936 — molti dei quali sotto forma di sit-down —, sono ancora ricordati dagli operai come il piú importante movimento e la piú grande vittoria del secolo », Management and Working Class , in « Daedalus », XCIII (1964), p. 307.Google Scholar
26. Vedi Organski, A. F. K., The Stages of Political Development, New York, Alfred A. Knopf, 1965, pp. 138–141; trad. it. Le forme dello sviluppo politico, Bari, Laterza, 1970, pp. 137-139. Per un breve sommario della politica economica fascista, vedi Clough, Shepard B., A General View of Fascist Economic Policies, 1922-1939 , in Clough, e Saladino, Salvatore, A History of Modern Italy: Documents, Readings, and Commentary, New York, Columbia University Press, pp. 453–461.Google Scholar
27. I dati inglesi, a differenza da quelli tedeschi ed italiani, includono tanto gli uomini che le donne. Si potrebbe obiettare che l'inclusione delle donne tende a ridurre le differenze tra le varie classi d'età, dal momento che le donne saranno influenzate dall'affiliazione dei loro mariti e dal momento che le donne tendono a sposare uomini piú vecchi di loro. Di fatto, anche se dal campione inglese togliamo le donne, il modello inglese mostra ancora una generale assenza di differenza fra gruppi d'età, tranne che fra i membri della fascia 1941-1944, fra i quali l'affiliazione partitica di classe aumenta nettamente. L'esclusione delle donne dal campione inglese ha una scarsa incidenza sul modello generale, se si eccettua l'aumento dell'affiliazione a base classista nella fascia 1911-1915.Google Scholar
28. Kinnear, Michael, che adopera l'analisi ambientale delle statistiche elettorali, perviene a questa conclusione in The British Voter: An Atlas and Survey Since 1885, Ithaca, Cornell University Press, 1968, pp. 52–54.Google Scholar
29. L'importanza delle condizioni politiche nell'influenzare i livelli di affiliazione partitica di classe è sottolineata dalla comparazione della Gran Bretagna con gli Stati Uniti. Le condizioni economiche degli anni trenta negli Stati Uniti non erano cosí gravi come in Gran Bretagna. Ancora, Campbell ed i suoi collaboratori hanno trovato che la polarizzazione di status era elevata nella « generazione della depressione », specialmente in quelli che al culmine della depressione erano fra i venti e i trent'anni (Campbell, A. et al., pp. 351–361). Negli Stati Uniti, diversamente dall'Inghilterra, le condizioni politiche influirono sull'affiliazione partitica di classe. La politica del New Deal tendeva a mobilitare la classe operaia. La forte correlazione tra classe e affiliazione in questo periodo è documentata da Dewey Anderson, H. e Davidson, Percy E., Ballots and the Democratic Class Struggle, Stanford, Stanford University Press, 1943.Google Scholar
30. La mia analisi fornisce una confutazione abbastanza convincente della tesi del ciclo vitale, almeno nella sua formulazione originale. Ma potrebbero porsi differenti assunti sull'età in cui la gente è maggiormente influenzata dalla propria posizione professionale. Supponiamo di postulare che le persone non siano completamente socializzate rispetto alla loro posizione sociale finché non siano sui quarant'anni (circa 25 anni dopo che la maggior parte degli europei ha fatto il suo ingresso nella forza lavoro!). Un simile assunto si adatterebbe meglio ai dati, dal momento che i livelli relativi di affiliazione di classe tendono ad aumentare tra il 1955 ed il 1965 nella fascia compresa fra il 1911 ed il 1915 (vedi le tabelle da 1 a 4). Ma l'incremento assoluto nell'affiliazione di classe in questo gruppo d'età in Italia è minimo ed in Gran Bretagna essa, in questo gruppo, diminuiva addirittura. Inoltre, anche se si assumesse che le persone non sono pienamente socializzate rispetto alla loro posizione di classe fino a quarant'anni, la tesi del ciclo vitale non può spiegare l'assenza di nette differenze fra i gruppi d'età in Gran Bretagna. Sarebbe piú ragionevole ipotizzare che gli individui sono socializzati rispetto alle norme di classe proprio agli inizi della loro carriera. Nelle società in cui la maggior parte delle persone entrano nella forza lavoro all'età di 15 anni, è possibile che la socializzazione rispetto alle lealtà partitiche si sia verificata per la maggioranza degli individui al raggiungimento dei ventun anni. In tal caso, il campione è troppo vecchio per permettere una prova adeguata della tesi del ciclo vitale. Ma se si conclude che questa tesi non è stata adeguatamente provata, non si può trovare alcun indizio per cui il basso livello di affiliazione partitica di classe nei giovani tedeschi, francesi ed italiani sia il risultato del loro ingresso relativamente recente nella forza lavoro.Google Scholar
31. Vedi Gurr, Ted Robert, Why Men Rebel, Princeton, Princeton University Press, 1970. Per una prima formulazione dell'ipotesi della privazione relativa, vedi Alexis de Tocqueville, La démocratie en Amérique; trad. it. La democrazia in America, in Scritti politici, a cura di Nicola Matteucci, Torino, UTET, 1969, vol. II, pp. 744–756.Google Scholar
32. Possediamo dati sul reddito reale degli intervistati solo per la Francia. Tra i francesi, tuttavia, la correlazione fra reddito reale e preferenze partitiche è relativamente debole.Google Scholar
33. Alcuni intervistati non sapevano se percepissero la loro giusta quota di beni di vita e sono stati esclusi dall'analisi.Google Scholar
34. Per una piú estesa discussione delle condizioni alle quali l'ordine delle priorità dell'uomo sia riveduto, vedi Maslow, Abraham H., Motivation and Personality, New York, Harper and Row, 1954. Vedi pure Inglehart, op. cit. Google Scholar
35. Alford immagina un possibile declino nel voto di classe in Gran Bretagna, dalla sua conclusione che il voto di classe è piú basso nella Gran Bretagna meridionale, che è la parte piú urbanizzata del Paese, che in altre aree (op. cit. , pp. 326–341). Ma Alford non trova alcuna prova diretta della diminuzione del voto di classe fra il 1943 (anno del suo primo campione inglese) ed il 1962 (p. 131). Butler e Stokes definiscono la classe operaia in modo da includervi il livello piú basso degli occupati in professioni non manuali. Cosí è difficile comparare le loro conclusioni con quelle di questo studio. Tuttavia, i loro dati mostrano che la correlazione tra classe sociale ed affiliazione è piú elevata nei gruppi d'età piú giovani. Essi però dimostrano pure che i giovani sono i meno inclini a vedere i partiti in termini di conflitto fra interessi di classe contrapposti. (Cfr. Butler, e Stokes, , op. cit., pp. 104-122).Google Scholar
36. Per talune riserve sull'efficacia della distribuzione del reddito in Europa, vedi Pizzorno, Alessandro, The Individualistic Mobilization of Europe , in « Daedalus », XCIII (1964), pp. 199–224.Google Scholar
37. La crescente correlazione tra il riconoscimento legale dell'istruzione ed il conseguimento della carriera fornisce ai genitori appartenenti alla classe media un meccanismo per assicurare il successo professionale ai loro figli. Le occasioni per un'istruzione piú elevata (ed anche secondaria) sono molto piú limitate nell'Europa occidentale che negli Stati Uniti.Google Scholar
38. Per delle previsioni, vedi Strumthal, Adolf, White-Collar Unions - A Comparative Essay , in Strumthal, (ed.), White-Collar Trade Unions: Contemporary Development in Industrial Societies, Urbana, University of Illinois Press, 1967, pp. 367–372.Google Scholar
39. Vedi Lerner, Daniel e Gorden, Morton, Euratlantica: Changing Perspectives of the European Elites, 1955-1965, Cambridge, Mass., The M.I.T. Press, 1969, per i dati sulle élites tedesca, francese ed inglese.Google Scholar
40. Vedi Kirchheimer, Otto, The Transformation of the Western Party Systems , in LaPalombara, Joseph e Weiner, Myron, (eds.), Political Parties and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1966, pp. 177–200. Vedi anche Kirchheimer, , Germany: The Vanishing Opposition, in Dahl, Robert A. (ed.), Political Oppositions in Western Democracies, New Haven, Yale University Press, 1966, pp. 237-259. Per due valutazioni ancor piú deprimenti della mancanza di conflitto politico nella Germania occidentale, vedi Ralf Dahrendorf, Gesellschaft und Demokratie in Deutschland, München, Piper Verlag, 1965, trad. it. Sociologia della Germania contemporanea, Milano, Il Saggiatore, 1968; Jaspers, Karl, Wohin treibt die Bundesrepublik, München, Piper Verlag, 1966, tr. inglese ampliata The Future of Germany (trad. Ashton, E. B.), Chicago, University of Chicago Press, 1967.Google Scholar
41. Vedi Barnes, Samuel H., Italy: Oppositions on Left, Right and Center, in Dahl, , op. cit. , pp. 303–331.Google Scholar
42. La prova che il PCI è non-rivoluzionario è fornita da Tarrow, Sidney, Political Dualism and Italian Communism , in « American Political Science Review », LXI (1967), pp. 39–53.Google Scholar
43. Vedi Greene, Thomas H., The Communist Parties of Italy and France: A Study in Comparative Communism , in « World Politics », XXI (1968), pp. 1–38.Google Scholar
44. Una valida argomentazione della crescente pragmaticità del PCF è fornita da Harvey Waterman, Political Change in Contemporary France: The Politics of an Industrial Democracy, Columbus, Ohio, Charles E. Merrill, 1969.Google Scholar
45. L'affermazione delle scienze sociali che la classe sociale vada diminuendo d'importanza può influenzare il comportamento dei leaders politici. Vedi Goldthorpe, John H., Lockwood, David, Bechhofer, Frank e Platt, Jennifer, The Affluent Worker in the Class Structure, Cambridge, Cambridge University Press, 1969, pp. 21–29. Vedi anche Hamilton, Richard F., Affluence and the French Worker in the Fourth Republic, Princeton, Princeton University Press, 1967, pp. 290–296.Google Scholar
46. I canoni della strategia elettorale per i leaders politici possono essere meno chiari che per i politologi, i quali costruiscono modelli semplificati di comportamento politico. Se la dimensione della classe operaia va diminuendo, i leaders dei partiti di sinistra avranno bisogno di ampliare la base del loro sostegno elettorale. Ma essi debbono altresí assicurarsi la fedeltà politica e la partecipazione elettorale della classe operaia.Google Scholar
47. Janowitz, e Segal, , op. cit., fanno uno sforzo considerevole per scoprire nuove fonti di divisione partitica mediante l'analisi secondaria dei dati d'indagine disponibili per Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. Essi scoprono altre fonti di divisione in aggiunta alla classe sociale (la razza negli Stati Uniti, il sesso in Gran Bretagna, la religione in Germania), ma non dimostrano che queste siano nuove fonti di divisione.Google Scholar
48. Vedi Eisenstadt, Samuel N., From Generation to Generation: Age Groups and Social Structure, Glencoe, Free Press, 1956; trad. it. Da generazione a generazione, Milano, Etas Kompass, 1970; e Gerhard Lenski, Power and Privilege: A Theory of Social Stratification, New York, McGraw-Hill, 1966, pp. 408–409; 426-428.Google Scholar
49. Merritt, Richard L., The USIA Surveys: Tools for Policy and Analysis , in Merritt, R. L. e Puchala, Donald J., Western European Perspectives on International Affairs: Public Opinion Studies and Evaluations, New York, Praeger, 1968, pp. 3–30.Google Scholar