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IL DIBATTITO POLITOLOGICO NELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA
Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Introduzione
È stato spesso rilevato che la scienza politica fu percepita nell'università tedesca del dopoguerra, anche per le ragioni per cui vi era stata introdotta, come un insegnamento dai contorni incerti e sostanzialmente estraneo rispetto a discipline di piú antica tradizione e riconosciuta dignità accademica. Inoltre la scienza politica, per com'era proposta e praticata, veniva ad invadere inopportunamente territori altrui. La sua stessa presenza istituzionale in tre diverse facoltà, indicata dagli avversari quale prova di come fossero poco chiari la sua identità e i suoi fini, era anche denunciata come pretesa di egemonia o almeno di eccessivo ingombro. D'altronde, gli stessi rappresentanti della nuova disciplina contribuivano non poco a renderne discutibili collocazione e definizione.
- Type
- Rassegne
- Information
- Italian Political Science Review / Rivista Italiana di Scienza Politica , Volume 6 , Issue 3 , December 1976 , pp. 561 - 587
- Copyright
- Copyright © Società Italiana di Scienza Politica
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1. Di fronte alla diffidenza dei rappresentanti di quelle discipline, alcuni politologi tedeschi sono andati alla ricerca di un pedigree illustre e autoctono per la propria. Chi privilegia l'aspetto etico e filosofico, ha rintracciato una materia «politica» nelle università tedesche dei secoli XVI e XVII dov'era insegnata nello spirito della tradizione aristotelico-cristiana (Cfr. Maier, H., Die Lehre der Politik in den deutschen Universitäten vornehmlich zum 16. bis 18. Jahrhundert , in Oberndörfer, D. (Hrsg.), Wissenschaftliche Politik Eine Einführung in Grundfragen ihrer Tradition und Theorie, Freiburg i. B., Rombach, 1962, pp. 59–116, ora, con titolo leggermente modificato in H: Maier, Politische Wissenschaft in Deutschland. Aufsätze zur Lehrtradition und Bildungspraxis, München, Piper, 19622, pp. 15–52).Google Scholar
Anche senza risalire tanto indietro, tutti concordano nell'indicare il precedente piú illustre della scienza politica nella cameralistica della seconda metà del sec. XVIII e nel rilevare l'istituzionalizzazione della Politik agli inizi del XIX in alcune facoltà di Staatswissenschaft, dove l'approccio giuridico-amministrativo, che ne faceva una scienza delle tecniche del buon governo e della efficiente amministrazione, prese il sopravvento su quello filosofico-giuridico, grazie all'opera di studiosi come Lorenz von Stein, Robert von Mohl e Johann Bluntschli. A fare scomparire invece questa disciplina alla fine del secolo furono tanto il positivismo giuridico, quanto l'autoritarismo di Bismarck. Solo dopo il 1918 lo studio della politica tornò ad affermarsi per impulso di studiosi di altre discipline (Max Weber, Karl Mannheim e soprattutto Hermann Heller) e grazie all'attività della DHfP. Per questi cenni storici cfr., fra gli altri, von der Gablentz, O., Politische Forschung in Deutschland , in Stammer, O. (Hrsg.), Politische Forschung, Köln und Opladen, Westdeutscher Verlag, 1960, pp. 153–173 e Hermens, F. e Wildenmann, R., Politische Wissenschaft, in Handwörterbuch der Sozialwissenschaften, Tübingen, Mohr, J. C. B. et al., VIII 1964, pp. 387–396.Google Scholar
2. Un bilancio a piú voci sugli sviluppi di quegli anni, da cui emergono chiaramente le riserve e le resistenze di studiosi di discipline affini, lo si può ritrovare in una tavola rotonda aperta da Maier, H. sulla «Zeitschrift für Politik», XII (1965), pp. 201–223, che reca appunto il titolo Zur Situation der Politikwissenschaft in Deutschland. Eine Umfrage. Google Scholar
Per la discussione sui confini fra le discipline, si vedano, fra gli altri, due saggi apparsi sulla «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsycologie», XVII (1965), rispettivamente di Bracher, K. D., Wissenschafts- und Zeitgeschichtliche Probleme der Politischen Wissenschaft in Deutschland, pp. 447–464 e di von Oertzen, P., Überlegung zur Stellung der Politik unter den Sozialwissenschaften, pp. 503–520.Google Scholar
3. Il giudizio è del filosofo Jürgen von Kempski e apparve sul settimanale Der Spiegel in un'inchiesta dedicata alla scienza politica nella RFT (n. 49 del 18 febbraio 1966). Lo stesso von Kempski, riprendendo la polemica e parlando di «una scienza per modo di dire» in un saggio dello stesso anno (cfr. Wissenschaft von der Politik-sozusagen , in «Merkur», XX (1966), pp. 454–468), ribadiva l'accusa ai politologi di prendere un po' da tutti, ma di non aver elaborato una vera teoria dell'agire politico, che solo potrebbe giustificare l'autonomia di una scienza della politica.Google Scholar
4. Per le posizioni di Fraenkel si vedano l'introduzione alle prime edizioni del volume Staat und Politik dell'Enciclopedia Fischer o quella alla sua opera fondamentale Das amerikanische Regierungssystem, Köln und Opladen, Westdeutscher Verlag, 1960.Google Scholar
Per quelle di Bergstraesser soprattutto Die Stellung der Politik unter den Wissenschaften nel suo Politik in Wissenschaft und Bildung, Freiburg i.B., Rombach, 1961.Google Scholar
5. Cosí si era espresso Eugen Kogon all'indomani della riunione di Waldleiningen, Politische Erziehung und Bildung in Deutschland. Ein Bericht über die Konferenz von Waldleiningen, Frankfurt a.M., s.e., 1949, passim.Google Scholar
6. «Fino ad un paio d'anni or sono si intendeva per scienza politica fra Friburgo, Amburgo, Berlino e Monaco una scienza valutativa, con procedimenti sinottici, guidata dal common sense, che lavorava prevalentemente se non esclusivamente con i metodi delle Geisteswissenschaften»; cosí M. Schmitz nel suo Politikwissenschaft zwischen «common sense» und Scientismus, in «Zeitschrift für Politik», XVI (1969), p. 327.Google Scholar
A sua volta Kastendieck, H., in Desintegration einer Integrationswissenschaft, Konstituierung und Wandel der westdeutschen Politologie in Blanke, B., Jurgens, U. e Kastendiek, H., Kritik der Politischen Wissenschaft, Frankfurt a.M./New York, Campus, 1975, p. 78, ha osservato criticamente: «Integrazioni e sinossi erano soltanto soluzioni apparenti per i problemi teorico-metodologici dell'analisi della politica e per i tentativi di dimostrare che la scienza politica era autonoma con un suo specifico ambito e i suoi propri metodi».Google Scholar
7. Per rendersi conto di questa situazione è molto utile un volume che raccoglie i migliori contributi sulla definizione e sulla funzione della scienza politica forniti in anni diversi da politologi della prima e della seconda generazione. Il volume, curato da Heinrich Schneider che vi ha premesso un prezioso saggio introduttivo, è Aufgabe und Selbstverständnis der Politischen Wissenschaft, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1967. Agli stessi fini si può vedere Schmidt, R. H. (Hrsg.), Methoden der Politologie, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1967.Google Scholar
8. Nella sua rassegna del 1968, Dieter Grosser, dopo aver notato gravi lacune nella produzione dei decenni precedenti proprio a proposito di «una teoria della politica nel senso di una generalizzazione di singoli dati tramite sistematizzazione e formazione di modelli», registrava «al contrario… una quantità di ricerche di storia contemporanea e di storia delle idee, soprattutto sotto forma di dissertazioni di dottorato, …prodotte meno nella prospettiva di uno sviluppo della ricerca politologica, quanto piuttosto per la favorevole situazione delle fonti e della metodologia già sperimentata» (Cfr. Grosser, D., Entwicklungstendenzen in der deutschen politischen Wissenschaft , in «Annuaire suisse de science politique», VIII (1968), p. 34).Google Scholar
9. von der Gablentz, O. E., Politische Forschung in Deutschland, cit., p. 160. Questo articolo è molto utile perché contiene una rassegna delle principali opere dei primi dieci anni. Abbiamo visto in precedenza che von der Gablentz è stato direttore della Hochschule di Berlino e curatore di una importante serie di testi di classici del pensiero politico. Ricordiamo qui che è stato anche direttore per alcuni anni della «Politische Vierteljahresschrift».Google Scholar
10. Voegelin è stato introdotto in Italia da studiosi che si trovano su posizioni filosofiche e politiche affini alle sue. Alla traduzione della sua opera La nuova scienza politica, Torino, Borla, 1968 (l'edizione originale americana è del 1952, quella tedesca del 1959) ha preposto un lungo saggio Augusto Del Noce. Di Voegelin, le cui posizioni politiche sono molto conservatrici e che ha una visione che chiameremmo mistico-teologica della scienza politica, si può vedere in italiano anche Anamnesis: teoria della storia e della politica, Milano, Giuffré, 1972.Google Scholar
11. L'opera principale di D. Sternberger è Begriff des Politischen, Frankfurt a. M., Insel, 1961. Risultati di ricerche condotte da allievi di Sternberger sono usciti nella collana «Parlamento, gruppi parlamentari, governo» da lui curata per l'editore Hain.Google Scholar
12. Cfr. soprattutto Fraenkel, E., Die Wissenschaft von der Politik und die Gesellschaft , in «Gesellschaft, Staat, Erziehung», VIII (1963), pp. 273–285, ora anche in Schneider, H. (Hrsg.), Aufgabe und Selbstverständnis, cit., pp. 228–247.Google Scholar
13. Questo giudizio si legge in Kastendiek, H., Desintegration einer Integrationswissenschaft, cit., p. 76. Kastendiek assegna, nella sua ricostruzione, un ruolo centrale all'opera di Fraenkel.Google Scholar
14. Cosí almeno sembrava augurarsi Hans Maier, di fronte all'approccio prevalentemente empirico-sociologico della scienza politica anglosassone e a quello giuridico della francese. Cfr. Maier, H., Zur Lage der politischen Wissenschaft nach dem zweiten Weltkrieg , in Politische Wissenschaft in Deutschland, cit., p. 275, n. 23.Google Scholar
15. Fra gli allievi piú noti di Bergstraesser ricordiamo Hans-Peter Schwarz, Hans Maier, Hans Wolfgang Kuhn, Dieter Oberndörfer, Manfred Hättich, Alexander Schwan, Gottfried Karl Kindermann, Kurt Sontheimer. Quasi tutti sono rimasti fedeli all'impostazione originaria.Google Scholar
16. Oberndörfer, D., Politik als praktische Wissenschaft , in Idem (Hrsg.), Wissenschaftliche Politik. Eine Einführung…., cit., pp. 9–58. La lunga citazione che segue è ripresa dalle pp. 20–21, la successiva da p. 9.Google Scholar
17. Le frasi riportate fra virgolette sono ancora di Oberndörfer e sono riprese dalle pp. 12 e 38 del saggio sopra citato. Traduciamo con meramente il tedesco «rein», che ha appunto una forte sfumatura negativa in questo contesto.Google Scholar
18. Per una critica in tal senso si veda soprattutto Klammer, J., Politische Wissenschaft und Herrschaft , in Das Argument, 50, 1969, pp. 159–173.Google Scholar
19. Hans Maier è addirittura da anni ministro dell'istruzione del governo regionale bavarese. A Friburgo insegna oggi Wilhelm Hennis che è attualmente il rappresentante piú in vista della tradizione normativa; di lui si vedano Politik und praktische Philosophie, Neuwied-Berlin, Luchterhand, 1963 e Politik als praktische Wissenschaft, München, Piper, 1968.Google Scholar
Una recente antologia di scritti del gruppo di Monaco è quella curata da Reinisch, L., Politische Wissenschaft heute, München, Beck, 1971.Google Scholar
20. Si veda, ad esempio, Scheuch, E. e Wildenmann, R. (Hrsg.), Soziologie der Wahl, Sonderheft 9 della «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsycologie» XVIII (1965), una raccolta di studi dedicata alle elezioni federali del 1961 che rappresentò un modello alternativo al modo allora imperante di intendere la scienza politica.Google Scholar
21. Wildenmann, R., Politologie in Deutschland , in «Der Politologe», VIII (1967), p. 17. Wildenmann rispondeva in quell'occasione anche ad un violento attacco contro la scienza politica empirica portato da Kurt Sontheimer e apparso col titolo Erfordert das Atomzeitalter eine neue Politische Wissenschaft?, in «Zeitschrift für Politik», XI (1964), pp. 208–223, in cui si parlava di «ossessione della idea di avalutatività» e di «un rapporto in fondo cinico con la politica». Per quella polemica si veda anche C. Graf von Krockow, Politik als praktische Wissenschaft, in «Gesellschaft, Staat, Erziehung», XI (1966), pp. 84–98.Google Scholar
22. Lo stesso si può dire comunque anche per l'istituto di Colonia, dove le équipes del sociologo Erwin Scheuch e del politologo Ferdinand Hermens hanno sempre collaborato.Google Scholar
Il fatto è che coloro che lavoravano con metodi empirici hanno fatto sentire molto scarsamente la loro voce nel dibattito intorno alla definizione e ai caratteri della scienza politica, presentando e difendendo le proprie ragioni. L'ingresso, per cosí dire ufficiale, del comportamentismo nella scienza politica tedesca si è avuto nel 1965 con la pubblicazione sulla «Politische Vierteljahresschrift», VI (1965), pp. 58–86, del saggio di Merkl, J. H., Behavioristische Tendenzen in der amerikanischen Politikwissenschaft. Google Scholar
23. Occorre ricordare che ricerche di sociologia politica (sulle prime elezioni del dopoguerra, sui partiti e sui gruppi di pressione, sui sindacati, sulla burocrazia) furono sempre condotte nell'Institut für Politische Wissenschaft aggregato alla Hochschule di Berlino e diretto per molti anni da Otto Stammer. Ma Stammer era appunto docente di sociologia politica e verso i metodi da lui insegnati e applicati la maggior parte dei cultori di scienza politica aveva eretto una rigida barriera di confine.Google Scholar
24. Abendroth, W., Politische Wissenschaft als politische Soziologie, introduzione a Antagonistische Gesellschaft und politische Demokratie, Neuwied-Berlin, Luchterhand, 1967, pp. 9–10, volume in cui questo autore ha raccolto i suoi saggi piú importanti. Diversi scritti di Abendroth sono stati tradotti in italiano; il piú noto è forse Storia sociale del movimento operaio europeo, Torino, Einaudi, 1971.Google Scholar
25. Lo stesso ha fatto a Berlino Ossip Flechtheim (e prima di lui A. Rudolf Gurland). La ricerca su Marx è stata promossa inoltre a Francoforte, oltre che dalla scuola che da quella città prende il nome, dal politologo Iring Fetscher, come diremo meglio piú avanti.Google Scholar
26. Cfr. il saggio di Klammer, J., Gegenstand und Methode der politischen Wissenschaft , in Abendroth, W. e Lenk, K. (Hrsg.), Einführung in die politische Wissenschaft, München, Francke, 1968, pp. 9–24.Google Scholar
27. Sontheimer, K., Wozu studiert man eigentlich Politische Wissenschaft?, in «Die Zeit», 27 febbraio 1970. Si noti che Sontheimer scrisse questo articolo su uno dei piú autorevoli settimanali tedeschi per allontanare dalla scienza politica i sospetti e le accuse dell'opinione pubblica moderata di essere, come la sociologia, all'origine delle agitazioni studentesche degli anni precedenti. Si veda anche la replica di Fraenkel, E., Politologie ist keine Obstruktionswissenschaft, in «Die Zeit», 20 marzo 1970.Google Scholar
28. Schwarz, H. P., Probleme der Kooperation von Politikwissenschaft und Soziologie in Westdeutschland , in Oberndörfer, D. (Hrsg.), Wissenschaftliche Politik, Eine Einführung… cit., p. 325.Google Scholar
29. Un'analisi partecipe dei rapporti tra opposizione extraparlamentare e situazione della scienza politica è quella condotta da Krippendorff, E., Politikwissenschaft und Ausserparlamentarische Opposition , in Lehmbruch, G. (Hrsg.), Demokratisches System und politische Praxis, München, Piper, 1971, pp. 98–123.Google Scholar
Le prime analisi critiche del sistema politico federale e delle democrazie occidentali, che ebbero molto successo proprio per la loro novità, furono rispettivamente i volumi: Schäfer-Carl Nedelmann, G. (Hrsg.), Der CDU-Staat. Studien zur Verfassungswirklichkeit der Bundesrepublik, München, Szczesny, 1967, e Agnoli, J. e Brückner, P., Die Transformation der Demokratie, Berlin, Voltaire Verlag, 1967 (tr. it., La trasformazione della democrazia, Feltrinelli, Milano, 1969).Google Scholar
30. Tudyka, K., Kritische Politikwissenschaft, Stuttgart, Kohlhammer, 1973, p. 7.Google Scholar
31. Il lavoro di marxologo di Fetscher è noto anche in Italia. Si vedano in particolare Marx e il marxismo, Firenze, Sansoni, 1969 e Il marxismo, Milano, Feltrinelli, 1969. Fetscher è attualmente il politologo tedesco piú tradotto nel nostro paese; fra le altre sue opere disponibili in italiano ricordiamo: La filosofia politica di Rousseau , Milano, Feltrinelli, 1972; Grandezza e limiti di Hegel , Milano, Feltrinelli, 1973; La democrazia difficile, Bari, Laterza, 1974.Google Scholar
Per la funzione attribuita da Fetscher alla scienza politica di «fornire un orientamento critico al cittadino» e per la sua critica alla scienza politica «positivista» e a quella «filosofico-conservatrice» si veda soprattutto il suo Funktion und Bedeutung der Politikwissenschaft in der Demokratie , in «Gewerkschaftliche Monatshefte», XVIII (1967), pp. 465–473.Google Scholar
32. Le opere dei due gruppi di autori sono troppe e troppo note anche da noi, in seguito alle numerosissime traduzioni, perché sia il caso di richiamarle qui. Basterà ricordare che i momenti piú importanti di quel dibattito sono stati raccolti nel volume Maus, H. e Fürstenberg, F. (Hrsg.), Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, Neuwied-Berlin, Luchterhand, 1969 (tr. it., Dialettica e positivismo in sociologia, Torino, Einaudi, 1972).Google Scholar
33. Il primo articolo di Deutsch, K., Soziale Mobilisierung und politische Entwicklung, apparve sulla «Politische Vierteljahresschrift», II (1961), pp. 104–124. Ad esso seguí Zur Theorie der Abschreckung, «Politische Vierteljahresschrift», IV (1963), pp. 222–232.Google Scholar
34. Per quest'opera di divulgazione è da ricordare soprattutto l'antologia curata da Krippendorff, E., Political Science, Amerikanische Beiträge zur Politikwissenschaft, Tübingen, J.C.B. Mohr, 1965: l'introduzione a questo volume uscí come articolo sulla «Politische Vierteljahresschrift», VI (1965), pp. 184–204, con il titolo Profil einer Disziplin. Versuch über Herkunft und Stand der Politischen Wissenschaft in den Vereinigten Staaten. Di articoli, ricordiamo invece, fra gli altri, quelli di Senghaas, D., Horizonte einer Disziplin. Anmerkungen zur Theorie der Internationalen Politik, in «Politische Vierteljahresschrift», VI (1965), pp. 375–410, Kybernetik und Politikwissenschaft, Ivi, (1966), pp. 252–276 e Elemente politikwissenschaftlicher Analyse, in «Gesellschaft, Staat, Erziehung», XIII (1968), pp. 357–373; quelli di Narr, W. D., David Easton Systemanalyse, in «Politische Vierteljahresschrift», VIII (1967), pp. 424–444, e Entwicklung der Politologie — Entwicklung der Gesellschaft, in «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsycologie», XXII (1970), pp. 98–120; quello di Naschold, F., Demokratie und Komplexität, in «Politische Vierteljahresschrift», IX (1968), pp. 494–518.Google Scholar
Come diremo meglio piú avanti, la recezione delle teorie americane non avvenne acriticamente. Proprio nel libro e negli articoli citati, insieme a considerazione e disponibilità verso le nuove formulazioni, si osservano forti riserve per l'assenza di una teoria generale della società che sottenda ai singoli approcci e soprattutto per la lontananza di taluni modelli dalla reale prassi politica. Quanto alla diffusione delle stesse teorie, vi hanno contribuito negli anni successivi tanto le traduzioni di alcune opere, quanto l'adozione dei testi originali in molti seminari universitari.Google Scholar
35. Narr, W. D. e Naschold, F., Einführung in die moderne politische Theorie, 3 voll., Kohlhammer, Stuttgart, 1969–1971. Nel primo volume, Theorie-begriffe und Systemtheorie, Narr ragguagliava sulla System Theory, sul modello cibernetico di Deutsch, sullo strutturalfunzionalismo di Talcott Parsons, sul «sistema politico» di Easton, sulla politica comparata di Almond, sull'approccio «cultura politica», sulle teorie dello sviluppo, sulle piú recenti posizioni di Verba. Nel secondo volume, Systemsteuerung, Naschold approfondiva l'analisi delle teorie e dei modelli cibernetici e esponeva la teoria delle decisioni, quelle della comunicazione, quelle del potere. Nel terzo volume, infine, i due autori hanno tentato la costruzione di una teoria della democrazia (Theorie der Demokratie).Google Scholar
36. Oberndörfer, D. (Hrsg.), Systemtheorie. Systemanalyse und Entiwicklungsländerforschung. Einführung und Kritik, Berlin, Duncker & Humboldt, 1971. Klaus Faupel dedicava due saggi rispettivamente alla General System Theory e a Almond e Easton; Werner Münch si occupava di altri aspetti dell'opera di Easton, Wolfgang Gessenhardt di quella di Deutsch, Patrik V. Dias della «cultura politica» e Franz Wilhelm Heimer dello sviluppo politico. L'interesse di Oberndörfer e dei suoi allievi si spiega in buona parte, come risulta dal titolo dell'antologia, dal fatto di essere tutti collaboratori di un nuovo istituto di Friburgo che si occupa prevalentemente dei problemi dei paesi in via di sviluppo.Google Scholar
Un esame attento, ma contrassegnato da prudente distacco, dei «nuovi metodi alla moda» da parte di un esponente della vecchia generazione è quello di Otto von der Gablentz, , Sache und Methode der Politischen Wissenschaft , in «Politische Vierteljahresschrift», X (1969), pp. 486–534.Google Scholar
A proposito della teoria dei sistemi non si può non ricordare l'apporto fecondo di un sociologo tedesco, Niklas Luhmann, in particolare il suo Soziologische Aufklärung. Aufsätzte zur Theorie sozialer Systeme, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1970) e il dibattito da lui condotto con Jürgen Habermas, Theorie der Gesellschaft oder Sozialtechnologie. Was leistet die Systemforschung?, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971). Dibattito che ha rappresentato una «sfida» per la scienza politica, come ha osservato l'autore di un recente volume che fa criticamente il punto su questi sviluppi teorici: cfr. Busshoff, H., Systemtheorie als Theorie der Politik, Pullach bei München, Verlag Dokumentation, 1975.Google Scholar
37. Cosí, in una rassegna dedicata a testi di indirizzi diversi e recante il titolo che abbiamo ripreso per questo nostro paragrafo, Dettling, W., Drei Politikwissenschaften — oder keine? , in «Neue Politische Literatur», XVII (1972), pp. 419–437.Google Scholar
38. von Beyme, K., Die politischen Theorien der Gegenwart. Eine Einführung, München, Piper, 1972.Google Scholar
39. von Alemann, U. e Forndran, E., Methodik der Politikwissenschaft, Stuttgart, Kohlhammer, 1974.Google Scholar
40. Narr, W. D., Theoriebegriffe und Systemtheorie (Einführung in die moderne politische Theorie I), cit. e Logik der Politikwissenschaft — eine propädeutische Skizze , in Kress, G. e Senghaas, D. (Hrsg.), Politikwissenschaft. Eine Einführung in ihre Probleme, Frankfurt a.M., Europäische Verlagsanstalt, 1969.Google Scholar
41. Narr, W. D., Theoriebegriffe und Systemtheorie, cit., pp. 41–44.Google Scholar
42. Ibidem, p. 45.Google Scholar
43. Ibidem, p. 66.Google Scholar
44. Teniamo presenti i manuali e le introduzioni ricordati nella prima parte di questa rassegna.Google Scholar
I seguaci dell'indirizzo normativo continuano a definire la loro scienza politica «pratica» o «pratico-filosofica», mentre altri (Schlangen, ad esempio) la definiscono piú polemicamente, sulla scia di Popper, «essenzialistica». Sul termine «empirico-analitico» sono d'accordo quasi tutti; ma qualcuno (Schlangen, Görlitz) preferisce parlare di «teoria razionalistica», e altri, con accento critico, di «empirico-descrittiva» e di «positivistica». Per il terzo tipo di teoria vengono usati anche i termini «dialettico-critica» (von Beyme, von Alemann-Forndran) o semplicemente «critica»; uno dei suoi rappresentanti (Klammer) l'ha chiamata a sua volta «pratico-critica».Google Scholar
Va ricordato, infine, che a questa tripartizione ormai in largo uso si oppongono alcuni autori di sinistra che indicano invece la dicotomia fra scienza «borghese-positivista-conservatrice» e scienza «marxista-dialettica-critica». La piú recente esposizione di questo punto di vista si può leggere in Schuon, K. T., Bürgerliche Gesellschaftstheorie der Gegenwart, Köln, Kiepenheuer & Witsch, 1975.Google Scholar
45. Una precisa ricostruzione della varietà delle posizioni che si richiamano al marxismo nella RFT di oggi è stata fatta recentemente in Italia da Rusconi, G. E., Uno strappo violento con la tradizione, in «Rinascita», 8 agosto 1975.Google Scholar
46. Sui rapporti fra scienza politica e marxismo si ricorda il dibattito aperto da Bobbio in Italia con il suo articolo Esiste una dottrina marxista dello Stato? , in «Mondoperaio», agosto-settembre 1975, pp. 24–31.Google Scholar
47. Dettling, W., Drei Politikwissenschaften — oder keine? cit., p. 435.Google Scholar
48. Schlangen, W., Theorie der Politik, Stuttgart, Kohlhammer, 1974, pp. 69–70.Google Scholar
49. Gli atti del convegno sono stati pubblicati nel numero speciale della «Politische Vierteljahresschrift», XVI (1975), 6, curato da Wolf-Dieter Narr e recante appunto il titolo Autonome Handlungsmöglichkeiten des politischen Systems. Google Scholar
50. Particolarmente risentiti furono i resoconti e i commenti di due grossi quotidiani «Die Welt» e la «Frankfurter Allgemeine Zeitung», che videro senz'altro nel congresso il trionfo dei marxisti e un eccesso di ideologia comunista e giudicarono l'Associazione troppo arrendevole nei confronti dei «nemici del sistema». Per alcune settimane su tutta la stampa moderata riaffiorarono i sospetti verso la funzione stessa della scienza politica come disciplina universitaria e, come nel 1968, ripresero le denunce dei seminari di scienza politica come terreno di esercitazione degli estremisti di sinistra.Google Scholar
64. Per un resoconto piú sereno del congresso di Amburgo e dei suoi risultati si veda invece l'articolo di Müller, M., Ein Kongress, der nicht tanzte, nella «Frankfurter Rundschau» del 10 ottobre 1973.Google Scholar
51. Durante il congresso di Amburgo, che vide — sia detto per inciso — circa 600 partecipanti, si parlò anche delle dimissioni per protesta di venti politologi della vecchia guardia: in realtà se ne dimise uno solo, Dolf Sternberger.Google Scholar
52. In una circolare dell'Associazione diffusa poco dopo il congresso di Amburgo si poteva leggere: «Nella discussione finale sono stati affrontati i problemi delle tensioni chiaramente emerse all'interno dell'Associazione. Il nuovo consiglio direttivo assicura che compierà tutti gli sforzi per una convergenza dei contrastanti indirizzi» (Deutsche Vereinigung für Politische Wissenschaft, «Rundbrief» 58, dicembre 1973).Google Scholar
53. Habermas, quale sociologo, non fa parte dell'Associazione e era a Duisburg come ospite. Era stato invitato sia per i suoi titoli a rappresentare il campo a cui appartiene, sia per essersi intensamente occupato negli ultimi anni della problematica in questione. Di Habermas si veda, appunto, Legitimationsprobleme im Spätkapitalismus, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1973, tr. it. La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Bari, Laterza, 1975.Google Scholar
54. Secondo Habermas il sistema politico, che affonda la sua legittimità nella struttura sociale e economica, non riesce piú a dominare nelle moderne società industriali le tensioni e le sfide che provengono da quella struttura. La legittimità non potrà essere riconquistata con mezzi soltanto politici e con strumenti istituzionali, ma intervenendo sui rapporti economici e sociali: in caso contrario la crisi si accentuerà fino a esplodere.Google Scholar
69. Per Hennis, invece, il problema stesso proposto dal congresso sarebbe un falso problema, essendo l'ordine liberaldemocratico pienamente legittimato di fronte alle masse, quelle masse che frange di ipercritici e sognatori della perfetta democrazia credono di poter ispirare. Le relazioni di Habermas e di Hennis si possono leggere, con tutti gli atti del congresso, in Legitimationsprobleme politischer Systeme, numero speciale della «Politische Vierteljahresschrift», XVII (1976), 7, curato da Peter Graf Kielmannsegg.Google Scholar
55. Sul carattere di «scienza di opposizione», che legherebbe la scienza politica alle sue migliori tradizioni precedenti e seguenti la seconda guerra mondiale, cfr. von Alemann, U. e Fordran, E., Methodik der Politikwissenschaft, cit., pp. 9–10. Sulla funzione critica della scienza politica rimandiamo ancora a Tudyka, K. P., Kritische Politikwissenschaft, cit. Google Scholar
56. von Beyme, K., Bibliographical Essay on the State of Research in Political Science in the Federal Republic of Germany , in «German Political Studies», 1 (1974), p. 256.Google Scholar
57. Kühnl, R., Politikwissenschaft in der Bundesrepublik , in «Blätter für deutsche und international Politik», XV (1970), p. 828. Sulle possibilità e sulle prospettive del dialogo, cfr. anche Kress, G., Wider unpolitische Politikwissenschaft (II), in «Neue Politische Literatur», XVI (1971), p. 187. Anche Dettling, di cui abbiamo riportato un giudizio pessimistico (v. nota 47), esprime, in conclusione della sua rassegna, l'opinione che dalla reciproca disponibilità possa sortire qualcosa di nuovo e di positivo (cfr. Dettling, W., Drei Politikwissenschaftoder keine?, cit., pp. 435–437).Google Scholar
58. von Beyme, K., Bibliographical Essay… cit., ibidem. Google Scholar
59. Basti l'esempio di Dieter Senghaas. Specialista di relazioni internazionali e di ricerca sulla pace, è stato allievo di Deutsch negli Stati Uniti ma proviene dall'istituto francofortese di Fetscher. Ricordiamo che Senghaas ha curato, insieme a Gisela Kress, quell'Introduzione da noi già citata, dovuta quasi completamente ad allievi di Fetscher, Introduzione in cui l'impostazione marxista si unisce all'uso di categorie analitiche elaborate in tutt'altri climi. Di Senghaas, si veda, fra l'altro, Aufrüstung und Rüstungskontrolle, Stuttgart, Kohlhammer, 1972.Google Scholar
60. Naschold, F., Politische Wissenschaft, Freiburg-München, Karl Alber, 1970, p. 33.Google Scholar
61. von Beyme, K., Bibliographical Essay …., cit., p. 268.Google Scholar