Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Di solito, chi non è direttamente coinvolto in una competizione elettorale tende a valutarne i risultati dal punto di vista dei partiti. Il Partito Laburista ha ottenuto la maggioranza? I democratici hanno ottenuto la maggioranza dei due terzi necessaria per vanificare il veto di un presidente repubblicano? I democristiani hanno acquistato o perso seggi? E cosí via. Queste sono senza dubbio domande importanti. Nei sistemi parlamentari, per un partito, avere la maggioranza significa avere il diritto di coprire le cariche ministeriali, mentre negli Stati Uniti ciò implica l'attribuzione di tutte le presidenze di commissione. In mancanza di un partito di maggioranza, la forza di un partito durante le consultazioni e le sue possibilità di far parte della coalizione risultante, sono in gran parte determinate dalle dimensioni della sua rappresentanza parlamentare. L'interesse negli equilibri tra i partiti trova rispondenza in quella corrente della teoria democratica che, presupponendo dei partiti «responsabili», evoca la sovranità popolare, o il diritto del popolo di determinare tramite le elezioni la politica governativa.
1 Esempi di come i risultati possano essere unidirezionali sono forniti dai sistemi elettorali di Olanda ed Israele dove l'intero paese costituisce un unico collegio a rappresentanza proporzionale.Google Scholar
2 Altri sistemi in cui i cittadini hanno diritto a scegliere gli individui oltre ai partiti che li rappresentano sono quelli degli Stati Uniti, con le primarie dirette, dell'Irlanda, con il voto singolo trasferibile, del Giappone, con il voto singolo non trasferibile, della Danimarca, con il voto di preferenza intrapartitica limitata e della Svizzera con il panachage .Google Scholar
3 Katz, R.S., Parties and Electoral Systems: A Theory and the Cases of Britain, Eire, and Italy, dissertazione per il Ph. D., Yale University, 1974; Pasquino, G., Le radici del frazionismo e il voto di preferenza, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», II (1972), pp. 353–368; Zariski, R., Italy: The Politics of Uneven Development, Hinsdale, Illinois, Dryden, 19, pp. 195–196.Google Scholar
4 Sebbene tale aspetto non sia esaminato esplicitamente in questo articolo, si deve notare che il voto di preferenza può fornire ai neo-candidati un mezzo per assicurarsi fama nazionale. Gli esempi di Massimo De Carolis e di Andrea Borruso ne costituiscono un'illustrazione e possono servire anche indirettamente a misurare la forza di gruppi fiancheggiatori di varie estrazioni quali, rispettivamente, il M.I.L.L.E. e Comunione e Liberazione.Google Scholar
5 Barnes, S.H. e Sani, G., Mediterranean Political Culture and Italian Politics: An Interpretation , in «British Journal of Political Science», IV (1976), pp. 289–303; Allum, P. A., Il voto di preferenza e l'elettorato napoletano, in «Nord e Sud», XI (1964), pp. 58–78; Furlong, P. F., Il voto di preferenza e l'elettorato romano. Elezioni politiche 1976, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», VII (1977), pp. 393–410; Parisi, A. e Pasquino, G., Relazioni partiti-elettori e tipi di voto, in Continuità e mutamento elettorale in Italia, a cura di Parisi, A. e Pasquino, G., Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 215–249.Google Scholar
6 Le regioni sono definite approssimativamente come in lavori precedenti, secondo criteri geografici e di cultura politica, ma con la restrizione che tutte le province all'interno di un'unica circoscrizione facciano parte della stessa regione. Le regioni cosí definite sono: Nord-Ovest, comprendente il Piemonte, la Liguria e la Lombardia meno la circoscrizione di Bergamo e Brescia; Nord-Est, comprendente le Venezie, Bergamo-Brescia e Trieste; Centro, comprendente Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria e la provincia di Rieti; Sud, comprendente il resto dell'Italia continentale; Isole, comprendente Sicilia e Sardegna.Google Scholar
7 D'Amato, L., Il voto di preferenza in Italia, Milano, Giuffré, 1964, pp. 107–122.Google Scholar
8 Questo può forse essere spiegato rimandando all'osservazione di Parisi e Pasquino che nel Sud il voto di scambio sta divenendo sempre meno comune. Analogamente, anche la conclusione di Allum che il voto di preferenza è negativamente associato alla coscienza politica spiegherebbe la sua caduta nel Sud e nelle Isole.Google Scholar
9 Sull'affluenza alle primarie americane, vedi Key, V.O. Jr., Southern Politics, New York, Vintage, 1964; Ranney, A., The Representativeness of Primary Electorates, in «Midwest Journal of Political Science», XII (1968), pp. 224–238.Google Scholar
10 Semini, M., Le correnti nel partito, Milano, Cisalpino, 1966; Zariski, R., Intraparty Conflict in a Dominant Party, in «Journal of Politics», XXVII (1965), pp. 3–34; Cazzola, F., Partiti, correnti e voto di preferenza, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», II (1972), pp. 569–588.Google Scholar
11 Wertman, D., The Italian Electoral Process: The Elections of June 1976 , in Italy at the Polls a cura di H.R. Penniman, Washington, American Enterprise Institute, 1977, pp. 41–80.Google Scholar
12 Nel, 1976 la lista unica di Democrazia Proletaria, sebbene non si possano operare confronti diretti con le elezioni precedenti, presenta un livello altissimo per la sinistra di voto di preferenza, specialmente nel Nord e nel Centro.Google Scholar
13 Nel, 1946 il PCI ottenne il 19% dei voti e 104 seggi alla Costituente, mentre il PSI (con il futuro PSDI) ottenne il 21% dei voti e 115 seggi. Dopo le elezioni del 1948, 132 deputati eletti nella lista unica entrarono nel gruppo parlamentare comunista, ma solo 51 entrarono in quello socialista, mentre il PSDI ottenne con la propria lista 33 seggi. Naturalmente i guadagni del PCI possono essere in parte imputati anche allo scisma socialista.Google Scholar
14 Naturalmente, durante il corso di questa legislatura un certo numero di candidati attualmente conteggiati tra i non eletti entreranno nella Camera come subentrati.Google Scholar
15 Come questo caso suggerisce, l'esempio citato da Wertman dei 10.000 voti di preferenza di differenza tra l'ultimo degli eletti ed il primo dei non eletti nella lista del PCI nella circoscrizione di Parma-Piacenza-Reggio Emilia non è tipico, nemmeno per il Nord. Anche la differenza di 613 voti tra l'ultimo eletto/subentrato ed il primo non eletto è eccezionale, anche se differenze ancora piú piccole si ebbero in tre circoscrizioni e differenze di meno di mille voti si ebbero in sei. Generalmente, la mediana delle differenze fu di 3.045 voti. In 15 circoscrizioni l'ultimo eletto/subentrato del PCI ed il primo non eletto furono separati dalle preferenze di meno dell'1% dell'elettorato del partito.Google Scholar
16 Vittorio Foa, eletto nella lista di Democrazia Proletaria, ma dimissionario subito dopo le elezioni, è contato con quanti optarono per altre cariche. Questa tabella con le Tabb. 5 e 6 è stata costruita sommando tabelle compilate a livello di circoscrizione. Quei candidati che cambiarono circoscrizione sono contati come nuovi candidati nelle loro nuove circoscrizioni e come non candidati in quelle vecchie, apparendo cosí per due volte nelle tabelle somma. Conteggi multipli possono anche risultare da candidature in piú circoscrizioni.Google Scholar
17 Tre candidati del PCI che, pur possedendo i requisiti per divenire subentrati, non furono insediati nella Camera, furono eliminati dal conteggio.Google Scholar
18 La sconfitta di un deputato uscente viene considerata «intrapartitica» se almeno un neo-candidato dello stesso partito viene eletto in quella circoscrizione. In questo caso si ha chiaramente un ricambio intrapartitico e non semplicemente una contrazione della rappresentanza del partito. Quando nessun neo-candidato viene eletto, tutte le sconfitte di deputati uscenti vengono considerate «di partito».Google Scholar
19 Poiché alcuni di questi candidati sono nuovi solo per le loro circoscrizioni del 1976, queste cifre mostrano piú nuovi deputati di quanto ha riportato Pasquino, G., Before and After the Italian National Election of 1796 , in «Government and Opposition», XII (1977), pp. 60–87. I dati di Pasquino mostrano che i deputati veramente nuovi nei gruppi del PCI e della DC sono rispettivamente 123 e 88.Google Scholar
20 Ibidem, p. 72.Google Scholar
21 La percentuale di abbandoni da parte di deputati oltre i 60 anni di età è una conseguenza del lento ricambio avvenuto nel passato. Il loro alto nu mero assoluto, tuttavia, deriva dalla decisione aspramente dibattuta di rin giovanire il gruppo parlamentare democristiano. Vedi Wertman, , op. cit., pp. 54–65.Google Scholar
22 Ciò non è accaduto sempre. Nelle prime elezioni spesso i partiti nominavano meno candidati del totale da eleggere. Nel, 1948, ciò provocò un potenziale imbarazzo per la DC, che vide eletti tutti i suoi quattordici candidati nella circoscrizione di Bergamo e Brescia. Se la DC avesse vinto un seggio in piú o fosse morto uno degli eletti, non è chiaro chi avrebbe ricoperto il posto cosí apertosi.Google Scholar
23 Nel, 1976, la DC ottenne un massimo di 16 seggi su 28 (57%) a Verona-Vicenza-Padova-Rovigo, mentre il PCI ne ottenne 9 su 15 (60%) a Firenze-Pistoia.Google Scholar
24 Sarebbe interessante studiare il ruolo delle correnti nella contesa per le posizioni di lista piú ambite. Intendiamo farlo nel corso di future analisi.Google Scholar
25 Fino, al 1972 le liste furono pubblicate dal Servizio Elettorale del Ministero degli Interni. Nel 1976 la lista della DC apparve su «Il Popolo» del 19 Maggio e quella del PCI su «l'Unità» del 18 Maggio.Google Scholar
26 Vedi, per esempio, Ranney, A., Pathways to Parliament, Madison, University of Wisconsin Press, 1965.Google Scholar
27 Due dei quattro candidati alla testa di liste alfabetiche che furono eletti, furono eletti solamente nel CUN.Google Scholar
28 Correlando ordine di lista ed ordine in base alle preferenze per le 27 liste DC che nel 1972 avevano sezioni mediane ben definite si ottengono solo 6 indici (tau di Kendall) al di sopra di 0,6 e 16 al di sotto di 0,4.Google Scholar
29 Wertman, , op. cit. , p. 75.Google Scholar
30 Anche se questo controllo potrebbe essere messo in pericolo dalla crescita del voto di opinione, coloro che esprimono tale tipo di voto raramente esprimono anche delle preferenze. Questo vale soprattutto per i comunisti, tra i quali quei candidati che non siano dirigenti di partito hanno scarsa visibilità individuale.Google Scholar
31 Anche il ruolo dei gruppi organizzati al di fuori della struttura formale del partito andrebbe studiato piú a fondo. Vedi LaPalombara, J., Interest Groups in Italian Politics, Princeton, Princeton University Press, 1964, trad. it., Clientela e Parentela. Studio sui gruppi di interesse in Italia, Milano, Comunità, 1967.CrossRefGoogle Scholar
32 Sebbene la politica di coalizione sia fatta dai comitati centrali dei partiti, il voto di preferenza riflette molte delle pressioni sentite dai comitati stessi. Il voto di preferenza esercita a sua volta altre pressioni direttamente sui comitati centrali, dato che nessun direttivo potrebbe fronteggiare l'ostilità aperta della sua rappresentanza parlamentare.Google Scholar