Geniale e metodico al tempo stesso, Giovanni Pico della Mirandola ha riunito in poco più di due decenni una delle più grandi collezioni librarie private del suo tempo. La sua straordinaria biblioteca, considerata perduta da molti suoi critici, ignorata da altri, è uno strumento fondamentale per conoscere, o meglio riconoscere, le fonti a cui ha attinto.Footnote 1 I manoscritti e gli incunaboli che gli sono appartenuti o che ha letto e consultato, portatori di testi spesso fluidi, con aggiunte redazionali, trasposizioni meccaniche e guasti, e attribuzioni non sempre certe, non possono essere ignorati se si vuole sbrogliare l’intricata matassa delle sue citazioni e delle sue fonti, delle Conclusiones, ad esempio. Pico è stato sicuramente onnivoro e camaleontico, ma su alcuni autori e su alcuni testi si è soffermato con più attenzione che su altri.Footnote 2 Un esame dei due inventari superstiti, compilati entrambi dopo la sua prematura morte, rivela – come vedremo in queste pagine – lacune significative nel corpus aristotelico e pseudo-aristotelico.Footnote 3
I tempi e le modalità di acquisizione dei volumi che hanno formato la biblioteca di Giovanni Pico sono stati diversi a seconda dei suoi studi, delle finalità e delle fonti disponibili. Giovanissimo acquistò o ricevette in dono soprattutto le opere dei classici latini. All’indomani della sua nomina a protonotaio apostolico, avvenuta nel 1473, ebbe in dono dalla madre Giulia Boiardo, che ne commissionò la straordinaria decorazione, l’incunabolo ora Cambridge, Trinity College Library, Trin. VI.18.52 testimone dell’In Somnium Scipionis expositio e dei Saturnalia di Macrobio.Footnote 4 Il volume reca alcuni ridotti, ma estremamente significativi, interventi correttorî e interpuntivi dovuti alla mano di un giovanissimo Pico.Footnote 5 Il Macrobio anticipa di quasi un decennio l’inizio della raccolta rispetto a quanto ipotizzato da Antony Grafton. Il Plinio (Venezia, Biblioteca Marciana, lat. VI 245 [= 2976]) è stato invece eseguito nel 1481 da “Nicolaus de Mascharinis de Ferraria ad instantiam Mci Comitis Ioannis de la Mirandula Anno incarnationis domini nostri Iesu Christi M°CCCC°LXXXI die xvii Augusti.” Con ogni probabilità è stato copiato dall’edizione romana del 1470 oppure dall’edizione veneziana del 1472.Footnote 6 Il miniatore che ne ha realizzato la sofisticata decorazione è noto, grazie agli studi di Lilian Armstrong, come ‘Maestro di Pico’.Footnote 7
Lo scostamento temporale non è di poco conto considerato che Pico muore a soli trentun anni lasciando una raccolta formata da oltre mille e duecento volumi (tra manoscritti e incunaboli).Footnote 8
In una lettera inviata a Marsilio Ficino Pico offre una precisa indicazione circa l’inizio dei suoi studi filosofici:
iam tres annos, Marsilii, apud Peripateticos versatus sum, nec omisi quicquam, quantum in me fuit, ut Aristotelicis aedibus quasi unus ex eorum familia non indignus admitterer.Footnote 9
La lettera ricorda l’incontro con Marsilio Ficino, avvenuto anni prima (nel 1479), e la decisione di Pico di seguire il suo consiglio di studiare Aristotele prima di passare agli studi platonici. La richiesta della Theologia Platonica (“il tuo libro sull’immortalità dell’anima”) consente di precisarne la datazione. L’opera è stata stampata a Firenze il 7 novembre per i tipi di Antonio Miscomini (ISTC if00157000) e la risposta di Ficino è del 15 dicembre 1482 pertanto la lettera di Pico è stata scritta in quest’arco di tempo.Footnote 10 È altamente probabile che l’esemplare registrato in entrambi gli inventari pichiani, ovvero “P. Theologia Marsili. n. 244 [capsa] 6” (Kibre n. 568) e “M. Phicinus de immortatitate animarum ad Laurentium medicem impr. n. 244” (M 720) sia stato inviato direttamente da Ficino a Pico insieme alla risposta. Una ricerca sistematica sugli esemplari superstiti potrebbe dare esiti insperati.
Tra il 1479 e il 1482 Pico acquista o fa copiare, principalmente tra Padova e Ferrara, la maggior parte dei volumi del corpus aristotelico che arricchiranno la sua biblioteca, oltre a opere della Scolastica, grandi commentari ed esposizioni. A partire dall’autunno del 1484 rivolge la propria attenzione alle opere ebraiche e arabe e a Firenze dà vita a una straordinaria officina di traduzioni.Footnote 11 Tuttavia, mentre le opere tradotte o realizzate dal cretese Elia del Medigo incrementeranno la sua biblioteca, il giovane Conte perderà la maggior parte delle oltre cinquanta traduzioni — prevalentemente cabalistiche — approntate per lui dall’ebreo convertito Guglielmo Moncada alias Flavio Mitridate dopo l’arresto a Viterbo di quest’ultimo.Footnote 12
Delle opere di rilevante interesse per i suoi studi Giovanni Pico non si è limitato a possedere un solo esemplare: spesso ha acquistato o fatto trascrivere dai suoi copisti di fiducia più copie e, se tradotte, ha riunito nella sua biblioteca sia il testo in lingua originale, sia uno o più esemplari con la traduzione (come vedremo ebbe un testimone del Sirr-al’asrār, il Secretum secretorum dei latini, nella traduzione araba di Johannes b. Batrîq).
Della Guida dei perplessi di Maimonide, la più nota tra le opere della filosofia ebraica, ebbe tre diversi testimoni, uno in ebraico e due con la traduzione latina anonima basata sulla traduzione ebraica di al-Ḥarizi. Entrambi i manoscritti latini furono realizzati su commissione del giovane signore della Mirandola, ma mentre il primo, il Vat. lat. 4274, reca un’unica e non significativa traccia della sua mano, nel Kassel, Universitätsbibliothek, 2° Ms. theol. 67 Pico ha sottoposto l’opera ad una attenta revisione filologico-lessicale e ha, in parte, rivisto e corretto la traduzione latina.Footnote 13 Questa revisione, successiva con ogni probabilità al suo rientro in Italia nel 1488 dopo la precipitosa fuga in Francia, è il risultato di un confronto della versione latina con il testo ebraico ed ha consentito a Pico di realizzare una sua personale edizione della Guida dei perplessi. Ancor prima di leggere o commentare il testo di Maimonide (queste due azioni si riflettono nei margini con esiti diversi, semplici segni d’attenzione nel primo caso, oppure postille o notabilia nel secondo), Pico ha voluto avere a disposizione un testo quanto più possibile aderente a quello ebraico.
Il fenomeno non è stato ancora indagato in tutta la sua ampiezza, ma la costruzione di strumenti (lessici, traduzioni o revisioni di traduzioni), realizzata personalmente o con il contributo di collaboratori, è stata per molti filosofi propedeutica all’indagine filosofica stessa. La resa dei termini (dall’arabo, dall’ebraico, dal greco) è più rigorosa se chi traduce domina il linguaggio filosofico e non solo la lingua.Footnote 14
Giovanni Pico ha letto il trattato polemico di Averroè Tahāfut al-tahāfut ovvero l’Incoerenza dell’incoerenza [dei filosofi], noto ai latini con il titolo Destructio destructionum, verosimilmente durante la preparazione delle Conclusiones ed è probabile che in questo caso si sia avvalso dell’aiuto di Elia del Medigo per comprenderne alcune parti.Footnote 15 Anche di quest’opera ebbe due diversi testimoni e il secondo, scomparso dopo la prima inventariazione, è probabile sia stato utilizzato da Agostino Nifo per l’edizione della prima parziale traduzione latina stampata a Venezia da Boneto Locatelli.Footnote 16 L’edizione di Nifo è dedicata al cardinale Domenico Grimani e presenta un testo più corretto rispetto a quello offerto dalla traduzione manoscritta.Footnote 17
È improbabile che Giovanni Pico abbia rivisto il textus del corpus aristotelico, ma gli erano note le varie versioni, dalle più antiche a quelle umanistiche, e quanto troviamo registrato negli inventari prova che oltre l’Aristotele latino ebbe testimoni in greco, in qualche caso in ebraico, e persino in arabo. A ciò si aggiunga la lunga frequentazione delle biblioteche medicee e, in particolare, di quella del convento di San Marco di Firenze che gli consentirono di conoscere esemplari straordinari del corpus aristotelico come, ad esempio, il ms. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale (BNC), Conv. soppr. J VI 34 del sec. XII med., forse il più antico testimone esistente della vulgata dei Primi Analitici con scholia di mano dello stesso copista.Footnote 18 Il manoscritto è stato in uso per lungo tempo come provano le annotazioni interlineari e marginali in inchiostro nero (sec. XIII), le glosse di mano del sec. XIV ai fols. 4v–5r, 6v–7r e le glosse erase e la seguente annotazione a fol. 87v apposta in una scuola:
Primus liber continet 47 lectiones, secundus 28 secundum scripta fratris Roberti: summa lectionum septuaginta quinque. Ego legendo studentibus in conventu Urbevetano primum librum terminavi quinquaginta lectionibus, secundum viginti duobus lectionibus terminavi. Sunt ergo secundum hoc septuaginta due lectiones.
Se Pico lo ha consultato, non ha lasciato tracce della sua mano lungo margini. In San Marco vide l’attuale ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana (Ambros.), P 80 sup., che Ciro Giacomelli ha definitivamente ricondotto alla biblioteca domenicana, testimone di alcuni brevi trattati di Teofrasto, tra cui la Metaphysica. Footnote 19 Nello stesso convento consultò opere dei Padri della Chiesa come il De principiis di Origene di mano del Niccoli (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana [Laur.], San Marco 612).Footnote 20
Del De animalibus Giovanni Pico ebbe il testo greco, la translatio antiqua e le versioni di Trapezunzio e di Teodoro Gaza, la prima manoscritta (Kibre n. 1014; M 931), la seconda a stampa (Kibre n. 456; M 19). Se di questo testo volle avere a sua disposizione così tante versioni, è evidente che anche delle restanti e fondamentali per i suoi studi come la Metafisica e la Fisica non si limitò ad un solo testimone o ad una sola lingua ma riunì quante più versioni possibili nelle diverse lingue. E ancora, se lo scaffale che Pico ha dedicato al De animalibus è rimasto intatto, è evidente che le lacune che possiamo ragionevolmente ipotizzare per altri testi non sono dovute a perdite occasionali. In considerazione di ciò è verosimile che l’assenza di voci relative, ad esempio, alla Fisica e alla Metafisica, non sia dipesa dalla sua volontà ma da indebite sottrazioni (se non a veri e propri furti) e il motivo per il quale alcuni codici furono sottratti dalle casse è evidente. Così come nell’esemplare della Guida dei perplessi di Maimonide e dell’Incoerenza dell’incoerenza dei filosofi di Averroè, anche sui testimoni del corpus aristotelico Pico potrebbe aver lasciato postille, sommari e memoranda.
In assenza di elementi certi, le indicazioni proposte saranno per necessità frammentarie, ma potranno fornire un indirizzo per una ricerca sulle fonti di Pico che rimane ancora in gran parte da realizzare.
La prima capsa
Antonio Pizzamano, segretario di Domenico Grimani, il cardinale veneziano che aveva acquistato la collezione di Pico nel 1498, e l’uomo di fiducia del conte Antonmaria Pico, riordinarono i libri di Giovanni Pico trasportati in San Marco dopo la sua morte, senza tener conto della loro precedente collocazione. Nella prima capsa descritta (segnata “dentro n. 7 e di fuori n. 4 rosso”) raccolsero, insieme ad alcuni manoscritti, materiale librario privo di una segnatura e di una legatura, di piccolo formato e pertanto a elevato rischio di dispersione.
I primi tre volumi erano rispettivamente in ebraico, in latino e in greco. L’“Astrologia Averois et Avicene ms. in membr. n. 334” (M 1) corrisponde alla voce “M. Almagestus Averois. n. 334 [capsa] 3” (Kibre n. 626) e descrive un manoscritto membranaceo testimone dell’Epitome dell’Almagesto di Tolomeo di Averroè nella traduzione di Yaʽaqob Anatoli.Footnote 21 Il riferimento ad Avicenna presente nell’inventario modenese è errato, frutto probabilmente di un fraintendimento. Nell’Index dei volumi ebraici di Grimani è descritto “Almagestum Averois, et fragmenta quaedam astrologiae” (Hebr. 72).Footnote 22 Il ms. appartenuto a Pico non è ancora emerso, ma il München, Bayerische Staatsbibliothek (BSB), Hebr. 31, fols. 123v–243v è un suo apografo.Footnote 23
Anche il secondo item contiene un errore: Picius è da intendersi Apicius e pertanto descrive un manoscritto membranaceo del De re coquinaria. Il terzo volume, “Ioanes Gra‹maticus› in arismeticha Nicomachi zr. in pap. n. 858” (M 3), testimoniava un’opera di Giovanni Filopono in greco come svela l’abbreviazione zr. da leggersi gr. Nella collezione greca del Grimani ebbe il n. 41: “Iohannis grammatici commentaria in aritmeticam Isagogem Nichomachi.”Footnote 24
Dopo questo inizio accidentato sono stati inventariati manoscritti con opere o traduzioni realizzati nello scrittoio di Pico e su sua richiesta, testimoni (a stampa e manoscritti) di opere aristoteliche e altro materiale di contenuto prevalentemente filosofico. Tra i primi incontriamo la “Sum‹m›a Averois in librum Methaurorum et aliqua alia simul in pap. ms. n. 293” (M 4) che corrisponde all’attuale Vat. lat. 4550.Footnote 25 L’“Expositio Aver‹ois› de sub‹stanti›a orbis facta per Eliam eb‹reo› et ma‹nu› sua scriptum in papiro” (M 17) corrisponde all’attuale Vat. lat. 4553.Footnote 26 I “Quinterni 2. sine p‹rincipi›o et fine in phi‹losophiam› et credo quod sint Elie ebrei” (M 42) sono stati rilegati nel Vat. lat. 4549.Footnote 27 Insieme al “Quinternus unus de p‹rim›o motore ms.” (M 45) queste opere sono del cretese Elia del Medigo, collaboratore di Pico al tempo della preparazione delle Conclusiones. Footnote 28
La corretta identificazione della mano del Cretese ha gettato nuova luce anche sull’organizzazione dello scrittoio di Pico.Footnote 29 Mentre del Medigo sorvegliava le trascrizioni, i copisti al servizio di Pico realizzavano le copie manoscritte che Pico leggeva e eventualmente (ma non sempre) annotava.Footnote 30
L’ultima voce descrive la Quaestio ‘De primo motore.’ La quaestio (inc. Sicut habetur a philosopho 4° Ethicorum tractatu 2° qui de magnanimitate sermonem faciens) si legge nell’edizione veneziana del 1488 in appendice alle Quaestiones in libros Physicorum Aristotelis di Jean de Jandun, ai fols. 148rb–59r [=160r], preceduta dalla rubrica “Philosophi acutissimi Helie hebrei cretensis De primo motore utrum immediate primum mobile moveat singularis quaestio hic non inutiliter subnectitur.”Footnote 31 Per evitarne la dispersione è probabile che Grimani abbia fatto rilegare il fascicolo insieme ad altro materiale di provenienza pichiana, oppure con fascicoli già presenti nella sua biblioteca, ma sino ad oggi non sono emersi testimoni manoscritti.Footnote 32
Nella prima capsa inventariata da Pizzamano, oltre ai codici unici realizzati nello scrittoio di Pico da copisti di sua fiducia, sono elencati l’Etica a stampa (M 5), la Politica, in latino e membranacea (M 11), il De animalibus a stampa (M 19), una “‹Metheora imperfec›ta et multa alia ms. in pap. n. 327” (M 27), le “Questiones rev.mi d. Domi‹nici› Grimani cardi‹nalis› de substantia separata et alii quam plures vari quinterni ms. et tercius decimus Metha‹phisice› Arist‹otelis› soluti” (M 31) e un “Liber de causis Arist‹otelis› et de Iuve‹ntu›te et sene‹ctu›te et 13us Metha‹phisicorum›, liber solutus ms. in pap.” (M 44) e su questi volumi torneremo tra breve.
I Libri logicales
Il testimone della Logica in greco appartenuto a Giovanni Pico (Kibre n. 441; M 223: “Logicha greca Aristotelis cum Porphirio usque ad Priora exclusive ms. in pap. n. 462”) compare nella biblioteca greca del Grimani sotto la segnatura ‘295’:
Porphirii Isagoge cum glosis. * Aristotelis praedicamenta cum commentariis amonii. * Eiusdem liber de Interpretatione cum commentariis. * Eiusdem priora Analitica. –* Eiusdem posteriora analitica. * Eiusdem Topica. – Eiusdem Elenchi.Footnote 33
Corrisponde all’attuale Vat. gr. 1777, di mano di Teodoro Agalliano. Il manoscritto è giunto nella Biblioteca Vaticana con la collezione del patrizio veneto e vescovo di Belluno Alvise Lollino (1552–1625).Footnote 34 Oltre ai Prolegomena in philosophiam et in Isagogen di Porfirio con il commento desunto da Giorgio Scolario (1r–28v, acefalo), testimonia le Categoriae (28v–75v) e il De interpretatione (77r–108v), entrambi con commento, ed excerpta dal commentario agli Analytica Priora di Filopono (108v–109v). Lungo i margini reca alcune postille (ai fols. 1v, 2r, 2v, 3v, 6r–v, 7r, etc.) e in qualche caso (fols. 2v, 34r, e 67r) alla postilla è associato un segno di paragrafo. Al fol. 55r compaiono freghi ondulati orizzontali con tre puntini, al fol. 77r è visibile un frego ondulato verticale sormontato da tre puntini: un segno di memoria di cui si avvale spesso Pico della Mirandola.
La perdita della pagina iniziale è indizio di un acquisto illecito (verosimilmente da parte di Lollino): con la sua asportazione sono scomparse le tracce (antiche segnature, ex libris) e i nomi degli antichi possessori. Nonostante ciò, è ancora possibile associare il manoscritto a Grimani (e a Pico). Sten Ebbesen ha infatti scoperto che il Vat. gr. 1777 è il manoscritto di cui si è avvalso Bonifacio Bembo per la traduzione latina dell’opera di Scolario (in realtà una retroversione poichè il testo originario utilizzato da Scolario era in latino).Footnote 35 La traduzione di Bonifacio Bembo, che nel Vat. gr. 1777 ha sottolineato le parti che dovevano essere tradotte, è trasmessa nel Vat. lat. 4560 ed è dedicata a Domenico Grimani. L’originale adoperato dal Bembo e la copia della versione dedicata al cardinale provenivano, con ogni evidenza, dalla collezione di quest’ultimo.
Negli inventari è descritta una “Logicha Aristotelis in ebreo in pap.” (M 418) e l’Index di Grimani precisa il contenuto: “Epithoma Logica cuiusdam magistri Leonis sacerdotis de Toledo” (Hebr. 180). Si tratta della prima parte del Midrash ha-ḥokmah di Yehudah ben Shelomoh ha-kohen ibn Matqah da Toledo.Footnote 36 La prima sezione compendia la filosofia aristotelica basata per lo più sui Commenti medi di Averroè. Inizia con la Logica e prosegue con la Fisica e la Metafisica. Il ms. Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Or. 4758 (= Warn. 20) è uno dei due testimoni noti del De‘ot ha-filosofim (Le opinioni dei filosofi) di Shem Tob Ibn Falaquera, un’opera posseduta da Pico, e nella prima parte è stata rilegata la prima sezione dell’enciclopedia di Ibn Matqah ed excerpta della seconda. Il Leidense presenta guasti nei fogli iniziali e finali e ha perduto gli antichi fogli di guardia e con essi eventuali tracce lasciate da precedenti possessori, tuttavia è probabile che provenga dalla collezione Pico-Grimani.Footnote 37
Nei due inventari è registrata una edizione a stampa degli Analytica priora (Kibre n. 1069; M 393), ma dubito sia stata quella stampata a Louvain del 1475.Footnote 38 I repertori di incunaboli censiscono una edizione della traduzione di Giovanni Argiropulo degli Analytica Posteriora di cui sopravvivono soltanto cinque testimoni.Footnote 39 Potrebbe essere stata realizzata anche una edizione degli Analitici primi, ma se ciò è avvenuto nessun esemplare è emerso sino ad oggi.
L’Ambros. L 84 sup. reca ai fols. 23r–151v i Problemata per species collecta tradotti da Giorgio Trapezunzio e l’opera è identificabile in entrambi gli inventari di Pico (Kibre n. 462: “P. Probleumata Aristotelis et alia. n. 4 [capsa] 1”; M 579: “Liber in medicina n. 4”). Il ms. è stato restaurato e l’ex libris di Grimani è stato recuperato e applicato sull’attuale fol. IIr. A fol. 1r, marg. sup. è registrata la segnatura Grimani: N° 37.Footnote 40 Entrambe le descrizioni richiamano l’opera di Trapezunzio, più facile da catalogare per la presenza di titoli correnti, ma il sintagma et alia registrato nel primo inventario indica che il manoscritto testimoniava più opere.Footnote 41
I primi fascicoli recano il Resolutivorum Priorum primus sive de ortu ratiocinationis, tradotto da Giovanni Argiropulo (fols. 1r–19v), che inizia con la seguente rubrica: “De ortu raciocinationis. Aristotelis Resolutivorum Priorum primus quem Ioannes Argyropylus byzantius causa magnificentissimi viri Petri Medicis florentini traduxit.” Il testo inizia: “‹P›rimum dicere oportet circa quid et cuiusnam sit haec presens consideratio, atque est circa demonstrationem et est scientiae demonstrandi.”Footnote 42 Nonostante l’assenza della mano di Pico, la possibilità che l’Ambrosiano — che del testo di Trapezunzio è il più antico testimone datato (a. 1455) — sia appartenuto alla sua biblioteca è particolarmente elevata.
È appartenuto a Domenico Grimani il ms. Napoli, Biblioteca Nazionale, VIII E 13 testimone delle traduzioni dell’Argiropulo del De interpretatione e degli Analitici primi. Non presenta tracce della mano di Pico e non è identificabile negli inventari della sua biblioteca.
Negli inventari è registrato un manoscritto latino membranaceo testimone degli Analitici posteriori (Kibre n. 853; M 367) e verosimilmente si tratta dello stesso volume sommariamente descritto da Jacopo Filippo Tomasini (1595–1655) nel 1650. Canonico di San Giorgio in Alga e più tardi vescovo di Cittanova d’Istria, Tomasini ha elencato i superstiti volumi rinvenuti a Venezia nella biblioteca del convento di Sant’Antonio di Castello al quale il cardinal Domenico Grimani aveva destinato la sua raccolta libraria membranacea. Il volume è descritto nel Pluteo IX: “Posteriorum libri Arist. 4. m.”Footnote 43 Qualche decennio più tardi, nel 1687, un incendio colpirà alcune parti del convento, distruggendo, secondo le cronache dell’epoca, anche la superstite biblioteca. Considerata la sommarietà delle informazioni disponibili, è difficile avanzare ipotesi su quale tra le varie versioni esistenti, ovvero la versio communis, la translatio Toletana e la translatio Gerardi dall’arabo, fosse quella testimoniata dal manoscritto pichiano.Footnote 44 È altresì verosimile che Pico possedesse la traduzione dell’Argiropulo.Footnote 45 Il codice di dedica Laur., Plut. 71.7, eseguito dal copista Gonsalvo Ispano e miniato da Francesco Rosselli, reca il seguente incipit: “Omnis doctrina omnisque disciplina intellectiva ex antecedenti cognitione fieri solet” (fol. 87r). Un rinvio marginale di mano dello stesso copista, ma tratto verosimilmente dall’antigrafo precisa: “Ratiocinativa quod latine exprimi non potest.” Il segno di rinvio (una triade di puntini) è posto sul lemma “intellectiva.” Pico conobbe certamente questa traduzione e, verosimilmente, cercò un manoscritto prossimo alle ultime volontà dell’autore.Footnote 46 L’interesse, quanto meno a Firenze, nei confronti delle traduzioni di Argiropulo è provato dal Laur., Pl. LXXXIX sup. 107 testimone nella prima parte delle traduzioni di Porfirio, Praed., De interpr. e degli Analitici primi ultimate ‘Die sexto settembris anno salutis MCCCCLXXXV’, e degli Analitici posteriori ai fols. 71r–133v completati ‘Die XXII Ian. 1484’ [s.c.1485]. Il codice, cartaceo, in corsiva umanistica, reca nei margini un denso apparato di glosse che ne prova l’uso in una scuola, o in una accademia.
Il testimone greco dei Topici appartenuto a Giovanni Pico della Mirandola è stato identificato da David Speranzi nell’attuale El Escorial, Real Biblioteca, Σ. III. 19 (Revilla 118), fols. 1–65, di mano di Demetrio Mosco.Footnote 47 Nello stesso volume è stato rilegato il Filopono portato in Italia da Giano Lascari, preso in prestito da Pico dalla Biblioteca Medicea nel 1492 e mai restituito.
La voce “M. Scriptum topicorum” (Kibre n. 1127) è priva di corrispondenza nell’inventario del 1498. Piuttosto che una sottrazione, è probabile che in questo caso sia stato descritto un testimone in ebraico e precisamente l’“Expositio magistri Leonis in paraphrasim Averois super libros Topicorum Aristotelis” (Grimani Hebr. 112), ovvero l’Esposizione al Commento medio di Averroè di Levi ben Gershom ai Topica di Aristotele nella traduzione arabo-ebraica di Qalonymos ben Qalonymos ben Meir. Il volume si riconosce nell’elenco (trasfigurato) di opere ebraiche ancora presenti a Sant’Antonio di Castello nel 1650 nella voce “Sefer anifzuach leralbagh” ovvero commento al Sefer ha-niṣṣuah (Topica) di RaLBag (= Levi ben Gershom).Footnote 48 Allo stesso Qalonymos ben Qalonymos ben Meir si deve la prima versione latina del Tahāfut al-tahāfut (che comprende anche gran parte del testo originale di al-Ghazālī) letta da Pico la prima volta al tempo delle Conclusiones. Footnote 49
Pico ebbe inoltre i commenti all’Isagoge (Kibre n. 172; M 697), i Commentarii in Periermenias (Kibre n. 119; M 378), i Topica (Kibre n. 314; M 385),Footnote 50 il De institutione musica e il De institutione arithmeticae artis (Kibre n. 541; M 22) e il De syllogismo categorico (M 372) di Boezio.Footnote 51 Possedeva il De institutione musica già nel 1487 quando lo concesse in prestito, a Roma, al carmelitano Battista Mantovano. Il prestito è registrato in un quaderno di atti del notaio romano Leonardo domini Petri (Roma, Archivio di Stato, Notai capitolini 1294 – quaderno 45a, cc. 374r–382v): “Ego magister Baptista Mantuanus habeo mutuo a domino Joanne libellum De bello Longobardorum, Arithmetica Boetii et Epistolas Sidonii. 1487 die 25 iunii.”Footnote 52 Nell’anno 1600 il manoscritto si conservava nel convento di Sant’Antonio di Castello.Footnote 53 Dalla descrizione di Tomasini del 1650 ricaviamo che l’opera era tràdita in un volume miscellaneo, scritto elegantemente e miniato: “Boetii Arithmetica. Item musica. Mag. Tadaei de Parma expositio super Theorica planetarum, edita a Mag. Gerardo de Cremona. Eleganter scripta cum miniaturis. f. m.”.Footnote 54 Purtroppo non è identificabile tra i testimoni censiti da Calvin M. Bower, e potrebbe non essere sopravvissuto all’incendio del 1687.Footnote 55
Se è corretta l’indicazione registrata nel primo inventario probabilmente Pico ebbe anche il De consolatione (Kibre n. 180), ma nessun testimone fu rinvenuto da Pizzamano nel 1498.
Negli inventari non compare alcun testimone in latino della Logica ed è evidente che se Pico riuscì ad acquistare persino un’opera rara come l’Enciclopedia di Ibn Matqah, non poteva non avere almeno un volume testimone della ben più diffusa Logica d’Aristotele. Il manoscritto, verosimilmente acquistato prima del 1483, con ogni probabilità, era stato postillato da Pico e subì la stessa sorte di altri contenenti versioni in latino del corpus aristotelico.
I Libri naturales
I due inventari della biblioteca di Pico non registrano testimoni manoscritti della Fisica di Aristotele, né in greco, né in latino. È certo, tuttavia, che egli dedicò all’opera ampi studi rivolti non solo ai suoi contenuti, ma alla sua trasmissione. La conclusio XXXVIII delle 80 “secundum propriam opinionem, que, licet a communi philosophia dissentiant, a communi tamen philosophandi modo non multum abhorrent” è dedicata all’ordo librorum della filosofia naturale di Aristotele:
Ordo librorum naturalis philosophiae ab Aristotele traditae est iste: Liber Physicorum, coeli et mundi, de generatione, metheororum, mineralium, de plantis, de generatione animalium, de partibus animalium, de progressu animalium, de anima, tum libri qui dicuntur parvi naturales.Footnote 56
L’ordo enunciato nelle Conclusiones è prossimo ma non coincidente al corpus mixtum. Il Laur., Plut. 84.4 (A.L. 1322) oltre a Physica veteris transl., De coelo nove transl., De Generatione nove transl., Meteora nove transl., De anima nove transl., testimonia il De Nilo e il De proprietatibus che Pico omette, mentre ha inserito il De mineralibus, opera di Avicenna,Footnote 57 e il De plantis. Footnote 58 Il Laurenziano è un bel codice del sec. XIV, con scholia coevi lungo i margini della Fisica tratti dal Commentario di Averroè. È stato letto anche nel sec. XV e alcune annotazioni rinviano a loci paralleli in altri libri (ad esempio nella Metafisica). Lo stesso corpus mixtum è tràdito nel ms. Firenze, BNC, Conv. soppr. J IV 23 (A.L. 1406), testimone delle sole opere aristoteliche (ma con la translatio vetus della Metheora). In margine alla Fisica è stato copiato il Commento grande di Averroè (sine prologo) (inc. Commentator: Omnis qui dicit se scire aliquid non dicit hoc nisi quando sciverit ‹illud› per omnes suas causas propinquas et remotas). A fol. 136v compare il Risāla fī’l-‘aql (De intellectu) di al-Kindi e di seguito all’explicit (“de hoc tamen sermonis sufficit”) la subscriptio: “Explicit liber metaurorum Aristotelis.”
È probabile che Pico abbia acquistato il volume stampato da Lorenzo Canozio che potrebbe celarsi dietro le voci: “Phisica et met‹ap›h‹is›ica. n. 393 [capsa] 5” (Kibre n. 511) ed “Exp‹osi›tio Alex‹and›ri super Phisicha et alia Arist‹otelis› impr. n. 393” (M 542). La precisazione sul formato si ricava dal secondo inventario. Le due versioni latine della Physica potrebbero aver indotto l’errore del primo catalogatore (et metaphisica) mentre la doppia versione nella seconda registrazione è segnalata con et alia. L’errata attribuzione ad Alexander (d’Afrodisia) piuttosto che ad Averroè è dovuta all’assenza di una rubrica iniziale, sia nel proemio, sia al principio del testo.Footnote 59
Pico potè leggere la translatio di Guglielmo Moerbeke nell’edizione del 1482 identificabile nell’item “Liber Physicorum Aristotelis et de celo et mundo et Metheororum et alia impr. n. _” (M 708).Footnote 60 Le due redazioni della traduzione della Fisica realizzate da Argiropulo, dedicate la prima a Cosimo de’ Medici, la seconda a Piero de’ Medici, Pico potrebbe averle lette nei Laur., Plut. 84.7 e Plut. 84.1.Footnote 61
Pico ebbe inoltre un numero straordinario di parafrasi, commenti ed esposizioni sulla Fisica in latino (di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Egidio Romano, Walter Burley, Guillelmus de Ockham, Iohannes Canonicus, Giovanni Buridano, Marsilius ab Inghen, Nicolaus Oresmius, Francesco Sansone [Sanson de Senis]), in greco (di Michele Psello, Temistio, Simplicio, Niceforo Blemmide) e in ebraico (Averroè, Levi ben Gershom). Il testimone dalla Paraphrasis in Aristotelis Physicam ascritta a Michele Psello ma di George Pachymeres appartenuto a Pico è l’attuale Paris, BnF, gr. 1920.Footnote 62 Di Temistio ebbe la versione latina di Ermolao Barbaro, a stampa, registrata nel solo inventario del 1498: “Themisti paraphrasis in Phisicha, in libros de anima et cetera impr. in pap. n. 315” (M 347).Footnote 63 Nonostante l’errore che ne ha alterato il nome, anche l’opera di Niceforo Blemmide è identificabile nel solo inventario compilato da Pizzamano: “Licephori Logica et Phisica membr. ms. n. 77” (M 829). Nella biblioteca greca di Grimani ebbe il n. 46:
Nicephori monachi Isagoge in dialecticam, et naturalem philosophiam. || Eiusdem oratio de laudibus sancti Ioannis evang(elis)tae. – Eiusdem commentariorum de rebus a se gestis libri duo. || Eiusdem sermo de anima. – Eiusdem sermo de corpore. – Eiusdem sermo de fide. || Eiusdem sermo de virtute, et exercitatione. – Eiusdem expositio in quosdam psalmos.
Il ms. è l’attuale München, BSB, cod. graec. 225, fols. 41–352.Footnote 64 Dal marg. inf. del primo f. (attuale f. 41) è stato asportato un frammento contenente l’ex libris di Grimani di cui rimangono la prima e le ultime lettere: L[…] lis. Il volume testomonia l’Epitome logica (41r–117r); l’Epitome Physica (117r–200v; 221r–v; 201r–203v); l’Encomium in Ioannem Teologum (206r–216v); l’Autobiographia (217r–220v, 222r–253r); il De Anima (253r–262v); il De Corpore (262v–281v) e l’Expositio in Psalmos (282r–352v) e, ai fols. 204r–205v, la Theoria di Manuel Philes.
Considerate le amplissime disponibilità finanziarie di Pico e la propensione ad avere più copie almeno delle opere fondative (della filosofia, della teologia, della matematica, etc.), dubito fortemente che si sia limitato a leggere la Fisica nelle sole edizioni a stampa e che non possedesse anche testimoni manoscritti, almeno quello con il testo in greco.
Gli inventari registrano la versione del De caelo dell’Argiropulo.Footnote 65 L’opera (inc. Scientia naturalis fere plurima circa corpora magnitudines atque horum affectus motusve) è tràdita nel Laur., Plut. 84.1, fols. 215r–58v, con la dedica a Janos Vitéz, arcivescovo Strigoniense (inc. Si res preclare viris insignibus probitare sunt offerende). Il sontuoso manoscritto mediceo copiato da Gonsalvo Ispano tra il 1473 ed il 1478 e illustrato da Francesco Rosselli è forse il più noto tra i testimoni delle traduzioni di Argiropulo ed è poco probabile che sia stato utilizzato come antigrafo. L’esemplare appartenuto a Pico era cartaceo, privo della segnatura (sine numero) e probabilmente privo di una legatura al momento dell’acquisto da parte di Grimani. Il ms. della collezione di Robert Brodhead Honeyman, MS 57 già conservato a San Juan Capistrano nel museo privato al Rancho Los Cerritos reca la sola versione del De coelo e mundo ma è membranaceo e non cartaceo.Footnote 66 È invece appartenuto ed è stato annotato da Bartolomeo Fonzio il ms. Siena, Bibl. Com., G. XI. 89.Footnote 67 Quello di Pico, se è sopravvissuto, non è stato ancora identificato.
I “Quinterni in membr. de generatione et corruptione ms. pulchra littera” (M 750) registrati nel solo inventario modenese se in greco potrebbero corrispondere al Grimani Gr. 59 “Ioannis grammatici annotationes in pm, et 2m de generatione et corruptione,” dunque al commento di Filopono. Un testimone dell’opera, ma cartaceo e non membranaceo, è registrato nel catalogo di Tomasini: “Alexander (!) Philoponi Scholia in Arist. de gener. et corruptione. 4. ch.”Footnote 68 Tra i volumi acquistati da Guglielmo Sirleto il 17 aprile 1549 compare un “Ioannes gramaticus super generationem et corruptionem” (Vat. lat. 3963, fol. 4r, n. 79). Giovanni Mercati ha identificato il volume nel Vat. lat. 3067, dell’anno 1505 “con la minuta di una versione inedita eseguita in Padova per impulso di Alberto Pico principe di Carpi da un dotto umanista che lo serviva con particolarissima affezione; se non erro, Marco Musuro.”Footnote 69 Ricerche successive hanno provato la correttezza della proposta identificativa del traduttore.Footnote 70
Pico ebbe il commento di Averroè al De generatione in ebraico (Kibre n. 533; M 525), ma il testo aristotelico latino non è registrato e verosimilmente l’opera era compresa in un volume miscellaneo sottratto dalle casse, probabilmente lo stesso contenente la Fisica.
Anche il volume che iniziava con i Meteorologica (Kibre n. 465: “P. Metheora imperfecta. n. 327 [capsa] 9”; M 27: “‹Metheora imperfec›ta et multa alia ms. in pap. n. 327”) era miscellaneo o forse composito. Dei Meteorologica sono note la translatio vetus, la translatio nova di Guillelmus de Moerbeke e la traduzione del lib. IV cum commentario medio di Michele Scoto.Footnote 71 In epoca umanistica l’opera è stata tradotta da Mattia Palmieri. Il volume appartenuto a Pico era cartaceo ed è alquanto raro imbattersi in testimoni cartacei delle versioni medievali del corpus aristotelico. In considerazione di ciò, non è improbabile che recasse la versione umanistica.
Della traduzione di Palmieri Eugenio Garin ha ricordato l’Urb. lat. 184 (eseguito nella bottega di Vespasiano da Hubertus W. per Federico da Montefeltro) e il Paris, BnF, lat. 6585, ma questo secondo manoscritto testimonia il Secretum secretorum. Footnote 72 La versione è tràdita anche nel ms. Napoli, Bibl. Nazionale, VIII E 18 ai fols. 137r–73v, insieme alla Fisica tradotta da Argiropulo (fols. 1r–5r; 5v–72r), al De caelo dello stesso (fols. 73r–110v), al De generatione et corruptione tradotto da Andronico Callisto (fols. 115v–35v), al De anima (fols. 175r–202r) e alla Metafisica (fols. 203r–78v), queste ultime tradotte da Argiropulo e nel ms. Milano, Ambros., L 40 sup.Footnote 73 Ai questi possiamo aggiungere anche il Vat. lat. 2116, fols. 91r–130v, di mano del copista anonimo denominato “The Scribe of Vat. lat. 1771.” Il manoscritto di Pico è stato ereditato dal nipote del cardinale Domenico Grimani, Marino insieme a tutti i codici e incunaboli cartacei della collezione e pertanto non è andato distrutto nell’incendio del convento di Sant’Antonio di Castello. Se è giunto sino a noi, attende ancora di essere identificato.
Il ms. Udine, Biblioteca Arcivescovile (Utin.) 254 (olim VI 1), di mano di Cosma Trapezunzio, testimonia il De animalibus in greco ed è appartenuto a Pico.Footnote 74 Del testo latino ebbe la versione di Michele Scoto come indica l’inventario vaticano: “De animalibus antiqua translatio. n. 63” (Kibre n. 18). Nel successivo è precisato il formato e la materia scrittoria: “Testus Aristotelis de animalibus ms. in membr. n. 63” (M 587). Del De animalibus ebbe anche la versione di Giorgio Trapezunzio manoscritta (Kibre n. 1014; M 931).Footnote 75 Ebbe inoltre l’edizione a stampa che, come abbiamo visto, Pizzamano ha descritto nella prima capsa inventariata “Arist‹oteles› de animalibus impr. n. 340” (M 19). Verosimilmente si trattava di un esemplare della versione di Teodoro Gaza stampata nel 1476.Footnote 76
L’ultima opera ricordata da Pico nell’ordo librorum della filosofia naturale è il De anima. L’opera non è registrata negli inventari e forse si celava nello stesso manoscritto che iniziava con la Fisica. Lungo i margini le postille, gli schemi e le annotazioni di mano di Pico dovevano essere particolarmente numerosi considerati i frequenti richiami nelle Conclusiones e nell’Apologia. Oltre alla traduzione di Moerbeke, che poté leggere nell’edizione veneziana del 1482, conobbe con tutta probabilità le versioni di Argiropulo, dedicate la prima a Cosimo de’ Medici e in seguito al cardinale Domenico della Rovere (inc. Cum omnem scientiam rem esse bonam arbitremur, ac honorabilem).Footnote 77 Tra i testimoni delle versioni di Argiropulo ricordo i mss. Ferrara, Bibl. Ariostea, Cl. II. 138; Firenze, Laur., Plut. 84.13; Laur., Plut. 84.14; Laur., Plut. 84.65; Laur., Faes. 166; Firenze, BNC, Magl. V 41; Oxford, Bodleian Library, Bywater 5; Paris, BnF, 6303 (emendatione ultima); Stuttgart, Württembergische Landesbibl., HB X. 6 (copiato a Firenze da Gratiadeus Crottus nel 1470); Vat. lat. 2086 (senza dedica, probabilmente di mano di ser Piero Cennini). Il codice di dedica inviato al cardinale Domenico della Rovere è il Torino, Bibl. Universitaria, E III 27 di mano di Giovanfrancesco Marzi da San Gimignano.Footnote 78
La voce “Primum de anima” (Kibre n. 1114), sine numero e priva di corrispondenza nell’inventario modenese, potrebbe riferirsi al ms. Udine, Biblioteca Arcivescovile, 257 (olim VI 4) copiato a Firenze da Matteo Lampudes (sottoscrizione a fol. 150v).Footnote 79 Il ms. reca ancora l’ex-libris del cardinale: Liber D. Grimani Carlis S. Marci (fol. IIv) e nella biblioteca greca di quest’ultimo corrispondeva al n. 30: “*Aristotelis de anima. – Temistii paraphrasis in librum de anima. – Pselli aenigmata.” La segnatura di Grimani è stata letta il secolo scorso da Elpidio Mioni, ma il foglietto incollato sul piatto posteriore sul quale era annotata è scomparso a seguito di un inopportuno restauro. Nel catalogo di Tomasini è descritto nel Plut. XXIV, 9 (“Themistius in Aristotelem f. m.”). Il De anima di Aristotele è copiato ai fols. 1r–37v.Footnote 80 Seguono: un excerptum dei commentari di Filopono (38r), la Paraphrasis in libros de anima di Temistio (38r–148r) e gli Aenigmata (17) di Michele Psello (148v–150v).
I Libri Metaphysicales
Nella prima cassa di libri descritta nell’inventario modenese compare la voce “Questiones rev.mi d. Domi‹nici› Grimani cardi‹nalis› de substantia separata et alii quam plures vari quinterni ms. et tercius decimus Metha‹phisice› Arist‹otelis› soluti” (M 31). Una Quaestio de substantia separata di Domenico Grimani è tràdita nell’Ambros. D 109 inf., fols. 1–16, testimone nella restante parte di opere che non corrispondono a quelle descritte da Pizzamano.Footnote 81 L’ultima opera testimoniata nella miscellanea verosimilmente deve essere identificata con la traduzione, ad opera di Elia del Medigo, del Commento medio di Averroè al libro My della Metafisica di Aristotele. Lo stesso libro My della Metafisica era presente anche nel volume non rilegato (solutus) che iniziava con il De causis pseudo-aristotelico (M 44).Footnote 82
In una diversa capsa incontriamo le “Annotationes seu Questiones hulie ms. in pap. n. 269” (M 723) e la voce descrive il ms. Paris, BnF, lat. 6508 il cui testo più noto è una lunga lettera di Elia del Medigo indirizzata a Pico (fols. 71r–76v).Footnote 83 Le piegature della carta e l’indirizzo a fol. 76v provano che si tratta dell’originale.Footnote 84 Nella lettera del Medigo segnala ulteriori additiones alle “recollette della Phisica” e al De substantia orbis testimoniate nello stesso manoscritto e in altri già in possesso di Pico e sicuramente a ciò è dovuta la sua conservazione all’interno del Parigino. Ai fols. 78r–81r, r. 8 è testimoniata la traduzione di Elia del Medigo del Proemio al libro Lambda della Metafisica di Averroè, seguita dalla traduzione del Commento medio al XII libro (= My) (fols. 81r, r. 9–83r, r. 7).
Oltre ai diversi testimoni del libro My, Giovanni Pico ebbe un quinterno con la traduzione di Gregorio Tifernate (1414-1464). Nell’inventario curato da Pizzamano è descritta la voce “Physica Theofrasti e greco in latinum translatam (!) ab Gregorio Thifernio ms. pap. quinternus. n. 929” (M 929) ma la Fisica non risulta essere stata tradotta dal Tifernate. Nel Laur., Plut. 79.15, probabile antigrafo del fascicolo pichiano, la rubrica che precede la traduzione del lib. I della Metafisica (inc. Quomodo et quibus rebus determinanda est ea speculatio) è TAMETA TA PHYSICA THE|OPHRAST LIBER PRIMUS (fol. 161r) e questa rubrica è, con ogni probabilità, all’origine dell’errata indicazione offerta dall’inventario.
Oltre questi frammenti, nei due inventari sono registrati un numero impressionante di commenti, expositiones e quaestiones sulla Metafisica, ovvero (senza pretesa di esaustività): Siriano (Kibre n. 1029; M 987);Footnote 85 Alberto Magno (Kibre n. 196);Footnote 86 Tommaso d’Aquino (Kibre n. 931; M 705); Duns Scoto (Kibre n. 483; M 349) e ancora: Antonio Andrea (Kibre n. 939; M 528); Antonio de’ Carleni (Antonio di Napoli) O.P. (Kibre n. 748; M 341 ed M 1078); Niccolò Boneti O.F.M. (Kibre n. 723; M 532 e M 1079); John Foxal O.F.M. (M 1077);Footnote 87 Iohannes de Janduno (Kibre n. 687; M 516) e Gabriel Zerbo (M 1066).
Tra le circa mille e duecento voci che formavano la biblioteca di Giovanni Pico non compare invece alcun testimone manoscritto con i primi dodici libri della Metafisica, né in greco, né in latino. Poiché la Metafisica è stata tradotta almeno cinque volte, quattro dal greco e una dall’arabo, è probabile che i volumi mancanti siano più di uno.Footnote 88 Oltre ad uno o più testimoni con versioni medievali, Pico ebbe un importante testimone della traduzione umanistica realizzata a Bologna intorno al 1450 dal cardinale Bessarione e dedicata Alfonso d’Aragona.Footnote 89 Questa versione è stata edita per la prima volta a Parigi nel 1515 da Jacques Lefèvre d’Étaples (c. 1460–1536) il quale ha utilizzato proprio il manoscritto avuto da Pico come scrive nella praefatio a Robert Fortuné, primarius del collegio Du Plessis.Footnote 90
Lefèvre aveva incontrato Pico durante il primo dei tre viaggi in Italia, nel 1492.Footnote 91 In quella occasione vide la traduzione di Bessarione e ne approntò una copia. Questo testimone può essere andato perduto in tipografia, ma neppure il suo antigrafo – ovvero il manoscritto appartenuto a Pico – è identificabile nella sua biblioteca a meno che non sia celato dietro l’item “Bessarion et alia” (Kibre n. 1105) privo tuttavia di corrispondenza in M.
Elpidio Mioni ha preso in esame il Marc. lat. Z. 490 (1687), autografo, secondo lo studioso, dello stesso Bessarione, il Cusanus 184 che reca nell’ultima pagina di mano del cardinale la nota: “Istam translationem fecit Reverendissimus Dominus Cardinalis Nicenus quae non posset esse melior, et feci corrigi librum ex originali de manu eiusdem Domini Cardinalis 1453”; l’Escorialensis lat. F III 26, copia inviata al re Alfonso, e il ms. Cesena, Biblioteca Malatestiana, S.IX.2, donato, secondo Augusto Campana dal cardinale Bessarione a Malatesta Novello. Nessuno di questi quattro testimoni può essere ricondotto a Pico, non solo in considerazione della loro storia ma in quanto sia l’autografo Marciano sia le copie da esso derivate divergono dalla versione stampata da Lefèvre.Footnote 92 La traduzione latina di Bessarione è testimoniata anche nei manoscritti London, British Library, Harley 4241, anch’esso appartenuto al Cusano; Oxford, Bodleian Library, MS. Add. C. 73, scritto nel 1493 (nel colophon: “Ego Thomas Murchio propria manu scripsi Papie anno 5° meorum laborum 1493 de mense Septembris dum artibus et Medicine operam do”) e Oxford, Bodleian Library, MS. Canon. Class. lat. 292, anch’essi non riconducibili a Pico. Nell’edizione del 1515 oltre alla traduzione di Bessarione e a quella dell’Argiropulo (affiancate l’una all’altra, ma la seconda in corpo minore) compare la traduzione umanistica della Metafisica di Teofrasto e tra le ipotesi formulate da Glenn W. Most vi è quella che Pico possa aver avuto anche questo testo.Footnote 93 Se non ne ebbe una copia, sicuramente conosceva l’opera grazie all’Ambros. P 80 sup. che vide in San Marco.
I Libri Morales
È appartenuto a Pico l’Utin. 255 (olim V 2), testimone del testo greco dell’Etica Nicomachea e dei Magna moralia e copia diretta del Laur., Plut. 87.4 prodotto nello scriptorium di Ioannikios (Costantinopoli, sec. XII). Il copista principale dell’Utinense, Michael Lygizos, è stato identificato da Dieter Harlfinger, mentre la mano che ha eseguito titoli e fregi decorativi è quella di Giovanni Rhosos.Footnote 94 A Giovanni Argiropulo si devono invece le annotazioni e integrazioni marginali presenti sull’Ethica e a parere di Fabio Vendruscolo è stato copiato per il dotto bizantino da Michael Lygizos al tempo del suo insegnamento fiorentino “non prima però del 1464/1465, data fino alla quale il copista pare attivo a Creta.”Footnote 95
Non è da escludere che Pico abbia avuto accesso, oltre che al testo greco, anche a originali o codici d’autore testimoni di versioni più corrette o emendate delle traduzioni e delle letture di Argiropulo. Nella prima cassa di libri è descritto un volume a stampa dell’Ethica (M 5): verosimilmente la versione di Giovanni Argiropulo. Il maestro bizantino dal 1441 al 1444, sotto la protezione di Palla di Nofri Strozzi, aveva soggiornato a Padova.Footnote 96 Dal 1456/1457 al 1471 e dal 1477 al 1481 aveva tenuto la cattedra ufficiale a Firenze avendo come allievi, tra gli altri, oltre l’Acciaiuoli e il fratello Piero, Lorenzo de’ Medici, Alamanno Rinuccini e Poliziano. Era morto a Roma nel 1487. Come provano i pochi segni di memoria dovuti alla sua mano, Pico ha letto il commento all’Ethica Nicomachea di Donato Acciaiuoli, rielaborazione della reportatio del primo corso pubblico tenuto dall’Argiropulo nel 1456/57, sul ms. Conv. soppr. J III 26 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Il ms. proviene dal Convento di San Marco ma non è registrato nel più antico inventario del 1499/1500. D’altro canto il commento dell’Acciaiuoli non è registrato neppure negli inventari della biblioteca di Pico ed è dubbio se il Conv. soppr. J III 26 gli è appartenuto ed è rimasto a Firenze, oppure se lo ha letto durante una visita alla biblioteca domenicana.Footnote 97
Sono circolate più versioni delle traduzioni realizzate dal maestro bizantino. Nel Vat. lat. 4533, ad esempio, la prima inscriptio della prefazione (pro libris Aristotelis de moribus ad nicomachum) dedicata a Cosimo de’ Medici è stata espunta. Nella seconda, a fol. 8r di seguito a “Opus Aristotelis de moribus ad Nicomachum: a Ioanne Argyropylo causa Cosmae Medicis traductum” è stato aggiunto “ultima emendatione.” A differenza degli esemplari d’apparato, eseguiti dai copisti di fiducia dei Medici, questo è stato un codice di lavoro. Gli interventi sul testo non sono numerosi, ma giustificano l’integrazione nella rubrica. A fol. 20rbis (num. 1) si legge: “manu d(omini) Isaacij filii”; d’altra mano “Ethica Aristotellis” e “d. Franc(iscus).” Isacco era uno dei figli dell’Argiropulo e nell’epistola che precede l’edizione dell’Etica Pietro Marsi scrive che il padre aveva affidato a lui e ai suoi discepoli le sue traduzioni.Footnote 98
Giovanni Pico ebbe anche la traduzione di Leonardo Bruni dell’Etica Nicomachea. Il manoscritto è l’attuale Padova, Biblioteca del Seminario Arcivescovile, 114, realizzato nel 1479, a Ferrara, dallo scriptor che sarebbe in seguito divenuto il suo segretario di fiducia, Tommaso Frignano.Footnote 99
È probabile che Pico abbia fatto copiare a Firenze l’“Eustathius. n. 507 [capsa] 12” (Kibre n. 557) corrispondente nell’inventario modenese all’“Eustachius commentum Ethicorum ms. pap. magnus liber et pulcer. n. 507” (M 923). L’antigrafo, in questo caso, potrebbe essere stato il ms. Firenze, BNC, Conv. Soppr. J V 21 (San Marco 72), d’origine francese, della seconda metà del Duecento, appartenuto e annotato da Coluccio Salutati, testimone dell’Ethica Nicomachea con i commenti di Eustrazio di Nicea, Michele di Efeso, Aspasio e gli scolia anonimi incorporati da Roberto Grossatesta nella sua traduzione e accompagnati da un considerevole numero di note esplicative (Summa Lincolniensis in Ethicam).Footnote 100 Il manoscritto appartenuto a Pico era cartaceo e ‘magnus’ e ‘pulchrus,’ due aggetti che si incontrano raramente nei due inventari. Se era stato realizzato a Firenze, la prima pagina era verosimilmente decorata con un fregio a bianchi girari.
È stata vergata da Giovanni Argiropulo la prima parte dell’Utin. 256, testimone del commento di Eustrazio al primo libro degli Analitica posteriora. Footnote 101 Corrisponde al n. 29 dell’inventario Grimani “Commentaria in primum librum priorum resol‹utorio›rum Arist‹otelis› sine titulo” ma non è identificabile nella biblioteca di Pico.
Giovanni Pico ebbe un testimone in greco della Politica. È registrato in entrambi gli inventari “P. Politica. n. 305 [capsa] 4 (Kibre n. 497)” e “Politica Aristotilis gr. ms. in pap. n. 305” (M 992) ma soltanto nel secondo è precisata la lingua. Nella biblioteca greca di Domenico Grimani ebbe il n. 42 e la descrizione registrata negli inventari del cardinale offre un’importante precisazione: “Aristotelis politica manu Theodori Gazae scripta.” Il ms. è l’attuale Utin. 258 (olim VI 5) interamente di mano di Teodoro Gaza e decorato con una ornamentazione policroma in oro, blu, verde, giallo e rosso scuro. Al f. IIv si legge ancora l’ex libris di Grimani mentre è andata perduta (forse a seguito di un incauto restauro avvenuto negli anni ’70 del secolo scorso) l’antica segnatura ’42.’Footnote 102
Della Politica d’Aristotele sono note in latino la translatio vetus, la translatio Guillelmi e una traduzione realizzata da Leonardo Bruni nel 1438 a partire dall’esemplare appartenuto a Palla Strozzi. Il testimone che ebbe Pico era membranaceo e considerata la descrizione dell’inventario vaticano ovvero “M. Politica Aristotelis et Leonardi. n. 312 [capsa] 3” (Kibre n. 445) recava la versione del Bruni. Nell’inventario modenese l’indicazione è stata omessa: “Politicha Arist‹otelis› ms. in membr. la‹tinus› n. 312” (M 11) ma, considerata la coincidenza della segnatura, si tratta senz’altro dello stesso manoscritto. Nell’Index tràdito nel Vat. lat. 11289 dell’anno 1600 è identificabile nell’item “Leonardi Aretini Politica” (fol. 147rb). L’ultima notizia risale al 1650 quando è stato descritto da Jacopo Filippo Tomasini nel Pluteo III della biblioteca di Sant’Antonio di Castello: “Politica Aristotelis 4 m. eleganti charactere, cui prefixa est vita Aristotelis, auctore Leonardo Aretino, Cardinali S. Crucis inscripta.”Footnote 103 Non possiamo escludere che Grimani possedesse più testimoni della Politica, tuttavia se quello di cui abbiamo ripercorso le tracce non è stato alienato negli anni successivi alla stesura del catalogo del Tomasini, probabilmente è andato distrutto nell’incendio dei magazzini del convento del 1687.
Negli inventari è identificabile la traduzione di Giorgio Trapezunzio della Rhetorica (Kibre n. 484; M 1031) di cui sopravvivono almeno ventitrè testimoni manoscritti.Footnote 104 Verosimilmente non gli fu accessibile l’edizione a stampa realizzata a Parigi intorno al 1476–77 (ISTC ia01045500).
Proviene dalla biblioteca di Pico l’Utin. 256 (olim V 3), fols. 181–204 (= Grimani ‘93’) testimone della Rhetorica ad Alexandrum in greco.Footnote 105 Cartaceo, del sec. XIV in., misura attualmente 280 × 200 mm ma è stato rifilato per adattarlo alle dimensioni della prima unità codicologica.Footnote 106 Della Rhetorica ad Alexandrum Giovanni Pico ebbe anche la traduzione di Francesco Filelfo e la voce è identificabile in due diversi item nell’inventario vaticano, ovvero “P. Fran. n. 501 [capsa] 12” (Kibre n. 377) e “Introductorium Galieni et Orationes Philelphi. n. 501 [capsa] 12” (Kibre nr. 910) e nell’inventario modenese “Franciscus Filel‹phus› impr. n. 501” (M 630). Corrisponde con ogni probabilità all’edizione milanese del 1483–84.Footnote 107
La Poetica è registrata nel primo inventario senza indicazione della lingua: “Poetria Aristotelis. n. 85 [capsa] 22” (Kibre n. 780). Se il volume era in greco potrebbe corrispondere al Grimani Gr. 21: “Aristoteles de arte poetica. — Dionysii Alcarnasei epitome de nominum compositione.” Tomasini lo descrive ancora nella biblioteca del convento di Sant’Antonio di Castello: ‘Poetica Aristotelis in f. ch.’Footnote 108 Probabilmente è andato distrutto nell’incendio del 1687.
Nell’inventario vaticano è inoltre registrato il “Liber de fortuna n. 94” (Kibre n. 965) ma non compare nel successivo. Se non è andato disperso prima dell’acquisto della biblioteca da parte di Grimani, potrebbe corrispondere ad uno dei due volumi descritti da Tomasini: (Plut. II) “Aristotelis liber Meteorum incipit Circa hanc. | De memoria, & reminiscentia.| Aegidius Romanus de Bona fortuna. f.m.”; oppure (Plut. III): “Rhetorica Aristotelis. | Eiusdem Epistola ad Alex. | Liber Ethicorum | Liber viii Politicorum. | Liber Magnorum Moralium. incipit Quoniam elegimus dicere. | Libellus de bona fortuna translatus ex lib. magnorum Moralium. f.m.”
Le opere pseudo-aristoteliche
È appartenuto a Giovanni Pico il ms. München, BSB, cod. graec. 495, un codice “di formazione,” che testimonia, tra le altre, opere di Libanio, Niceforo Callisto, Isocrate, Giorgio Gemisto Pletone, Senofonte, Ammonio, Luciano e Cicerone.Footnote 109 Scritto probabilmente a Mistrà tra il 1452 e il 1459, è stato una delle principali fonti del Commento alla Canzone d’amore di Girolamo Benivieni e ad esso Pico ha attinto per la stesura delle Conclusiones e dell’Oratio. In questo manoscritto Pico ha letto il De natura mundi et animae di Timeo di Locri (fols. 40r–50r, con interventi correttorî e riscritture).Footnote 110 Al De virtute pseudo aristotelico (fols. 51r–55r) seguono una raccolta di Definitiones ex Ethica, Rhetorica et Politica di Aristotele (fols. 55–59r) e il De mundo (fols. 171v–85v).Footnote 111 Il De visu (fols. 211r–12v) è frammentario.Footnote 112 Il De differentiis Platonis et Aristotelis di Gemisto Pletone (fols. 109r–23v) reca, in fine, una nota, probabilmente di mano di Pico. Dalla lettura del De differentiis di Pletone trasse la prima ispirazione per la Concordia di Aristotele e Platone a cui fa riferimento già nell’Oratio: “Proposuimus primo Platonis Aristotelisque concordiam a multis ante hac creditam, a nemine satis probatam.”Footnote 113 Nella lettera proemiale del De ente et uno indirizzata a Poliziano parla ancora della Concordia, ma afferma che si accinge a scriverla: “Efflagitas enim ut, quamquam de his fusius in ipsa quam adhuc parturio Platonis Aristotelisque Concordia sim scripturus.”Footnote 114
I brevissimi excerpta che ricorda Girolamo Savonarola sotto il titolo Ex libro Co[ncord]ia Jo. de Mirand. provano che non soltanto era abbozzata, ma in uno stadio di preparazione tale che le consentiva di circolare, almeno nella cerchia più stretta dei suoi conoscenti.Footnote 115 Se è riferito alla Concordia l’item “P. De doctrinis quibus Plato et Aristoteles dissident que incipiunt ‘distinctio’. n. 921 [capsa] 2” (Kibre n. 460) e “Liber in quo sunt quedam dicta Scoti contra Arist‹otilem› pro Platone et dicta multorum aliorum doctorum ms. in pap. n. 921” (M 46) è probabile che Pico non abbia lasciato l’opera ultimata, ma un dossier organizzato per dicta e loci, come si avverte già nel De ente et uno. Nel trattato il primo autore citato è Aristotele (cap. 1): “Aristoteles multis in locis respondere haec sibi invicem et aequali esse ambitu dicit unum scilicet et ens.” Nel dossier sulla Concordia seguivano evidentemente i passi di Aristotele (Metaph., Г, 2, 1003 b 22-23; Z, 4, 1030 b 10-12; K, 3, 1061 a 15-18) riscontrati sulle diverse edizioni e versioni.Footnote 116 Il nipote Gianfrancesco trovò il volume tra gli scritti del Conte ma non lo pubblicò, anzi ne plagiò i contenuti.Footnote 117
Pico ebbe la traduzione dell’umanista veronese Antonio Beccaria (1400 ca.–1474) del De mirabilibus auscultationibus, breve trattato ps.-aristotelico, accolto con la Physiognomica, i Problemata, la Mechanica nel corpus Aristotelicum (Kibre n. 685; M 930: “Traductio Antonii Beccharrie ex Aristotelis libris de admirandis nature ms. in pap. n. 926”).Footnote 118 La versione di Beccaria è tràdita nel ms. Firenze, Biblioteca Riccardiana 932 con una rubrica aggiunta da mano seriore che lo attribuisce a Raimondo LulloFootnote 119 e nel Wien, ÖNB, 5413, fols. 142–241 (copiato dall’edizione a stampa) preceduta ai fols. 1–139 dal De comparatione Platonis et Aristotelis di Trapezunzio.Footnote 120 Il manoscritto di Pico, conservato nella seconda metà del Cinquecento nelle casse di libri già appartenute a Marino Grimani e custodite dalla sorella Paola (“Antonii Beccarie Veronen. ex Aristotelis lib. de admirandis in na. auditis – picciolo – scriptus”), al momento risulta disperso.Footnote 121
Un testimone della Physiognomia era presente in un volume membranaceo miscellaneo: “Phisionomia et alia. n. 959 [capsa] 10” (Kibre n. 706); “Liber introductori Albumasar cum aliis re‹bus› et Phisono‹mia› Aristotelis ms. in membr.” (M 95). Sono almeno nove le opere latine note di Physiognomia variamente attribuite ad Aristotele.Footnote 122 La prima censita da Schmitt e Knox (inc. Capilli lenes timoris sunt significativi, crispi autem audaciam significant), attribuita anche a Filone, Avicenna e Alberto Magno corrisponde ai cap. 26-58 della Physiognomia di Rasis contenuta nel Liber ad Almansorem. Considerato che l’altra opera segnalata è l’Introductorius (Kitab al-muḍḫal al-kabīr) di Abū Ma῾shar (Albumasar) non è improbabile che nel manoscritto fosse presente la versione di Rasis. Piuttosto diffusa è stata anche la Physiognomia III (inc. Elegans est nature cognitio que per esteriores formas interiores investigat qualitates), ma soltanto il recupero del manoscritto potrà fornire una risposta definitiva. A stampa ebbe anche il Liber physonomie di Michele Scoto (Kibre n. 4; M 585).Footnote 123
La Mechanica, in greco, era tràdita in un volume miscellaneo: “P. Mechanica Aris‹tote›lis et alia. n. 888 [capsa] 11” (Kibre n. 600) e “Ipocratis et Democrati epistole et Mecanica Aristotelis in greco ms. in pap. n. 888” (M 609). Nella biblioteca greca di Grimani ebbe il n. 22: “Hippocratis epistulae. – Diogenis epistolae. – Bruti epistolae. – Aristotelis mechanica.” Il volume si conservava ancora a Venezia, nel convento di Sant’Antonio di Castello nel 1650: “Hippocratis Epistolae. f. ch. || Aristotelis Mechanica f. ch.”Footnote 124 Il ms. Napoli, Bibl. Nazionale, III AA 14 bis (in BGM sub: Neapol. Carbon. 27) testimonia le stesse opere del Grimani ‘22’ ovvero: Hippocrates medicus, Epistulae (1r–28v); Pseudo-Diogenes cynicus, Epistulae (28r–42v); Brutus, Epistulae (42v–48r); Pseudo-Aristoteles, Mechanica (48r–70v). È stato realizzato nel sec. XIV med.-ex. ma è membr. e non cartaceo come quello appartenuto a Pico. Tuttavia potrebbe esserne stato l’antigrafo.
Giovanni Pico ebbe una copia in arabo del Secretum secretorum. Il volume è registrato in entrambi gli inventari, ma nel primo è stata indicata soltanto la lingua: “Arabus. n. 129 [capsa] 27” (Kibre n. 876), nel secondo è precisato il contenuto: “Liber de quibusdam secretis arabicus. n. 129” (M 411). Il manoscritto è l’attuale München, BSB, Arab. 650 (Cod. or. 177) testimone del Sirr-al’asrār (Secretum secretorum) nella traduzione araba di Johannes b. Batrîq.Footnote 125 A fol. 1r si legge l’annotazione da cui è tratta la descrizione dell’inventario curato da Pizzamano, ovvero “Liber de quibus // (su Aristoteles cassato) secretis (secretorum cassato).” A fol. 1v è stata cassata la nota: “Aristotelis de rebus gestis Alexandri lingua arabica”; sulla controguardia si legge: “Aristotelis medica aliqua tempore scripta.” Gli interventi correttori sulla prima nota riflettono il dibattito umanistico sull’attribuzione del Sirr-al’asrār al quale Pico non fu estraneo come prova la sua osservazione nelle Disputationes: “et de secretis ad Alexandrum, quos tribuunt Aristoteli nulla culpa boni philosophi, nullo demerito.”Footnote 126
Era formato da un solo fascicolo il “Liber Rogeri Bachon super dubia secretorum quinternus ms. pap.” (M 913), forse testimone — considerate le dimensioni — delle sole glosse o della sola introduzione. Il ms. Firenze, BNC, Conv. soppr. J IX 26 (San Marco 123), testimone dei Problemata di Pietro Hispano (fols. 1r–12v), del De uniformitate et difformitate di Nicola Oresme (fols. 13r–35r) e dell’Algorismus proportionum (fols. 37r–45r) dello stesso, e di diverse altre rare opere di matematica, prima di giungere in San Marco era appartenuto al medico Pierleone da Spoleto, il quale ne aveva trascritto alcune sezioni e lo aveva annotato. Con Pierleone Pico ha condiviso libri e interessi, ma se ha consultato questo manoscritto non pare averne tratto copie per la sua biblioteca.
Nei due inventari non è identificabile alcun testimone in latino del Secretum secretorum e anche questo volume potrebbe essere stato sottratto dalle casse subito dopo la morte di Pico.
Le edizioni a stampa
Come abbiamo visto Giovanni Pico ebbe l’edizione del corpus aristotelico stampata tra il 1472 e il 1475 da Lorenzo Canozio, ma per l’assenza di titoli e di rubriche l’inventariazione dei volumi fu particolarmente difficoltosa.Footnote 127 Il già menzionato item “Primum de anima” (Kibre n. 1114), sine numero e privo di corrispondenza nell’inventario modenese se descrive uno stampato piuttosto che un manoscritto potrebbe celare l’edizione padovana del 1472 del De anima. Footnote 128
Dello stesso Canozio ebbe i Parva naturalia con il commento di Averroè, seguiti dal De substantia orbis dello stesso.Footnote 129 Anche questo volume è privo di rubriche e Pico con ogni probabilità sulla sua copia aveva apposto un titolo che fu letto in modo errato. Nel primo inventario l’item è descritto “P. Armeritus et Parva metheora. n. 684 [capsa] 14” (Kibre n. 438), mentre quello modenese con la stessa segnatura descrive le “Concordantie Thome et Alberti impr. n. 684” (M 390). Poiché il volume delle Concordantiae (ed. Thomas Dorniberg) ebbe la segnatura 348_3 evidentemente si tratta di un errore.
In M compaiono le “Questiones super secundam partem Metaphisice impr. n. 311” (M 1047) e l’item è privo di corrispondenza nell’inventario vaticano. Nessuna edizione conosciuta pare riconducibile a questa voce che potrebbe corrispondere all’edizione della Metafisica con il commento di Averroè.Footnote 130 Il formato adottato da Canozio riproduce il modello universitario. Il primo paragrafo presenta il testo dalla vulgata ed è seguito dalla traduzione del testo aristotelico contenuta nel Commentario di Averroè. Segue infine, in caratteri più piccoli, il Commentario tradotto. La complicata mise en page da un lato, e l’assenza di rubriche dall’altro, potrebbero essere all’origine della descrizione presentata nell’inventario modenese.
Anche Agnolo Poliziano ebbe l’edizione di Canozio e riunì cinque diversi incunaboli (con il De anima, la Metaphysica, il De generatione et corruptione, i Meteorologica, i Parva naturalia ed il De coelo et mundo) in un unico volume (Vaticano, BAV, Inc. S 146) lasciando pochissime postille sulla c. 1 del De anima. La Physica è invece testimoniata nell’Inc. S 145 anch’essa recante alcune glosse.Footnote 131
Nell’inventario vaticano nell’item “P. Testus de caelo et alia. n. 400 [capsa] 4” (Kibre n. 490) si cela il volume II.1.1 (De caelo et mundo, tr. Guillelmus de Moerbeka et Michael Scotus) dell’edizione aristotelica curata da Nicoletto Vernia, tuttavia Pico ebbe anche altri volumi come testimonia la descrizione dell’inventario modenese: “Plura opera Aristotelis simul ligata in magno volumine impr. cum commento Averrois n. 400” (M 739).Footnote 132
Nell’inventario vaticano sono registrate le “Propositiones Aris‹tote›lis. n. 59” (Kibre n. 956) ma, il volume non compare nel successivo. Se la voce fa riferimento ad un incunabolo potrebbe trattarsi di quello stampato forse a Treviso intorno al 1476.Footnote 133 Che Pico possa aver attinto a questa diffusissima raccolta lo proverebbero, secondo Stefano Caroti, almeno due conclusiones. Footnote 134 Le Propositiones ex omnibus Aristotelis libris excerpte del domenicano Teofilo da Ferrara recano la data del 3 agosto 1493.Footnote 135 L’edizione dell’opera, lasciata incompleta dall’autore e ultimata da Benedetto Soncino, è dedicata ad Antonio Pizzamano.Footnote 136 Pico acquistò libri fino agli ultimi giorni della sua vita e non possiamo escludere che avesse anche un esemplare di questa edizione.
La dispersione
La disamina che abbiamo condotto in queste pagine delle voci che descrivono le opere del corpus aristotelico nei due inventari della biblioteca di Giovanni Pico ha evidenziato l’assenza di quelle principali e più significative. Il giovane signore della Mirandola era solito, sin da giovanissimo, postillare sia i propri libri, sia quelli presi in prestito da altri ed è plausibile supporre che le sue copie personali della Logica, della Fisica, della Metafisica, del De anima, del Secretum secretorum fossero ricche di annotazioni e postille. Accertate le lacune, rimane da chiarire se siano da imputare ad una indebita sottrazione oppure se Domenico Grimani non abbia portato via i manoscritti da Firenze prima che Pizzamano procedesse ad inventariare il contenuto delle capsae. Se corrisponde al vero la seconda ipotesi dovremmo trovare la notizia di questi manoscritti quanto meno nel primo inventario, ma così non è. Rimane dunque aperta la prima ipotesi, ovvero quella di una indebita sottrazione, o, in altre parole, di un vero e proprio furto, sistematico e mirato, visti i contenuti.
Giovanni Pico ha dettato il suo testamento a soli trenta anni, il 1° settembre 1493, ovvero poche settimane dopo che era finalmente caduta l’accusa di eresia e aveva ottenuto, il 18 giugno, il perdono da parte del nuovo pontefice, Alessandro VI (Rodrigo Borgia). Nel testamento si parla di tutti i libri posseduti (omnes libros meos) senza distinguere tra la collezione e gli autografi, gli idiografi o gli originali. L’intera raccolta libraria, secondo le sue disposizioni testamentarie, doveva essere venduta e solo nel caso in cui, trascorsi due anni, il fratello Antonio Maria non fosse riuscito a trovare un compratore, quest’ultimo poteva disporne a suo piacere (ad libitum suum). Le cose non andarono secondo quanto stabilito da Giovanni Pico in quanto all’indomani della sua morte, prima dell’apertura del testamento, il nipote Gianfrancesco si precipitò a Firenze con l’intento di raccogliere tutti gli scritti dello zio, anche quelli soltanto abbozzati.Footnote 137
Non disponiamo purtroppo di prove, ma è indubbio che il principale indiziato del furto sia proprio Gianfrancesco. Nei due inventari nessun item può essere ricondotto alle Disputationes, ai Commenti ai Salmi o all’Esposizione del Pater noster e dall’assenza di queste voci è evidente che Gianfrancesco ebbe accesso alla collezione prima che fosse inventariata. Nessun altro, per quanto ne sappiamo, ebbe questa opportunità. Considerate e la propensione di Pico ad acquistare libri e — soprattutto — i numeri e i contenuti della sua biblioteca, l’ipotesi che non possedesse alcun testimone della Metafisica o della Logica o della Fisica è inverosimile e la loro assenza nei due inventari è da imputare ad un furto realizzato all’indomani della sua morte, nella stessa abitazione nella quale probabilmente era stato ucciso. Questo rilevante depauperamento del patrimonio librario fu sicuramente comunicato al fratello Antonmaria e certo non sfuggì al protonotaio Antonio Pizzamano e questo spiega perché nella prima cassa piuttosto che manoscritti miniati (come il celebre Plinio veneziano) o opere di pregio, furono raccolti incunaboli e booklets, alcuni dei quali recavano sicura testimonianza della loro appartenenza a Giovanni Pico per la presenza di postille o di altri segni di lettura.