La spiritualità monastica, che aveva posto l’accento sulla separazione dal mondo, sulla ricerca di Dio e sull’esercizio della virtù quali fondamenta della regola del cenobio in cui il monaco è chiamato a raggiungere Dio, fin dalle origini meditava il testo biblico attraverso la quotidiana lettura. Nel corso del Medioevo la Bibbia, grazie alla formazione universitaria, era divenuta elemento imprescindibile non solo per i monaci, ma anche per il percorso di formazione dei chierici e, in un secondo momento, dei laici attraverso la predicazione e la letteratura.Footnote 1
Nel corso del secolo XV la Bibbia, così come già accadeva per le opere dei Padri della Chiesa, non era sfuggita alla nuova attenzione filologica che gli umanisti rivolgevano al testo, anche se i frutti della collaborazione tra Umanesimo e studi biblici saranno evidenti tanto sul piano letterario, – con significative esperienze pure in volgare (dalle sacre rappresentazione, ai cantari, ai poemetti biblici e alla Bibbia in volgare) — quanto su quello filologico, con riflessioni sul testo stesso, solo nella seconda metà del secolo grazie agli impulsi di papa Niccolò V e a studiosi del calibro di Lorenzo Valla e Giannozzo Manetti.Footnote 2 Tuttavia già nei primi decenni a Firenze in special modo, ma non solo, si assistette da un lato alla predicazione di religiosi, quali Giovanni Dominici, Bernardino e Caterina da Siena, che mettevano la parola biblica in primo piano;Footnote 3 dall’altro alla divulgazione del pensiero teologico dei Padri greci, nei quali la Sacra Scrittura è centrale, grazie all’opera di traduzione in primo luogo di Ambrogio Traversari.Footnote 4 Si tratta di religiosi che, pur avendo di fronte destinatari differenti — verso i fedeli in generale i primi, ai monaci in particolare l’ultimo — avevano ciascuno come riferimento la Bibbia.
Come è noto, Ambrogio Traversari (1386–1439), monaco camaldolese fin dall’età di quattordici anni nel cenobio fiorentino di Santa Maria degli Angeli, rivolse la propria attenzione in direzione della spiritualità monastica, tanto attraverso le traduzioni dei Padri greci, quanto con la meditazione su quelli latini, innestandovi però, in entrambi i casi, riflessioni propriamente umanistiche volte ad interrogarsi in merito al testo e alla restituzione di lezioni più certe.Footnote 5 Per quanto riguarda la Bibbia, sebbene il Traversari non si schieri in modo critico verso la Scolastica, non componga commenti alla Bibbia e non consideri la filologia il cardine di un’indagine che si soffermi in modo specifico su di essa, come accadrà un decennio dopo la sua morte, cionondimeno i suoi interessi lo portano non solo a porre la Sacra Scrittura alla base del suo agire, ma anche a guardare alla lingua ebraica di cui fu tra i primi ad affrontare lo studio. Fin dal 1432, infatti, egli fu in possesso di un manoscritto, ricevuto in dono a Roma, che conteneva alcuni libri dell’Antico Testamento in ebraico, ed impartì lezioni di tale lingua ai confratelli. Quello dei suoi studi ebraici è, ad ogni modo, un capitolo sul quale ancora poco si può scrivere: egli non ci dice da chi lo abbia appreso e con quale metodo, né fornisce ulteriori elementi per identificare il manoscritto in suo possesso.Footnote 6 Tale lacuna, ad oggi incolmabile per mancanza di ulteriori informazioni, unita alla precoce morte del Traversari stesso, ci priva della possibilità di conoscere eventuali sue riflessioni scaturite dal confronto tra il testo greco, quello ebraico e la Vulgata.
È pertanto solo dalle lettere, in particolare quelle rivolte a religiosi, che si può osservare come la Bibbia sia frequentemente citata e costituisca, per tutta la vita del Traversari, un punto di riferimento imprescindibile del quale, in primo luogo, raccomanda ai confratelli l’assidua lettura: apprezza il fatto che il monaco Gabriele si applichi alle Sacre Lettere, “Amplectere, fili, sacrae lectionis studium”, ed esorta un certo Giovanni a fare lo stesso.Footnote 7 Nelle sue epistole vi sono immagini ricorrenti tratte dalle Scritture, tra le quali è frequente quella di “evellere et destruere” i vizi e le cattive abitudini secondo l’insegnamento del profeta (Ier. 1:10) per poi “aedificare et plantare” (ivi) la virtù e la santità.Footnote 8 Tali lettere, posteriori alla sua nomina a priore generale, rientrano pienamente nel contesto della direzione spirituale, un sotto-genere nell’ambito dell’epistolografia assai praticato nel Medioevo, ma ben attestato pure nel XV secolo all’interno degli ordini religiosi sia in latino, sia poi in volgare.Footnote 9
Nel camaldolese questa tipologia si unisce alla lode della vita monastica, tema antico, come ben sa il religioso traduttore dal 1417 in poi, tra le altre opere, dell’Adversus vituperatores monasticae vitae di Giovanni Crisostomo, del De fuga saeculi et de vita monastica di Basilio di Cesarea, del Pratum spirituale di Giovanni Mosco e della Scala Paradisi di Giovanni Climaco.Footnote 10 Ma egli fu anche assiduo lettore di Girolamo e Cassiano, che riconoscevano ai monaci una vita secondo la Scrittura, e di Agostino, che tra XIII e XV secolo era considerato autore di una regola monastica e fondatore di un ordine eremitico, e di Pier Damiani, che nel XI secolo aveva promosso l’esperienza di vita avellanita, realtà monastica a lui ben nota.Footnote 11 Nondimeno l’argomento era tornato in auge anche in chiave letteraria nel secondo Trecento grazie al De vita solitaria e al De otio religioso di Petrarca, il quale prospettava la rinuncia alla città e il ritiro in una solitudine agreste, e al De seculo et religione di Coluccio Salutati, dedicato proprio ad un camaldolese, Niccolò da Uzano, testo nel quale il cancelliere fiorentino ammetteva la possibilità di una vita solitaria in città, come accadeva proprio a Santa Maria degli Angeli, il cenobio dove si sarebbe formato qualche anno dopo lo stesso Traversari.Footnote 12
Le lettere di esortazione non nascono, tuttavia, dalla volontà del camaldolese di entrare nel dibattito umanistico generato dai due dialoghi di Petrarca e dal trattato del Salutati o dagli scritti di altri umanisti, che certamente gli erano ben noti per l’ammirazione che nutriva nei confronti di entrambi e per i contatti che intratteneva con gli uomini di cultura a Firenze e non solo, ma da circostanze precise legate alla riforma del proprio ordine da lui portata avanti, una volta eletto generale, alla luce delle sue letture patristiche e di uno strumento: la Bibbia.
L’esortazione a una vita monastica rigorosa tra insegnamento della Bibbia e richiamo alla tradizione
Tra le lettere di esortazione monastica del Traversari la 4.6, fruibile solo nella raccolta Canneti-Mehus e assente invece in quella Martène-Durand, si presenta come una felice sintesi del suo pensiero e come tale può essere presa ad esempio per una prima indagine sulle fonti, in special modo su quelle bibliche, e sul modo in cui il camaldolese si accosta ad esse.Footnote 13 Questa lettera, rivolta a tutti i religiosi dell’ordine, venne scritta dal Traversari probabilmente nel 1432 per conto del pontefice Eugenio IV (1431–1447) — sotto il cui nome risulta inviata nell’edizione di riferimento —, mentre si trovava a Roma, dove era giunto alla fine di gennaio e da dove sarebbe ripartito nel corso del mese di maggio.Footnote 14 Il contenuto è di notevole importanza perché si delinea in essa l’ideale monastico traversariano e si accenna, per la prima volta in forma ufficiale, alla necessità di riportare l’ordine all’antica osservanza.
Il Traversari ebbe modo di affrontare la questione della riforma dei monasteri quando si recò in visita al papa e alla curia nella primavera del 1432 con lo scopo, in primo luogo, di ottenere la conferma papale alla propria elezione, nonché quella di alcuni privilegi del proprio ordine, e la restituzione di quei monasteri dati in commenda a cardinali.Footnote 15 Siamo ancora all’inizio del suo nuovo compito: Eugenio IV lo aveva voluto alla guida dei suoi confratelli nell’ottobre 1431, in sostituzione del discusso abate generale Benedetto Lanci, nel contesto di un più ampio programma di riforma monastica che coinvolgeva diversi ordini religiosi e che, ispirandosi alla propria esperienza giovanile presso i canonici di San Giorgio in Alga, si proponeva di non far trascurare ai superiori la visita ai monasteri, in particolare quelli in decadenza, di sostenere il fervore religioso e la temporalità delle cariche nonché l’unione tra i monasteri: nel portare avanti questo compito, però, negli anni successivi non mancheranno per il generale camaldolese difficoltà interne all’ordine e divergenze con il pontefice su alcuni aspetti di questo progetto.Footnote 16 Nel Traversari, infatti, l’idea di monachesimo si fondava, oltre che sulla legislazione camaldolese, sulle letture sopra menzionate e sulla Sacra Scrittura; pertanto egli agì sempre nella convinzione che le deviazioni si potessero risanare traendo ispirazione da questi insegnamenti, anche attraverso quell’approccio filologico che è proprio dell’Umanesimo, rivendicando la centralità della solitudine, del silenzio e della recita dell’ufficio, specie per gli eremiti, e perseguendo la formazione dei giovani monaci, per la quale aveva ricevuto l’incoraggiamento già da papa Martino V, ma che era in uso nei monasteri urbani camaldolesi fin dal secolo precedente.Footnote 17 La lettera qui in esame si colloca, però, all’inizio del suo ufficio e precede sia le difficoltà interne all’ordine, sia una diversa idea di riforma monastica rispetto a quella del pontefice, pur nella consonanza di intenti rispetto al concilio di Basilea e Ferrara-Firenze nei quali il pontefice lo avrebbe coinvolto.Footnote 18
L’epistola presenta un exordium impostato secondo lo stile delle lettere amministrative tipiche pure del Traversari, di cui non mancano numerosi altri esempi in particolare nell’edizione Canneti-Mehus e nelle quali l’attacco si richiama sempre ai compiti connessi al ruolo di priore generale, rispetto al quale si sottolinea il fatto che, tra le occupazioni, ci sia la necessità di far osservare il rispetto della regola.Footnote 19 Nelle prime righe si legge quanto segue:
Inter curas reliquas pastoralis officii, quibus quotidie nos excercet divina Dignatio, illa in pectore nostro non minimum sibi vindicat locum, quo pacto monasteria vel religiose instituta et firmiter stantia in proposito religioso et regulari instituto serventur et felici successu perpetua incrementa percipiant, vel nutantia et iam iam labentia in pristinum statum et in antiquae sanctitatis effigiem redeant. (Traversari, Epistolae 4.6, 204)
Tuttavia, a differenza di altre lettere con simile inizio che affrontano questioni specifiche come la nomina di un abate di un monastero, il contenuto di questa epistola verte sulla stessa materia annunciata nell’ultima frase: il ritorno ad una santità che sia la raffigurazione di quella antica. Il corpo del testo procede pertanto abbandonando lo stile del documento pubblico e sviluppando nella narratio il tema della vita religiosa attraverso tre momenti: dapprima il Traversari loda la vita monastica, poi ammette di aver appreso della condotta irregolare dei suoi monaci, notizia che si dispiega attraverso la metafora della ferita e l’exemplum di san Benedetto, e infine conclude con l’esortazione a una vita regolare.
Il primo argomento, la scelta del monastero o dell’eremo, è per il camaldolese — come per tutta la tradizione a lui precedente fin dai Padri greci che aveva tradotto e che avevano scritto proprio al riguardo — non solo il principale, ma anche l’unico ornamento della chiesa. La domanda che il Traversari pone ai suoi interlocutori è perciò retorica: “Quis autem ignorat religiosorum monachorum vitam ecclesiae matris praecipuum monile esse ac singulare ornamentum?” (Epistolae 4.6, 204). Ad essa segue pertanto una certezza:
Sunt illi profecto flos ecclesiastici germinis et illustris portio Christiani gregis, qui, comtemptis vitae praesentis illecebris et cupiditatibus saeculi voluptatibusque calcatis, iugum Christi suave et onus leve (Matth. 11:30) tota animi devotione subsceperunt maioreque semper constantia perdurant. (Traversari, Epistolae 4.6, 204)
Nel contesto della vita religiosa, quella dei monaci costituisce, attraverso le parole di Cipriano nel De habitu virginum, riprese pure da Bernardino da Siena in una predica, il fiore del germe ecclesiastico e l’illustre porzione del gregge cristiano, perché attraverso la scelta del monastero si disprezzano le lusinghe della vita presente e le attrattive del mondo e se ne calpestano i piaceri. Scrive al riguardo Cipriano:
Flos est ille ecclesiastici germinis, decus atque ornamentum gratiae spiritalis, laeta indoles, laudis et honoris opus integrum atque incorruptum, Dei imago respondens ad sanctimoniam Domini, inlustrior portio gregis Christi.Footnote 20
Questo passo viene letto dal Traversari come riferito alla vita monastica la quale è dunque per il camaldolese la perfezione nell’ambito delle possibili scelte religiose, sulla scia in primis dei suoi autori greci (Giovanni Crisostomo, Basilio di Cesarea, Giovanni Mosco e Giovanni Climaco), ed è anche l’unica vera vita cristiana, così come l’esegesi monastica latina aveva sottolineato fin dallo stesso Agostino e da Gregorio Magno.Footnote 21 Il camaldolese interpreta l’immagine di Cipriano attraverso le parole evangeliche; esse gli consentono di rileggere le lusinghe terrene nello “iugum Christi suave et onus leve” (Matth. 11:30) secondo la prospettiva espressa, in uno dei suoi Sermones, dal santo di Ippona che intravedeva nelle tribolazioni terrene la via che conduce alla felicità eterna:
Ecce quam suave iugum Christi portabat et quam levem sarcinam, ut omnia illa, quae superius enumerata dura et immania omnis auditor horrescit, levem tribulationem diceret, intuens interioribus et fidelibus oculis, quanto pretio temporalium emenda sit futura vita non pati aeternos latore impiorum et sine ulla sollicitudine perfrui aeterna felicitate iustorum.Footnote 22
Il giogo che i monaci accolgono con devozione nell’animo si applica, con libertà tropologica, ad ogni situazione di fede, come peraltro insegnava al Traversari l’unico autore medievale da lui ricordato tra le amate letture: Bernardo di Chiaravalle. In uno dei suoi Sermones, Bernardo invitava ad abbandonare proprio le seduzioni vane e ad abbracciare la beata speranza la quale consente ai monaci di resistere con sempre maggiore costanza:
Ut quid enim, si haec sapimus, ut quid cunctamur abicere omnino spes miseras, vanas, inutiles, seductorias, et huic uni tam solidae, tam perfectae, tam beatae spei, tota devotione animi, toto fervore spiritus inhaerere?Footnote 23
La capacità del monaco di opporsi alle tentazioni e alle debolezze deve essere accostata, nella visione traversariana, a quella di Mosè, allorché il patriarca biblico pregò per la vittoria dei suoi nell’episodio della battaglia contro il superbo Amalek ripreso dal libro dell’Esodo e presentato con un intreccio di altri passi biblici e patristici:
Qui [monaci], relictis phantasmatum saecularium turbis, soli cum Moyse montis excelsi verticem (exod. 19:20) scandunt ibique Domino familiarius inhaerent et caliginem illam omni candidiorem luce subeuntes, inde castra Domini Sabaoth (“Domini Sabaoth”: Iac. 5:4; Ier. 11:20; Rom. 9:29) cunctumque Christianum populum et nos ipsos pro castris adstantes perpetuis praecibus protegunt (“castra protegunt”: 1 Macc. 3:3);Footnote 24 ut contra superbum Amalech in acie dimicantes superare possimus, sublatis in coelum oculis (Deut. 4:19; Ioh. 17:1) ac manibus (3 Esdr. 9:47; Luc. 6:20 e 24:50), impetrant. (Traversari, Epistolae 4.6, 204)
Venit autem Amalec, et pugnabat contra Israhel in Raphidim. Dixitque Moyses ad Iosue: ‘Elige viros et egressus pugna contra Amalec; cras ego stabo in vertice collis, habens virgam Dei in manu mea’. Fecit Iosue ut locutus ei erat Moyses et pugnavit contra Amalec Moyses autem et Aaron et Hur ascenderunt super verticem collis. (exod. 17:8–10)Footnote 25
I veri cristiani, dunque, abbandonano le folle dei fantasmi mondani che, sulla scia di Agostino, di cui riprende per due volte le parole, sono le lusinghe contro le quali si scaglia il camaldolese, e ascendono soli con Mosè verso la cima dell’alto monte che, come per Ambrogio nel suo commento ai salmi, rappresenta proprio la tentazione.Footnote 26 La presenza dei due Padri non stupisce: in particolare Agostino, alla lettura dei cui scritti Traversari accenna più volte nelle lettere. Del De vera religione sopra citato, Traversari ebbe probabilmente tra le mani un manoscritto del suo cenobio, ma tra quelli a sua disposizione ve ne era pure uno del Niccoli, copiato da Poggio Bracciolini tra il 1400 e il 1403, nel quale poteva leggere sia quest’opera sia il Contra Iulianum. Footnote 27 Tuttavia, sebbene il santo di Ippona rappresentasse per gli intellettuali del XV in generale la possibilità di conciliare la solitudine con lo studio e, per il tramite del De vita solitaria di Petrarca, si collegasse ai padri orientali, Traversari non dimostrò lo stesso livello di apprezzamento di Luigi Marsili, Andrea Biglia e altri eremitani, né si confrontò con lui come Petrarca e Salutati, ma gli considerò superiore Crisostomo per stile e acutezza interpretativa.Footnote 28
Accanto ad Agostino, Traversari cita qui anche il De teologia mystica dello ps. Dionigi con l’immagine della nebbia più candida di ogni luce a cui si accostano i monaci sulla cima del monte da dove proteggono — esattamente come Mosè — con continue preghiere l’accampamento del Signore, ossia il cenobio nel quale si sono ritirati, tutto il popolo cristiano e quanti sono in difesa dello stesso accampamento. Proprio dal 1430 il camaldolese aveva intrapreso la traduzione del corpus Dionysianum, conclusa solo nel 1436 con la teologia mistica, dei cui manoscritti era però entrato in possesso fin dal 1424, per il tramite di Niccolò Niccoli.Footnote 29 La necessità, invece, di vigilare sull’accampamento del Signore gli giunge da Ambrogio sempre nel commento ai salmi:
ideo vigilandum est semper, castra Domini munienda, quia nocte advenit inimicus et adversarius, quando somno sensus tenetur, cibo corpus distenditur, orandum, ut iustitia dei praetendat in nobis, quae in infirmitate positos faciat fortiores, ut possit unusquisque nostrum dicere: cum infirmor, tunc potens sum.Footnote 30
Non resta dunque ai monaci che supplicare affinché, combattendo nello schieramento con gli occhi e le mani elevati al cielo, come in più passi biblici viene ricordato, possano prevalere allo stesso modo del patriarca.
In questa prima parte della lettera il Traversari si concentra, presentandolo come modello monastico per eccellenza, su Mosè, figura ricorrente non solo nella tradizione di esortazione monastica, benché l’episodio dello scontro con Amalek sia piuttosto raro – lo troviamo infatti nell’omelia In illud dello pseudo Crisostomo, in un’epistola di Girolamo e nel Sermo in lode della croce di Pier Damiani —, ma anche in Petrarca nel secondo libro De vita solitaria (II.3.1 cap. 5).Footnote 31 In questo passo il poeta tratta della solitudine dei padri del deserto, dei patriarchi e dei Padri della Chiesa: tutti esempi provenienti dalla tradizione medioevale delle Vitae Patrum che il Traversari non menziona, benché li conosca ancor meglio attraverso il Pratum spirituale di Giovanni Mosco, la cui traduzione aveva ultimato alla fine del 1423 e fatto circolare nel 1431 dopo qualche aggiunta apposta l’anno prima.Footnote 32 Il religioso preferisce infatti concentrarsi su un esempio noto, quello di Mosè, che egli sente valido in primo luogo per se stesso, al punto da accostarlo alla stessa metafora in una lettera inviata qualche mese dopo la 4.6 al proprio fratello Girolamo, anch’egli monaco a Santa Maria degli Angeli, per indicargli la difficoltà nel riprendere il lavoro di traduzione del già ricordato corpus Dionysianum. Footnote 33 La scelta di Mosè, insieme ad Elia, quest’ultimo parimenti ricordato da Petrarca (ivi II.3.2 cap. 6), è forse suggerito al Traversari da un’opera a lui molto cara e da lui tradotta tra il 1419 e il 1420: la Scala Paradisi di Giovanni Climaco, un testo scritto tra VI e VII secolo che ha goduto di grandissima fortuna, pure in Occidente, dapprima attraverso la traduzione di Angelo Clareno e poi proprio con quella del Traversari.Footnote 34 L’autore della Scala ricorre al modello biblico di Mosè mediatore e guida attraverso il mare dei peccati, al quale si deve richiamare la figura del padre spirituale nella sua funzione di interlocutore con i monaci: chi ha il compito di guidare questi ultimi verso Dio ha già percorso il cammino di perfezione e può dunque aiutare gli altri a compierlo insegnando loro ad esercitare il distacco dagli effetti terreni e a praticare l’innocenza, il digiuno e la castità.Footnote 35 Suggerisce questo accostamento il fatto che alla figura del pastore che vigila il Traversari si richiami proprio in questa prima parte della lettera subito dopo l’exordium:
Est enim profecto convenientissimum et rationi consentaneum ut ibi potissimum pia solicitudo Pastoris invigilet (cfr. Luc. 2:8) multumque diligentiae inferat, unde Christiano gregi et universali ecclesiae plurimum profectus et eximii decoris accedit.Footnote 36 (Traversari, Epistolae 4.6, 204)
Tenuto conto dell’insegnamento di san Paolo, di cui non mancano versetti nella lettera 4.6, l’invito a confutare, a sgridare e a esortare per raggiungere quegli obiettivi, diventa il proposito che il camaldolese rivolge a se stesso in virtù del compito di guidare i suoi monaci, come gli insegnava Giovanni Climaco.Footnote 37
Nella prospettiva di questo precetto — passando al secondo momento della lettera — appare allora giustificata la particolare disposizione d’animo che porta il priore generale ad accogliere con preoccupazione il mutato atteggiamento di coloro dai quali, fino a quel momento, aveva ricevuto aiuto e alimento, ossia i suoi monaci, rispetto alla cui vita egli interpreta in senso morale le sue fonti. Proprio grazie al fatto che, nella loro santa conservazione, è benedetto il santo nome di Cristo, le loro virtù, come luci che brillano di una luce straordinaria, risplendono tra le tenebre di questo mondo con un’immagine che ne rievoca una di Cassiano:
Cum virtutem perfectionis vestrae, qua velut magna quaedam luminaria in hoc mundo admirabili claritate fulgetis, multi sanctorum qui vestro erudiuntur exemplo vix queant aemulari, tamen vos, o sancti fratres Honorate et Eucheri, tanta illorum sublimium virorum, a quibus prima anachoreseos instituta suscepimus, laude flammamini.Footnote 38
Così come si congratula e si rallegra per i loro progressi, il Traversari si addolora per la mancanza e ne prova tristezza: dopo aver reso grazie a Dio per la notizia che i monaci mantenevano una vita regolare, ha appreso che ora sta accadendo il contrario e dunque li esorta a tornare indietro. La precedente condotta, fondata su un atteggiamento esemplare, era stata fonte di gioia: era il “Christi bonus odor” (2 Cor. 2:15) che portava notizia della loro santa esistenza, ispirata a quella di Cristo, il quale a sua volta li spingeva ad una vita virtuosa secondo il modello degli apostoli in cui il passo paolino era identificato fin da Agostino.Footnote 39
Ora che i monaci hanno abbandonato l’antico comportamento e vivono più rilassati – aspetto di cui lo stesso Traversari lascerà ampia testimonianza nel suo Hodoeporicon, racconto della sua attività di generale dall’elezione al 1435 nel quale non mancano anche episodi di ingerenza politica e di dissolutezza tanto nei monasteri maschili quanto in quelli femminili – il vigore inevitabilmente languisce in modo sensibile, così che essi scivolano sempre più verso gli aspetti deteriori della vita.Footnote 40
Eppure, in considerazione della sua preoccupazione, Traversari non nasconde assolutamente il suo dolore. Anzi, dal momento che rimedi più facili si preparano per ferite recenti, li esorta con paterno affetto a risollevare le forze e a prendere di nuovo le armi spirituali. Questa situazione di allontanamento dalla vita regolare viene descritta attraverso la ferita appena inferta dai nemici, con la quale si entra nel vivo della seconda parte della lettera: la ferita è nel sangue, ma non è in cancrena, né il veleno letale ha infettato le vene. Traversari invita perciò i monaci a togliere la freccia e ad ascoltare il serpente di bronzo sospeso sul legno, Cristo Signore che pende dalla croce e allontanare così il veleno dell’antico drago:
Sagittam excutite (psalm. 126:4) serpentemque aeneum (num. 21:9) in ligno subspensum Christum Dominum in cruce pendentem intendite et antiqui draconis (apoc. 20:2) virus arcete.Footnote 41 (Traversari, Epistolae 4.6, 205)
L’esortazione è costruita con un accumulo di passi biblici, a cui ci si deve accostare secondo il senso letterale e morale che poteva veder applicato, tra gli altri, da Crisostomo nel suo commento sia all’Antico sia al Nuovo Testamento: per il Padre greco proprio la lettera quotidiana della Bibbia teneva lontano dalle passioni.Footnote 42
L’immagine del peccato è presentata secondo una figura ormai tradizionale: il “draco serpens antiquus”, satana tentatore dell’Apocalisse che, fin da Agostino, è richiamato nei testi escatologici.Footnote 43 Ad esso Traversari contrappone il serpente sospeso sulla croce, fabbricato da Mosè su indicazione di Dio: “fecit ergo Moyses serpentem aeneum et posuit pro signo quem cum percussi aspicerent sanabantur”. Il serpente di bronzo sana dai peccati nei quali i monaci sono caduti, secondo un’interpretazione, presente sia in Cesario di Arles sia in Agostino, che il Traversari certamente conosceva:
Serpens isti […] licet hoc satis mirum esse videatur, tamen figuravit incarnationem Domini. […] Suspensus est ergo tunc serpens aeneus in conto, quia Christus supendendus erat in ligno. Tunc enim quicumque fuisset a serpente percussus, serpentem aeneum respiciebat et sanabatur: nunc vero humanum genus quod a spiritali serpente diabolo percussum fuerat, Christum credendo respicit et sanatur. […] Respiciebat ergo unusquisque ad serpentem aeneum et a venenatis serpentibus sanabatur. Serpens aeneus in ligno positus venena vivorum serpentium superavit.Footnote 44 […] Haec ergo omnia ideo diximus, ut quoscumque serpentis, id est, diaboli et angelorum eius venena percusserint, ad Christum, qui in similitudine illius aenei in ligno suspensus est, fideliter semper aspiciant.Footnote 45
Hoc est quicumque percussus fuerit a serpentibus peccatorum, Christum intueatur, et habebit sanitatem in remissionem peccatorum.Footnote 46
A questo punto, con lo scopo di rendere più efficace il messaggio che alla tentazione ci si può opporre, la lettura del passo biblico costruita su immagini patristiche è rafforzata attraverso un exemplum agiografico, riferito a san Benedetto e tratto dai Dialogi di Gregorio Magno.Footnote 47 Al Traversari, che pone Gregorio tra i suoi maestri di spiritualità — colui che aveva dovuto lasciare la vita monastica per guidare la Chiesa come accadeva ora a lui per l’ordine –, non sarà sfuggito il rimpianto per il cenobio che questi aveva lasciato trasparire nel prologo. La figura di Benedetto, insieme al monastero di Montecassino, aveva attratto il camaldolese almeno dal 1424 e lo aveva spinto a richiedere aiuto tanto a Cosimo de’ Medici quanto a Niccolò Niccoli per reperire la Vita sancti Benedicti, il Chronicon Casinense e i Dialogi dell’abate Desiderio, manoscritto che presumibilmente ottenne entro il novembre 1433.Footnote 48
A Benedetto, oltre che a Mosè, è dedicata qualche riga nel De vita solitaria (II.6.3–4 cap. 9) proprio sulla scia di Gregorio Magno: i Dialogi furono infatti un testo dall’immensa fortuna e sono esplicitamente menzionati da Petrarca che sottolinea l’esemplarità di Benedetto per la solitudine, pur se meno radicale, e ricorda che da lui derivano altri ordini religiosi, tra cui proprio quello dei camaldolesi.Footnote 49 Per quanto non si siano conservati manoscritti del De vita solitaria appartenuti al Traversari o al suo cenobio, il religioso, nel suo Hodoeporicon mostra ammirazione per il poeta e non gli saranno stati ignoti i legami con il suo ordine.Footnote 50 Petrarca, infatti, dal 1363 era stato in contatto con Giovanni Abbarbagliati, priore generale dei camaldolesi dal 1348, il quale gli aveva chiesto nel 1372 una copia del De vita solitaria e ne aveva lamentato l’esclusione di san Romualdo.Footnote 51
Sebbene al santo di Norcia nei Dialogi sia riservato l’intero secondo libro, con il racconto dei miracoli e delle profezie interpretate anche allegoricamente da Gregorio,Footnote 52 il Traversari tralascia tutto questo e pone al centro del suo discorso un unico episodio della vita del santo:
Huisce nempe veneno sanctissimi patris vestri Benedicti pectus infecerat serpens antiquus; quando carnali ferme desiderio victus linquere deserta cogitaverat. Sed serpens ille subspensus venena antiqui serpentis exhausit; quum in se reversus urticis et vepribus sese vir Dei nudum iniecit exsterioremque ignem intrinsecus ardente igne, imo ardentiore flamma divini amoris exstinxit. (Traversari, Epistolae 4.6, 205)
L’origine del desiderio che aveva indotto il santissimo padre Benedetto ad abbandonare i luoghi deserti è dunque ricondotta dal camaldolese all’antico serpente, ossia al drago dell’Apocalisse che con il suo veleno ne aveva infettato il petto. La risolutezza del santo viene spiegata alla luce dell’intervento di Cristo, richiamando il serpente sospeso sulla croce che ha consumato il veleno dell’antico serpente fonte di lusinghe e ponendo l’attenzione sul gesto di Benedetto che, uomo di Dio, ritornato in sé, si era gettato nudo sulle ortiche e i rovi: in tal modo il santo aveva estinto il fuoco esteriore, mentre dentro bruciava il fuoco interiore, una fiamma che ardeva di più per il divino amore.Footnote 53 Dell’aneddoto su Benedetto a cui si riferisce, il religioso riporta però solo i passi essenziali, concentrandosi sull’esempio di una vita cristiana e applicando per questa via i passi biblici appena visti al fondatore della regola benedettina. In Gregorio Magno, invece, la narrazione è più articolata e l’impulso è esplicitamente quello della carne:
Tanta autem carnis temptatio […] secuta est, quantam vir sanctus numquam fuerat expertus. Quandam namque aliquando feminam viderat, quam malignus spiritus ante eius mentis oculos reduxit, tantoque igne servi Dei animum in specie illius accendit, ut se in eius pectore amoris flamma vix caperet, et iam paene deserere heremum voluptate victus deliberaret.Footnote 54
Nella lettera, inoltre, si sottolinea il fervore di Benedetto nel farsi punitore di se stesso, a tal punto severo da decidere di rimuovere la lieve macchia generata dal sordido pensiero con un tormento esteriore tanto grande, là dove Gregorio Magno si era soffermato prevalentemente sui dettagli esteriori con lo scopo di far risaltare la punizione che il santo si era inflitto:
Cum subito superna gratia respectus, ad semetipsum reversus est, atque urticarum et veprium iuxta densa succrescere frutecta conspiciens, exutus indumento, nudum se in illis spinarum aculeis et urticarum incendiis proiecit, ibique diu volutatus, toto ex eis corpore vulneratus exiit, et per cutis vulnera eduxit a corpore vulnus mentis, quia voluptatem traxit in dolorem, cumque bene poenaliter arderet foris, extinxit quod inlicite ardebat intus. Vicit itaque peccatum, quia mutavit incendium.Footnote 55
Dopo aver stabilito un forte legame tra il serpente di bronzo e Benedetto, la lettera vira verso l’ultimo tema, l’esortazione al rigore che sfocia nella richiesta di impegno nell’imitare, secondo le proprie forze, l’esempio di un santissimo uomo, insigne esempio di penitenza e conversione. I monaci devono sforzarsi di vincere l’antico nemico che ha scagliato verso di loro crudeli e infuocati dardi e devono ritornare sui loro passi e opporsi a viso aperto alla tentazione secondo l’insegnamento di san Paolo (“in faciem restiti”: Gal. 2:11) grazie all’aiuto del Signore il quale, come ricordato attraverso una serie passi biblici, combatte non solo tra i Santi, ma anche con i monaci per i quali vincerà:
Antiquum hostem qui saeva in vos atque ignea tela contorserat superare contendite. Revocate gradum, pedem referte et cui terga dederatis in faciem resistite.Footnote 56 Aderit piis votis pugnantium Dominus et contra illum vobis victoriam donabit qui pugnat in Sanctis. Confidite – inquit – quia ego vici mundum (Ioh. 16:33). Adspiciet ille pugnantes et pugnabit in vobis (deut. 1:30 e 3:22; exod. 1 4:14 et al.); pro vobis vincet (Eph. 3:1) et vincet in vobis. (Traversari, Epistolae 4.6, 205)
Facendo propria un’immagine diffusa già nei Padri, quella del ‘miles Christi’, il monaco è paragonato dal Traversari ad un soldato che, ritornato in forze, è solito alzarsi più coraggioso: egli, infatti, che, ricevuta una ferita, ha dato le spalle ai nemici, è spinto verso di loro proprio dalla ferita e ciò che prima era stato per lui causa di allontanamento dalla guerra diventa ardente occasione per inseguirli.Footnote 57
Poiché la dignità e la gloria, per la quale si sceglie di abbandonare le tenebre e la schiavitù del mondo e i desideri e di trasformarsi da figli del mondo a figli di Dio, sono supremi, l’esortazione finale del Traversari è costruita su una nuova domanda retorica e su una riflessione intessuta di molti riferimenti biblici:
An vero non suprema dignitas et singularis gloria est, qua de saeculi filiis in filios Dei divina misericordia praeventi evasistis, qua de tenebris saeculi in admirabile Dei lumen vocati estis? (1 Petr. 2:9) […] Quid retribuetis Domino pro omnibus, quae retribuit vobis? (psalm. 115:12) Ista meditamini, filii, in his iugi meditatione versamini;Footnote 58 et in meditatione vestra exardescat ignis (psalm. 38:4) ille divinus, quem Dominus Iesus mittere venit in terras (Luc. 12:49) et voluit vehementer accendi. […] Vacate orationi, silentio, lectioni et reliquis spiritalibus studiis;Footnote 59 celebrate sabbatum delicatum (Is. 58:13) otiumque sacratum amplectimini et cum Maria sedete ad pedes Domini (Luc. 10:39), quos lacrymis ante laveritis et crine terseritis (Luc. 7:38 e 44) verbaque coelestia intenta aure captate et ita vos agite ut vocatione vestra digne ambulare videamini.Footnote 60 (Traversari, Epistolae 4.6, 206)
Il versetto dalla lettera di Pietro e il psalm. 38:4 avvicinano il Traversari ad un suo contemporaneo. Sono infatti entrambi menzionati più volte da Bernardino da Siena, il primo passo in particolare nelle prediche rivolte ai sacerdoti in occasione della Quaresima.Footnote 61 D’altro canto l’importanza che assume per il santo senese una predicazione attenta al dettato biblico traspare fin dalle lettere più antiche che il camaldolese gli aveva indirizzato per gli testimoniargli la propria vicinanza, allorché nel 1426 Bernardino dovette difendersi a Roma dall’accusa di eresia mossagli per la venerazione del nome di Gesù.Footnote 62 In Bernardino Traversari vedeva un modo di predicare fondato sulla pietà ascetica e sulla carità spontanea, non sulla sottile analisi della dottrina, ma sulle parole dirette della Scrittura.Footnote 63 Per questo motivo il comportamento di coloro che accusavano Bernardino è per il camaldolese simile a quello contro cui si scaglia il profeta: “Sepulchrum patens est guttur eorum, linguis suis dolose agebant” (Rom. 3:13 e psalm. 5:11).Footnote 64 Del santo senese, il Traversari apprezzava proprio l’efficacia aderenza al dettato biblico opposta alle sottigliezze dottrinali che in effetti sono assenti nell’epistola 4.6 e più in generale nel suo epistolario.
L’impegno nella preghiera, nel silenzio e nella meditazione, richiamati in questa porzione finale della lettera, ma sostenuti già dalla tradizione patristica dove spicca non solo Girolamo, qui citato, ma soprattutto Crisostomo per il quale vi è un valore pedagogico nella lettura quotidiana della Bibbia, sono la manifestazione esteriore della separazione dal mondo che porta alla vita contemplativa di cui Maria, anch’essa menzionata, è simbolo secondo la tradizione medioevale da Beda a Tommaso d’Aquino.Footnote 65 La solitudine, in particolare, è mezzo ascetico efficace ricordato dal camaldolese pure in altre lettere: “nos in otio iocunde adquiescimus et corda nostra levare cum manibus nitimur”; e “in solitudine cordis nostri” aveva provato consolazione.Footnote 66 Solitudine è sinonimo di silenzio, di pace, come fa intendere ricorrendo ad un’altra immagine, quella del “sabbatum delicatum”, il giorno delizioso del riposo dedicato a Dio secondo il commento di Girolamo a Isaia e a Paolo, ripresa anch’essa in una predica da Bernardino da Siena.Footnote 67 La solitudine è messa in discussione dalle seduzioni del mondo, “periculum est … coabitare serpenti”, il cui unico rimedio sono la sacra lettura, il silenzio e la meditazione sulla parola divina, qui richiamata riecheggiando Bernardo, la quale andrà ascoltata, con Girolamo, attentamente.
Il generale camaldolese conclude l’esortazione sottolineando che, se sarà rassicurato dai monaci riguardo la loro penitenza e il loro cambiamento, non solo li amerà più del solito, ma li allieterà con tutti i benefici e ogni pietà. Tuttavia, se al contrario apprenderà che saranno rimasti nella negligenza, aggiungendo una sorta di clausola ingiuntiva, si preoccuperà di punire, secondo la regola, più aspramente questa loro negligenza, poiché è scritto: “Compelle intrare (Luc. 14:23) et de manibus nostris requirendum animarum vestrarum sanguinem (gen. 3:8)”.
La prospettiva che il Traversari manifesta, dunque, in queste ultime righe si ispira al paolino “argue, obsecra, increpa in omni patientia et doctrina” (2 Tim. 4:2), così frequente in altre sue lettere, ma già ampiamente commentato da Giovanni Crisostomo, citato nella Regula di Benedetto e nella Regula pastoralis di Gregorio Magno.Footnote 68
Insomma, questo primo esame delle fonti presenti nell’epistola 4.6, che sotto il nome di Eugenio IV cela la paternità del Traversari, con gli amati Padri latini e con il monachesimo greco in filigrana, mostra come il camaldolese prediliga nella sua argomentazione l’inserzione di brevi frasi tratte dalla Bibbia e si muova, nello stesso tempo, in un percorso intertestuale tipico dell’Umanesimo.Footnote 69 In esso le fonti bibliche si intrecciano da un lato con citazioni provenienti da altre letture, i cui autori, i Padri della Chiesa, non sono essi pure menzionati, dall’altro con le stesse sue parole attraverso un fluido passaggio dalle une alle altre senza che il lettore se ne avveda o avverta qualche dissonanza, prescindendo dal loro contesto specifico che viene invece tralasciato. La parola divina viene sempre invocata e citata nel corso del testo, anche se egli non ne esplicita mai la provenienza e lascia che sia il destinatario a decodificarla come tale: ma per il mondo monastico, di cui la Bibbia è compagna quotidiana, la percezione non è certo difficoltosa.Footnote 70
In particolare, i passi biblici, che ricorrono lungo l’intera lettera e soprattuto nella terza parte, non si possono considerare citazioni di secondo livello, ossia all’interno di altre fonti per cui il Traversari si sarebbe limitato a riprendere la prima. Essi, al contrario, sono inseriti volutamente dal camaldolese tanto all’interno del proprio discorso quanto dentro alcune fonti, come nel caso dell’exemplum di Benedetto tratto dai Dialogi di Gregorio Magno, in cui si intrecciano passi dal Vecchio e Nuovo Testamento. Con tutta evidenza non manca per alcuni di essi una tradizione esegetica che affonda le radici nell’età patristica e che gli giunge attraverso un approccio diretto ai Padri. Nella sua lettura il Traversari applica alla vita monastica lo “iugum Christi suave et onus leve” (Matth. 11:30) e vede nel monaco tanto colui che combatte il drago dell’Apocalisse (apoc. 20:2) e si avvale del serpente di bronzo (num. 21:9), da cui riceve aiuto contro la tentazione, quanto colui che, riprendendo anche qui la tradizione, deve essere come Maria che siede ai piedi di Cristo (Luc. 12:49) e gode del sabato delicato (Is. 58:13): solo così il “Christi bonus odor” (2 Cor. 2:15), il sentore della vera vita contemplativa, tornerà a diffondersi. Se si guarda al suo orizzonte, vivere da monaci significava vivere secondo la Scrittura. Pertanto, sulla scia di Giovanni Climaco, che ne era diffidente perché occorre una notevole forza spirituale per accostarsi ad essa, e soprattutto di Giovanni Crisostomo, che non l’aveva privilegiata nei suoi commenti, nel far uso della citazione biblica non vi è nel Traversari il ricorso all’allegoria.Footnote 71
In virtù dello sforzo che anima continuamente il camaldolese, quello di una vita spirituale conforme alla regola, la sua riflessione si articola attraverso un duplice uso della parola biblica sull’esempio di Crisostomo, al quale si può accostare Bernardo: da un lato egli si avvale del senso letterale, dall’altro predilige immagini che si prestino ad un’interpretazione tropologica, privilegiando il senso letterale e il messaggio morale con una riflessione che guarda a vizi, a virtù, al distacco dai beni terreni, all’importanza dello studio della Scrittura come via verso la Salvezza.Footnote 72 Nel porre di conseguenza attenzione al significato letterale e morale, egli costruisce metafore che si richiamano alla vera vita monastica: il significato più profondo, di carattere strettamente spirituale, va ricercato nella figura di Mosè (exod. 17:8-10), che ricorreva già nelle opere in lode della vita monastica, ma qui presente con un episodio, quello di Amalek, raro negli autori frequentati dal camaldolese, al quale, in questa sua lotta contro le debolezze della vita, si deve accostare un esempio nuovo, quello di Benedetto.
I passi biblici sono pertanto il fulcro di un discorso di esortazione programmatico, che punta l’attenzione sul desiderio sia del religioso, sia di papa Eugenio IV, di un ritorno all’osservanza e che, a differenza della trattazione umanistica contemporanea, non si concentra solo sulla lode di questa scelta o su quella della solitudine e della possibilità di dedicarsi alle lettere, quest’ultima peraltro assente nel testo, ma si richiama, sia con i due esempi sia con le continue citazioni bibliche, alle origini tardo antiche del monachesimo come scelta di vita autentica per il quale la Bibbia è fonte di ispirazione nella prassi monastica e ne costituisce il presupposto. Il costante riferimento alla Bibbia indica, dunque, il percorso spirituale del monaco riportandolo alle radici del monachesimo benedettino, ossia a quanto indicato nella Regula Benedicti: “per ducatum Evangelii pergamus itinera eius”.Footnote 73 È un approccio che allontana il Traversari da altri tentativi di riforma religiosa che si rifacevano, con metodi poco filologici, a presunte regole monastiche antiche, come quella detta di “san Girolamo”, sulla quale lo stesso camaldolese nel 1427, qualche mese dopo essere intervenuto in favore di Bernardino da Siena, era stato interpellato da Lope de Olmedo preposito generale dei Gerolimini per la Spagna, affinché esprimesse un suo parere sulla regola da lui composta attingendo ad estratti dagli scritti del Santo, o come quella degli eremitani che avevano fatto di Agostino uno di loro.Footnote 74
Certamente, se nel richiamarsi alle origini il Traversari si distanzia da alcune esperienze contemporanee, nell’interpretazione dei passi biblici, non si rivela tanto un innovatore quanto, piuttosto, mostra il suo legame con il cristianesimo patristico. Egli si muove, infatti, nel contesto della tradizione di esegeti a lui cari, — in particolare Agostino, Ambrogio, Cesario di Arles, Giovanni Crisostomo e Giovanni Climaco, Bernardo da Chiaravalle, letti direttamente — che avevano già esplicitato questi significati, e dei predicatori del suo tempo come Bernardino da Siena, che ponevano i riferimenti alla Bibbia al centro dei loro sermoni.Footnote 75 È una prospettiva nella quale il camaldolese farà scuola all’interno del suo ordine: alla luce delle considerazioni appena esposte il richiamo al testo biblico come fondamento della meditazione, espresso dal camaldolese Agostino di Portico nelle sue lettere devozionali, andrà a maggior ragione ricondotto — come già ipotizzato — proprio all’insegnamento del suo maestro Ambrogio Traversari.Footnote 76