Le recenti transizioni democratiche in America latina e nell'Europa del Sud hanno messo in evidenza la speciale posizione dei sindacati tra le forze della società civile che reagiscono con un'accresciuta mobilitazione all'avvio della liberalizzazione in seno a regimi autoritari (Berins Collier e Mahoney 1997). Le organizzazioni sindacali, infatti, hanno generalmente la capacità di promuovere, in momenti critici, una mobilitazione più ampia ed efficace rispetto ad altri gruppi sociali. Esse non solo possiedono reti organizzative che, attraverso strutture più o meno permanenti, facilitano lo svolgimento di proteste e dimostrazioni, ma possono anche contare su schiere di militanti con specifici interessi in comune e su identità collettive politicamente definite. A differenza di gruppi come le organizzazioni degli studenti e le associazioni religiose o di quartiere, inoltre, i sindacati possono colpire e danneggiare direttamente l'economia attraverso rivendicazioni salariali e scioperi (Valenzuela 1988, 3; Cella 1990, 17). La concomitanza delle transizioni politiche più recenti con una perdurante e diffusa crisi economica e con ripetuti tentativi di stabilizzazione e riforma hanno reso ancora più temibile questa capacità. Utilizzando poteri coercitivi garantiti dallo stato, o la semplice forza della persuasione, il sindacato, d'altra parte, può convincere la propria base ad aspettare sino a che le riforme producano dei risultati, contribuendo così a ridurre i livelli del conflitto sociale (Przeworski 1991, 181).